Al termine della discussione sono emersi due punti di grande interesse, quello relativo al “diritto di tutti” che garantisce, nella legislazione scandinava, l’accesso alla natura anche qualora recintata e quello della critica radicale del potere del privato di decidere che cosa produrre (un tema antico, anche per una parte di quella che è stata la “nuova sinistra” di derivazione “sessantottesca”). Il “Manifesto” riferisce anche che ore di lavoro sono state dedicate, nel corso del convegno, alla preparazione di un questionario “fattuale” contenente ipotesi di conflitti nella soluzione dei quali le diverse giurisdizioni europee potrebbero mostrarci se e in che misura i beni comuni siano riconosciuti in quanto tali, in opposizione alle istituzioni dello Stato quanto rispetto alla proprietà privata. Abbiamo pensato, a questo punto, che poteva essere offerto un approfondimento sul tema dal punto di vista della teoria politica, affrontando il tema dell’”interesse generale”, oggi del tutto negletto rispetto alla logica trionfante dell’individualismo e, ancor meglio del cosiddetto “individualismo consumistico”. Già Adamo Smith coglieva, nella “Teoria dei sentimenti morali” i risvolti non materiali dell’indagine da lui stesso condotta con la “Ricchezza delle Nazioni” sostenendo che il perseguimento del “self-interest” si celassero motivazioni ben diverse dalla sola ricerca del vantaggio materiale. Proprio su questa base è possibile, dunque sostenere, che al “bene comune” possa affiancarsi l’idea dell’interesse comune, generale, pubblico, in un’accezione che può prescindere del tutto dalla mediazione comunitaria tra singolo e collettività, ma diventare vero e proprio programma politico. Il punto politico di fondo rimane quello dell’insistenza sull’irriducibilità del vincolo sociale alla volontà particolare del singolo, prefigurando così proprio il concetto di bene pubblico inteso nel senso di un bene che è tale perché tutti possano beneficiarne. Si tratta di affermazioni che possono apparire banali ma che ritornano di grande attualità, sul piano teorico, proprio nel momento in cui appare necessario saldare l’idea di usufruire – appunto – dei “beni comuni” all’interno di un coerente contesto economico regolato da un progetto politico tale da consentire proprio di superare la fase della privatizzazione (e del “privatismo”) vista come bene in sé: il ritorno all’”interesse generale” nell’esercizio pubblico dei “beni comuni” potrebbe rappresentare il punto vero di una riforma profonda, attuato proprio in una riattualizzazione “fondativa” di un programma comune di governo della sinistra. Allo scopo di far diventare questa idea di “programma comune” (accezione dal duplice senso, quest’ultima: comune perché elaborato e portato avanti da forze diverse, comune perché inteso a sollevare l’idea della relazione indissolubile tra beni comuni e interesse generale) occorre, dal punto di vista dell’elaborazione, ritornare all’idea della “scelta razionale” attraverso il paradigma neo-istituzionale, riscoprendo la centralità delle istituzioni nella vita politica, recuperando una visione olistica della politica, riscoprendo l’importanza dello Stato e, in generale, delle organizzazioni principalmente di quelle politiche: al centro l’attenzione in cui si considera l’interesse personale, affrontandolo attraverso strategie imperniate sulla razionalità politica. In questo senso le istituzioni debbono tornare a essere considerate come il contesto entro il quale ha luogo la politica e come fattori capaci di determinare, ordinare, o modificare le motivazioni le preferenze degli individui. Due punti sui quali meditare anche da parte di coloro i quali pensano al dialogo diretto con il “popolo”, superando di botto la complessa realtà dei “corpi intermedi”, la cui funzione rimane, invece, decisiva nel momento in cui il tema dei “beni comuni” appare di grande attualità e urgenza. Franco Astengo Savona, 2 luglio 2011
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