BANCHIERE, ITALIANO E RIVOLUZIONARIO
Sembra un titolo per attirare i lettori, un ossimoro, il manifesto della finanza nazionale per porre fine alla sudditanza dell’Italia dal giogo di Francoforte e di Bruxelles.
Così è stato dipinto Carlo Messina, CEO di Intesa Sanpaolo, a seguito della sua esternazione all’evento Young Factor (Un dialogo tra giovani, economia e finanza), letta come una ventata di sovranismo dopo anni di sputi in faccia a chi se ne faceva alfiere. [VEDI]
Debito pubblico, spread: termini che avevamo quasi dimenticati, frastornati da una pandemia prima e da una guerra alle porte d’Europa poi.
Che il principale banchiere italiano abbia avuto un sussulto di nazionalismo finanziario, addirittura di sovranismo, come chi scrive invoca dal 2005, e additato invece come l’orco delle favole dal giornalismo che conta e dall’intera classe politica, inclusi ormai Lega e Fratelli d’Italia e lasciato con disprezzo ai vituperati Casa Pound e Forza Nuova?
Prima di affermarlo, battendogli le mani, aspettiamo a vedere qual è la sua proposta, condensandola così: “L’Italia comperi il suo debito pubblico, raffreddando nel cammino i relativi interessi fin quasi a zero e svincolandosi dai ricatti dei mercati speculativi.”
L’operazione è analoga a quella di molte grandi corporation quando una provvida pioggia di utili permette loro di fare il buy back, ossia il riacquisto dei propri bond, presi in prestito sui mercati, alla vigilia di grandi investimenti per il lancio di nuovi prodotti.
Già, ma non risulta che lo Stato italiano abbia accumulato una ricchezza tale da potersi permettere un simile buy back dei propri bond (titoli di Stato). Ha sì prosciugato i redditi aziendali e da lavoro mediante tasse esorbitanti, ma li ha sperperati in mille rivoli senza creare ricchezza proporzionata ai prelievi. E durante le emergenze Covid e guerra ucraina ha saputo solo dare pannicelli caldi a quanti ne sono stati brutalmente colpiti, lasciando allo sbaraglio soprattutto le piccole e micro imprese, che, descritte sino allora come ossatura portante della nazione, erano divenute d’un tratto obsolete, in quanto non al passo con i luminosi destini della digitalizzazione, leggi: precariato e disoccupazione di massa.
Ma non disperdiamoci in commenti non pertinenti al tema: dove li trova lo Stato i soldi per appianare il suo debito, non potendo inasprire oltre il carico fiscale su imprese e famiglie?
Messina ha trovato la quadra: se l’Italia ha un debito pubblico record (ad aprile € 2.758 miliardi), ha d’altro canto un monte di risparmi privati di quasi 4 volte tanto, sui $ 10.000 miliardi. Semplice: usare il segno più dei risparmi privati per azzerare il debito pubblico!
E’ tanto che la finanza internazionale ha l’acquolina in bocca di fronte a tanta ricchezza. Messina adotta invece un atteggiamento meno globalista, si veste da sovranista e propone di attingere a quell’immenso capitale sullo stile di Mussolini quando lanciò la campagna “Oro per la Patria”, svuotando gli scrigni di tante famiglie fino al modesto contributo delle vere nuziali. Tutti sappiamo quanto fruttifero fu l’impiego di quell’oro che tanto generosamente gli italiani donarono al regime.
Oggi, con gli ideali corrosi dal nichilismo dilagante, di donazioni spontanee ce ne sarebbero ben poche, per cui si dovrebbe far ricorso al prelievo coatto. Con un’unica certezza: l’impoverimento generale, a braccetto con una risvegliata inflazione, che è già all’opera nel disgregare il potere d’acquisto di quegli stessi risparmi. Messina sembra quasi dire: “Avete tanto criticato le privatizzazioni dei beni demaniali? Non siamo rimasti sordi: adesso proponiamo la pubblicizzazione dei risparmi privati!”
Ma anche questo rientra nei piani dei vari think tank internazionali: drenare denaro dalla popolazione per limitare i consumi e salvare il pianeta. E’ il dilemma cruciale che si presenta a tutti i governanti del globo, constatando che una frazione di umanità vive al di sopra della sostenibilità ambientale, con consumi eccedenti i “normali” fabbisogni; e la restante frazione, assai più consistente, inquina in pari misura per ignoranza ambientale. Un semplice esempio di tale disparità lo fornisce il carico inquinante dei fiumi, che riversano in mare la gran parte delle plastiche che vanno a formare mostruose isole oceaniche: il grosso non arriva dai fiumi dei Paesi più civilizzati, ma da quelli che chiamiamo “sottosviluppati”, anche a causa della loro crescita demografica che soverchia la denatalità dei primi.
Con il mito del progresso ad ogni costo abbiamo creato problemi che non siamo più in grado né di comprendere né di risolvere, aspettando, come in tempi biblici, che alla via d’uscita provveda qualche evento imprevedibile e catastrofico, all’insegna della necessità di passare dal caos per il successivo instaurarsi di un nuovo ordine, come accaduto tante volte nella tribolata storia geologica della nostra unica TerraMarco Giacinto Pellifroni 19 giugno 2022