Biden e i migranti: tra bastone e carota

“La nostra frontiera non è aperta e non lo sarà dopo l’11 maggio”. Così il segretario della Homeland Security (Sicurezza Nazionale) Alejandro Mayorkas mentre cercava di scoraggiare gli ingressi non autorizzati negli Usa. L’11 maggio scade la legge Title 42 usata durante la pandemia per espellere e deportare rapidamente i migranti entrati nel Paese temendo rischi di sanità pubblica. Adesso si prevedono aumenti di ingressi a cui l’amministrazione di Joe Biden tenterà di mettere una pezza usando il bastone e la carota per affrontare la spinosissima questione dell’immigrazione.

I repubblicani hanno attaccato Biden sulla questione degli ingressi dalla frontiera col Messico parlando di invasione di individui senza diritto di stare negli Usa. Dimenticano ovviamente la legge internazionale e quella nazionale che garantiscono il diritto di richiedere asilo una volta messo piede in America. Biden ha capito che deve fare qualcosa ed ha deciso di ripetere alcune azioni di Donald Trump e altri presidenti prima di lui inviando soldati al confine. Mille e cinquecento soldati si aggiungeranno a 2500 membri della Guardia Nazionale di diversi Stati ma pagati dal governo federale già al confine. Il loro ruolo sarà semplicemente di supportare la Border Guards (Guardia della Frontiera) con il monitoraggio di ingressi non autorizzati ma non di confrontarsi direttamente con i richiedenti asilo. Biden ha spiegato che l’uso dei soldati è necessario perché il Congresso non ha stanziato abbastanza fondi per la Guardia della Frontiera.

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L’immagine di soldati americani alla frontiera con un Paese amico però crea immagini discordanti. Soldati che devono difendere la nazione da gente disperata, spesso famiglie, senza armi, fermati da individui il cui addestramento è stato di partecipare in potenziali conflitti armati, non conferma l’amicizia col Messico. Ciononostante, dal punto di vista politico Biden crede di mandare un segnale, suggerendo che difenderà il confine americano. Il segnale dovrebbe raggiungere anche i “coyotes”, i trafficanti di frontiera che guidano i migranti ad entrare negli Usa. Non è l’unico presidente ad avere fatto uso dell’esercito al confine col Messico. L’uso di soldati alla frontiera col Messico è già stato fatto da Donald Trump nel 2018 il quale ha inviato 2100 membri della Guardia Nazionale e poi per mostrare i suoi muscoli prima dell’elezione del 2020 mandò altri 5200 soldati. Un ovvio tentativo di agire da “forte” contro gli immigrati e segnare gol politici specialmente con la base del suo partito. Altri presidenti recenti prima di Trump fecero la stessa cosa. George W. Bush inviò 6000 soldati al confine col Messico per due anni. Anche Barack Obama inviò truppe al confine per due mesi.

Biden sa benissimo quello che fa ma le sue promesse di soluzioni umane fatte nella campagna politica nel 2020 che contrastavano con la mano dura di Trump hanno deluso le organizzazioni pro migranti. Ha sterzato a sinistra ma leggermente. Ha eliminato il bando agli ingressi dai sette Paesi musulmani imposto da Trump. Inoltre l’attuale inquilino della Casa Bianca non ha separato le famiglie entrate negli Usa come aveva fatto il suo predecessore. Le immagini di bambini in centri di detenzione somiglianti a gabbie sono ancora fresche nella mente di tutti, reiterando la crudeltà dell’ex inquilino alla Casa Bianca.

Biden sta cercando di fare di più per ridurre i lunghissimi e pericolosissimi viaggi che molti di questi migranti dell’America Centrale e del Sud intraprendono per arrivare alla frontiera sud. La sua amministrazione ha deciso di stabilire centri fuori degli Stati Uniti dove individui desiderosi di entrare in America potrebbero fare richiesta di asilo. I primi di questi centri dovrebbero essere stabiliti in Guatemala e Colombia e poi sarebbero estesi in altri Paesi. Sarebbero gestiti dall’International Organization of Migration, un’agenzia intergovernativa delle Nazioni Unite, che si occupa dell’assistenza ai migranti. Secondo le informazioni disponibili fino ad adesso gli individui che qualificherebbero per asilo politico potrebbero essere ammessi negli Usa, il Canada o la Spagna. Biden vorrebbe ovviamente ridurre i numeri dei migranti al confine col Messico, i quali, una volta fatto messo piede negli Usa e fatto richiesta di asilo, sono tipicamente rilasciati dopo 72 ore mentre aspettano la convocazione con un giudice per determinare se la loro richiesta verrà approvata. Succede che non pochi di questi individui non si presentano e le loro tracce si perdono, aggiungendosi agli 11 milioni di individui senza documenti di residenza legale già negli Usa.

La questione dei migranti è un asso nella manica per i repubblicani e la destra in generale. Con la loro semplicissima risposta di costruire i muri e di non accettare migranti ottengono consensi elettorali come si vede anche in Europa. Biden capisce molto bene che non ci sono soluzioni facili. Bisognerebbe migliorare l’economia e la stabilità politica nei Paesi da dove vengono questi migranti. Per esempio, se l’economia del Messico fosse ai livelli di quella del Canada non si avrebbero problemi al confine sud come non esistono al confine nord degli Usa.

Il segretario Mayorkas ha ragione quando ha detto che la migrazione ha radici emisferiche e richiede “soluzioni emisferiche”. Non si tratta di soluzioni attuabili in termini brevi. I repubblicani hanno la soluzione facile che produce frutti politici a causa della retorica di paura causata dall’immaginario dei migranti, visti semplicemente con occhiali scuri. Biden e i democratici non possono offrire soluzioni immediate che apporterebbero frutti alle elezioni da affrontare. Se le soluzioni semplicistiche dei repubblicani non producono risultati, quelle offerte dai democratici sono altrettanto inefficaci. La differenza però è che i democratici dimostrano un minimo di riconoscenza per i contributi fatti dagli immigrati nella costruzione del Paese. Dimostrano altresì una certa umanità verso questa gente disperata mentre i repubblicani sono ciechi, strumentalizzando la paura creata da questi sfortunati per scopi puramente politici.

Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California.
Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.

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