CAMERATI, CORAGGIO: NON TUTTO E’ PERDUTO!

Malgrado la guerra, o meglio, le guerre (quella civile compresa) perdute e i crimini commessi – si pensi solo alle infami leggi razziali del 1938 – è un fatto che  il fantasma di Benito Mussolini continua ad affascinare o a ossessionare tanti italiani: ancora oggi si discute sull’essenza del fascismo e sul fondamento antifascista della nostra Costituzione mentre si è rivelato un pio desiderio l’ostinazione di qualche logografo comiziante antisistema, ostinazione molto presuntuosa e assertiva ma poco calibrata e smentita dai fatti (vedi formazioni politiche di estrema destra come CasaPound, Forza Nuova, Lealtà e Azione, che si rifanno al fascismo, anzi, al nazifascismo, come quel Luca Traini che sparava agli immigrati neri a Macerata), nel considerare Benito Mussolini e il fascismo rinchiusi entrambi nel sacello di Predappio e ormai consegnati definitivamente alla storia e alla memoria.

E’ chiaro che gli eredi del neofascista Movimento Sociale Italiano, ora al governo del Paese, mal sopportano l’antifascismo costituzionale della Repubblica e preferiscono parlare, offendendo la verità della storia patria, di Costituzione afascista. Come si è arrivati a questo punto? Non mancano certo studi sul percorso accidentato del “Fascismo senza Mussolini”” per citare il titolo del libro del missino Giuseppe Parlato sulle origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, Il Mulino, 2006. Parlato descrive le circostanze della nascita a Roma, il 24 dicembre 1946, del Movimento sociale italiano, che fu il risultato di un fitto lavoro di contatti e di relazioni che cominciarono ancora prima della fine della guerra con il coinvolgimento anche dei servizi segreti americani.

Giuseppe Parlato e il suo libro

Parlato respinge la visione tradizionale di un neofascismo puramente nostalgico e ininfluente nella politica italiana nel dopoguerra; in realtà i neofascisti del Msi trovarono un loro spazio nel periodo della Guerra fredda in funzione anticomunista. In un’ottica diversa il giovane storico Davide Conti, nel suo saggio su L’anima nera della Repubblica, Storia del MSI, Laterza, , 2013, ha spiegato come il partito di Michelini e Almirante abbia dato voce e rappresentanza all’anima nera di una Repubblica che, nata sulle macerie del fascismo, non riuscì   a sancire una rottura definitiva con l’ eredità del regime.

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Anche per Conti, nondimeno, il Msi nel corso della sua storia, alla stregua di un magma ideologico carsico, pur non riconoscendosi nei valori fondativi della Costituzione, riuscì a svolgere un ruolo negli equilibri politici della democrazia repubblicana.
Diverso  l’angolo visuale dell’ideologo della nuova destra italiana Marco Tarchi che, nel suo saggio Esuli in patria: i fascisti nell’Italia repubblicana, Guanda, 1995. Tarchi si occupa di quel sentimento di esclusione dal cosiddetto arco costituzionale che ha contrassegnato i neofascisti e i loro tentativi di conquistare una legittimazione piena da parte delle istituzioni democratiche, ovviamente al prezzo di rimuovere una identità compromessa con il regime fascista e assumerne una nuova, più consona al tempo in cui viviamo, partendo dal Msi e passando attraverso gli anni di piombo, dello stragismo nero e del passaggio da Almirante a Gianfranco Fini. Un caso estremo di esiliato in patria è quello del musicologo Piero Buscaroli, fascista irriducibile, autore, tra l’altro, di un’autobiografia intitolata Dalla parte dei vinti. Memorie e verità del mio Novecento, Mondadori, 2010. Buscaroli non si è mai rassegnato al crollo del fascismo e alla vittoria degli Alleati, e interpreta a modo suo eventi come la ‘congiura’ del 25 luglio 1943 contro Mussolini, la disfatta militare e lo sfacelo civile dell’8 settembre fino  a giustificare  le rappresaglie dei tedeschi mentre condanna senza appello i crimini dei vincitori.

Piero Ignazi e il suo libro

Per questo non si è mai riconosciuto cittadino dell’Italia democratica e repubblicana, straniero in patria fino alla fine. E veniamo infine allo studio più completo e autorevole sul neofascismo italiano: Il polo escluso. La fiamma che non si spegne: da Almirante e Meloni, di Piero Ignazi, Il Mulino, 2023 (ultima edizione). Quando apparve la prima edizione di quest’opera, nel 1989, il Msi era ancora un partito marginale, una specie di reperto da museo, tenuto insieme da una sotterranea nostalgia per il Ventennio. Ora i “Fratelli d’Italia”, eredi diretti del partito di Almirante, sono arrivati al governo del Paese (o della Nazione come preferisce dire Giorgia Meloni). Che cosa è accaduto nei trent’anni che sono trascorsi dalla prima edizione de Il polo escluso per portare la destra-destra dalla marginalità politico-culturale (“Fascisti, carogne, tornate nelle fogne!”) al potere? Ignazi si sofferma a illustrare le svolte ideologiche più o meno convinte che hanno caratterizzato gli anni Novanta, il travaglio e le lotte intestine culminate con la decapitazione politica di Gianfranco Fini, che si era rifiutato di sottomettersi all’egemonia del populismo berlusconiano e infine la comparsa sulla scena di Fratelli d’Italia.

Marco Tarchi

Malgrado le alterne vicende del neofascismo italiano, una cosa è rimasta invariata: il simbolo della fiamma che non si spegne. La stessa ristampa aggiornata del libro di Piero Ignazi, è anch’essa un segno del nuovo clima che si respira oggi in Italia. Sintomatica la recensione di Marco Tarchi a questa ristampa del testo che, osserva l’ideologo della nuova destra italiana,  nella sua prima edizione aveva come sottotitolo profilo storico del Movimento Sociale Italiano; “l’oggetto dello studio – continua Tarchi – reagì con soddisfazione. Sebbene l’autore fosse ‘estraneo al percorso politico culturale missino’ scrisse Il Secolo d’Italia, il suo era giudicato un lavoro ‘completo e organico’ che ‘rompeva i vecchi schemi’. Un’assoluta novità, per un partito che dagli intellettuali era abituato a ricevere solo anatemi, ma anche per un campo di studi in cui gli accademici erano restii ad avventurarsi, un po’ per idiosincrasia ideologica e un po’ per il timore che il solo aver scelto il neofascismo come soggetto di analisi li rendesse sospetti di collaborazionismo con il nemico. E infatti quei sospetti lambirono persino Ignazi, che pure aveva un pedigree irreprensibile, costringendolo persino a querelare Vauro, che sul Manifesto gli aveva dedicato una vignetta fuori luogo” (da La Stampa, Tuttolibri, del 24 giugno 2023). Niente di nuovo sotto il sole! O meglio, chi avrebbe mai detto che un giorno avremmo avuto Giorgia Meloni presidente del Consiglio e Ignazio La Russa presidente del Senato, che, ricordiamolo, è la seconda carica dello Stato, subito dopo il Presidente della Repubblica? Chi dobbiamo ringraziare? Vuoi vedere che tra i tanti meriti del Cavaliere dobbiamo riconoscergli anche questo?

Fulvio Sguerso

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