Appropriazione indebita

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre”.
E’ una frase tratta da “Se questo è un uomo” di Primo Levi.
E’ stata posta a corollario del manifesto che promuoveva il corteo pro-Palestina che avrebbe dovuto esserci a Roma il 27 gennaio 2024.
Qui non si vuole discutere della liceità e opportunità del corteo nel “Giorno della Memoria”, cosa che richiederebbe una trattazione a parte, ma evidenziare che quando per osteggiarlo si rivendica il copyright di essa, come per esempio fanno Stefano Parisi e Noemi di Segni, si cade in un’appropriazione indebita.
Sul “Corriere della Sera” del 25 gennaio 2024 il primo, fondatore dell’ “Associazione 7 Ottobre”, afferma: “La macchina della propaganda antisemita osa appropriarsi delle parole di Primo Levi per rovesciare sugli israeliani, attaccati e massacrati in 1400 nelle loro case il 7 ottobre, l’accusa di genocidio”.
Sullo stesso quotidiano, la seconda, ovvero la presidentessa dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dichiara:
“Lasciate Levi alla nostra memoria. Abbiate la dignità di manifestare il vostro pensiero senza offendere la memoria dei sopravvissuti”.

Premesso che la manifestazione era pro-Palestina e antisionista, e non antisemita come di sua iniziativa ha deciso Parisi, Primo Levi non è proprietà di qualcuno o di qualcosa.
E’, a suo stesso dire, prima che un ebreo non praticante e non credente ( “C’è Auschwitz, quindi non può esserci Dio” ), un italiano e un partigiano che per il valore dei suoi libri ( tra i vari premi assegnatigli, anche il più importante fra quelli italiani, lo “Strega” ) e della sua testimonianza, è andato ben oltre i patrii confini, diventando, potremmo dire, patrimonio dell’umanità.
Per quale motivo, per riprendere ciò che ha detto Noemi di Segni, bisogna lasciarlo alla memoria degli ebrei?
Per quale motivo, riportando una delle frasi più famose di “Se questo è un uomo“, si offenderebbe la memoria dei sopravvissuti?

In “Se questo è un uomo“, “La tregua“, “I sommersi e i salvati” innanzitutto, ma anche in altri suoi testi, la tragedia della Shoah è così profonda ed invasiva che si incista nei pensieri tanto da diventarne, direbbe Schopenhauer, una sorta di basso fondamentale, e purtroppo incancellabile.
Un’ossessione che lo avrebbe spinto, un giorno di aprile dell’ ’87, ad uccidersi lanciandosi nella tromba delle scale.Dunque quello che ci ha detto, quello che ci ha insegnato Primo Levi, è patrimonio di ognuno di noi.
Dire che sia “proprietà privata”, che solo gli ebrei possono disporne, è profondamente sbagliato oltreché ingiusto.
Primo Levi è di tutti, e ha scritto ciò che ha scritto per essere di tutti. Anche per l’infinità di feriti, di infettati, di senza casa, di senza famiglia, di senza acqua, di senza speranza di Gaza. Nella quale non si sa se giuridicamente si stia compiendo un genocidio. Questo lo dirà la Corte Internazionale di Giustizia.

Quello che è certo è che Primo Levi non si sarebbe ritenuto affatto offeso qualora “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre” fosse una frase ( soprattutto quel “anche le nostre” che la conclude ), una linea-guida condivisa da chi si indigna per gli amputati, i ciechi, gli orfani, i morti di freddo e di inedia e i tanti, tantissimi sotterrati vivi dalle macerie dei bombardamenti, e sa così facendo di non sottrarre nulla all’orrore dei lager, di non sminuirne l’oscenità.
Probabilmente lui avrebbe anzi trovato pretestuoso e presuntuoso vedersi accaparrato unilateralmente, e sapersi usato per sostenere l’argomento secondo cui antisionismo e antisemitismo sarebbero sinonimi.

E la prova ce la danno numerosi documenti, come l’appello di cui fu promotore “Perché Israele si ritiri “, pubblicato su “Repubblica” il 16 giugno 1982, sottoscritto anche da Franco Belgrano, Natalia Ginzburg, Miriam Cohen, Ugo Caffaz, Edith Bruck, in cui denuncia l’annessione della Cisgiordania e la repressione dei civili palestinesi, nonché una deriva militarista e violenta di quel Paese che pure aveva amato; o come l’intervista concessa al “Secolo XIX” in cui usa la parola “orrore” riferendosi ad una rappresaglia perpetrata da Israele “che assume forme e dimensioni barbariche”.

Dobbiamo dedurne che Primo Levi era antisemita?

Fulvio Baldoino

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