Alcune note su “Sera d’ottobre” di Giovanni Pascoli

Lungo la strada vedi su la siepe
ridere a mazzi le vermiglie bacche:
nei campi arati tornano al presepe
tarde le vacche.

Vien per la strada un povero che il lento
passo tra foglie stridule trascina:
nei campi intuona una fanciulla al vento:
fiore di spina…

Giovanni Pascoli

Salta sùbito agli occhi una parola: intuonare.
Stona. Decisamente in una composizione così votata alla lentezza e dal tono dimesso, che cosa c’entri una fanciulla che con voce baritonale si metta a cantare, non si capisce.
Questo per chi collega intuonare al rumore del tuono.
Chi invece sa che intuona è forma desueta di intona, tutto si ricompone, anche se l’interferenza di similarità di significante continua a permanere e in qualche misura a disturbare il testo.
Che Pascoli non se ne sia accorto?
E poi, come mai ha preferito delle due lezioni, quella meno usuale, più ricercata e concettosa, più soggetta a fraintendimenti semantici, nonché quella che rischia in una poesia così breve, di minarne l’atmosfera.
Non si tratta di una questione metrica perché il verso resterebbe comunque un endecasillabo. Difficile anche pensare che la Romagna fosse un’enclave dove l’abitudine linguistica locale, per quanto diversa dal dialetto, prevalesse in relazione a certe parole.
Abbiamo una tesi al riguardo da proporre, la quale per essere esposta ha bisogno che prima vengano rimarcate alcune cose.
Intanto il componimento inizia in modo allegro e vivace: in soli due versi, cioè più di un quarto del testo, troviamo un verbo (ridere), una locuzione (a mazzi) e un sostantivo aggettivato (vermiglie bacche) che insieme indirizzano ad un quadro improntato a brio e serenità.
In tal senso il verbo è chiarissimo, mentre per suffragare questo stato d’animo relativamente alla locuzione si può sottolineare come essa indichi vicinanza, gruppo, unione, abbondanza. Se poi si procede, si vedrà che il sostantivo aggettivato dicendoci che il colore delle bacche è di un rosso
intenso, cioè non pastellato o sfumato, va definitivamente ad avvalorare l’idea di una descrizione di un impressionismo idillico.
Ma è un fuoco di paglia. Tutto si attenua e rallenta nei quattro versi successivi.

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Negli ultimi due della prima strofa si vuol comunicare l’idea della stanchezza, attraverso l’immagine delle vacche che ritornano alla stalla dopo la fatica dell’aratura.
Nei primi due della seconda, mediante l’aggettivo “lento” che descrive il passo trascinato dal povero tra le foglie, la stanchezza degli animali viene assimilata a quella dell’uomo; infatti l’aggettivo “tarde” ha lo stesso significato al plurale di lento al singolare.
Puntualissimo, occorre dire, l’enjambement tra “lento” e “passo” in quanto costringe a una pausa che, appunto, produce lentezza concretamente nella lettura, e concettualmente proprio nel procedere dell’uomo tra le foglie, e perciò fa da ponte tra le due strofe.
Sono pertanto l’endecasillabo e il quinario finali la chiave per intendere quale sia lo stato d’animo verso il quale il poeta vuole guidarci.
Prima però c’è da mettere in evidenza come il Pascoli voglia fino a questo punto mantenere in sospeso l’equilibrio tra le due possibilità prospettate tra il primo e secondo verso da una parte, e il quarto e quinto dall’altra. Vediamo come:
“Lungo la strada” viene contrapposto-appaiato a “Vien per la strada” per dimostrare che l’analogia è lecita proprio in quanto sarà il punto di vista e non l’ambiente, che è il medesimo, a sbilanciare verso l’una o l’altra tonalità complessiva la lirica, e poi:
“ridere” contrapposto a “trascina”;
“vermiglie bacche” contrapposto a “foglie stridule”.
Data questa sorta di indecisa premessa, il quadro si conclude e si dichiara con la figura di una fanciulla che nei campi si mette a cantare una canzone le cui prime parole sono: “fiore di spina…”
I puntini di sospensione che le seguono hanno due funzioni, ovvero dirci che a quelle parole ovviamente ne seguiranno altre non riportate, e anche che quelle parole in antinomia (tal quale, come s’è visto, la parte precedente della lirica), rivelano come quanto di prima impressione può sembrare improntato alla bellezza e serenità, nasconda dietro l’apparenza, la fatica e il dolore.
Ciò ci istrada, e tuttavia non ha la forza, da solo, di essere determinante. Serve dell’altro.
Ma cosa può essere che “aggrava” il senso della poesia?
Il fatto che la ragazza non inizia semplicemente un canto, ma lo fa intonandolo al vento (un elemento quest’ultimo, qui e in altri luoghi pascoliani, tutt’altro che rassicurante, e l’unico che “muove” un ambiente quasi sonnolento) come se esso fosse lo strumento sul quale, suo malgrado, deve accordare la voce.
Non solo (e così finalmente si chiude il cerchio sulla proposta interpretativa avanzata all’inizio): la fanciulla “intuona” e non “intona” perché Pascoli cercava un termine che in linea col suo fonosimbolismo, richiamasse il tuono, cioè che lasciasse pensare ad un prossimo temporale, o comunque a qualcosa che interrompesse la pace apparente instillando l’idea, peraltro presente in altre sue poesie, di tempo sospeso; di, per fare il (contro)verso a Leopardi, “quiete prima della tempesta”.
Si può dunque forse capire la ragione di quella che sembrava una scelta lessicale strana e poco consona: il poeta con essa ha voluto ottemperare all’esigenza di far convivere l’armonia con l’ansia. Quello che sono le prime parole, e presumibilmente anche il titolo della canzone, “Fiore di spina”, va nella direzione della tesi che si è proposta: esse stanno l’una all’altra quasi in un ossimoro, il quale parrebbe confermare, vista anche la poetica pascoliana che largamente si serve delle percezioni uditive, qual era l’intenzione dell’autore utilizzando intuona piuttosto che intona. 
E possiamo pensare che il canto della fanciulla sia il canto di Pascoli, perché in fondo quello che egli ha sempre cercato di fare è contenere la sofferenza modulandola, rendendola nell’armonia del verso. Facendola insomma poesia.

FULVIO BALDOINO

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3 thoughts on “Alcune note su “Sera d’ottobre” di Giovanni Pascoli”

  1. Questa volta il prof. Baldoino, invece di un osso di seppia montaliano ci offre un rametto di tamerice pascoliana. E che rametto! Nel breve giro di otto versi (sei endecasillabi e due quinari che chiudono le due strofe di è composta la lirica) siamo portati direttamente nel nucleo pulsante della poetica pascoliana: ogni immagine, visiva o sonora, tratta dalla realtà naturale, è anche simbolo di qualcosa d’altro. Così le immagini dei primi due versi hanno una tonalità, come osserva il commentatore, “allegra e vivace” mentre i versi seguenti della prima strofa ci tramettono un senso di gravità e di lentezza; l’insieme di questi quattro versi compone un idillio campestre che, dal punto di vista visivo, sembra dipinto dal Fattori. Spiccano infatti le macchie vermiglie delle bacche e il bianco delle vacche che tornano al presepe (alla stalla). Il ritmo grave e lento che chiude la prima strofa è ripreso all’inizio della seconda con la figura del povero mendicante che si trascina con “il lento / passo” sulla strada accompagnato dal frusciare secco delle foglie cadute. Ma è nel penultimo verso che incontriamo la parola chiave del componimento, cioè il verbo “intuona”: “nei campi intuona una fanciulla al vento”. una canzone popolare. E qui giustamente il commentatore si chiede perché il Pascoli abbia preferito la varante dotta di “intona” quando l’endecasillabo non ne avrebbe sofferto; questa scelta è dovuta al valore fonosimbolico della parola “intuona” che associata “al vento” sembra annunciare un temporale in arrivo e con lui, la fine dell’idillio (della quiete prima della tempesta, annota acutamente il prof. Baldoino). Ma questo annuncio è in forma di canto, cioè di poesia. Ed è grazie alla poesia che anche l’annuncio di una fine (quindi di una morte) può stemperare e contenere la sofferenza dell’anima umana.

  2. Stimolante l’accostamento a Fattori.
    Vedo che consenti con me sul fatto che il termine “intuona” funga da polo-baricentro della poesia, nonostante sia posizionato quasi alla fine.
    C’è, intratestuale a “Myricae”, un collegamento che richiama con decisione il concetto espresso da “intuona”. Si trova ne “Il lampo” laddove con un formidabile ossimoro il poeta parla di “tacito tumulto”. In entrambi i casi si tratta di un tempo sospeso nell’ansia e nell’aria, spada di Damocle invisibile pronta a colpire. Sei d’accordo anche su questo?
    E’ un rilievo che sul mio commento non ho inserito, e perciò, siccome mi pare piuttosto importante per inquadrare la poetica di Pascoli, mi torna bene farlo qui.
    Grazie per l’attenzione mai banale che spesso riservi ai miei articoli.

  3. Sì, sono d’accordo. Nel fonosimbolismo pascoliano (penso anche a “La mia sera” risuona una specie di controcanto anche alle onopatepee più “giocose”, che ci parla dell’aspetto notturno e doloroso della vita.

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