Addio a Savona
Torno a scrivere su Trucioli, per una sorta di piccolo avvenimento personale: residente a Savona dalla nascita, sempre nel quartiere Fornaci tranne un breve periodo, ora mi sono trasferita nelle vicinanze, in campagna, ma comunque in un altro comune.
La cosa mi suscita, come è ovvio, reazioni contrastanti: aspettative e moderata euforia per il cambiamento, comprensibili malinconie, visto che alla mia età è più facile voltarsi indietro che guardare avanti, ma anche assenza di rimpianti, e persino un senso di sollievo.
Ora tutto quello che mi ha fatto pesantemente soffrire, specie negli ultimi anni, e che era diventato ancora più insostenibile nel mio frustrante periodo da consigliere comunale, in qualche modo non è più affar mio. La triste desolazione, il lento declino della mia città, per quanto mi arrechi ancora dispiacere, è qualcosa che osservo dall’esterno. Conscia che, se magari non ho fatto tutto quanto in mio potere per impedirlo, almeno, al contrario di tanti altri, ci ho provato.
Più anni si è calpestato questa terra, e più è facile fare confronti. Per la maggior parte impietosi.
Diciamo che prima dell’era Ruggeri c’erano comunque maggiore socialità, solidarietà, iniziative, partecipazione, vita dei quartieri, e il richiamo a certi ideali e simboli non appariva come ora, vuoto e insincero e retorico espediente. Poi gradatamente il grigio cemento ha avvolto tutto, di concerto con la crisi economica e produttiva gestita infierendo: residenziale al posto delle fabbriche e centri commerciali a soffocare i negozi.
Alcuni dei problemi che ci attanagliano sono comuni a molte altre realtà cittadine, ma diverso il modo di affrontarli. Il nostro provincialismo desolante, l’arretratezza, la mancanza di idee pesano come macigni. Pietre tombali la speculazione edilizia forsennata, vero regalo ai privati in cambio di briciole di oneri, del tutto insufficienti persino a ripianare le perdite e l’aumento di servizi necessario ai nuovi insediamenti, l’imbruttimento e la trascuratezza, con lo stato pietoso della gestione rifiuti, della pulizia, del verde, la lenta agonia del tessuto commerciale, economico, sociale, nella mostruosità di strabordanti centri commerciali, come dicevo, omologati al ribasso.
Savona ha perso importanza perché non si è fatta rispettare. Una classe politica assolutamente non all’altezza ha permesso che diventassimo il ventre molle della Liguria, depauperati via via di tutto quello che in un capoluogo di provincia dovrebbe essere presente, privi di voce in capitolo, in balia di scelte esterne.
Con un elettorato giustamente sempre più assente e sfiduciato è ovvio che chi governa la città, indipendentemente dal colore politico, si debba appoggiare a ben precisi punti di riferimento, e a quelli rispondere. Il resto è contorno, a volte contentino agli alleati minori, a volte improvvisazione, a volte folclore fine a se stesso, rare volte, quasi per caso, briciole positive, che tendono però a perdersi nel mare magnum dell’indifferente inefficienza.
Eppure lo sappiamo, lo abbiamo ripetuto fino alla nausea, Savona avrebbe molto da offrire, molto da valorizzare. Solo che, un passetto alla volta, stiamo distruggendo tutto quello che potrebbe aiutare, incoraggiando lo scempio irreversibile, ignorando opportunità e occasioni.
I nostri amministratori, da bravi savonesi (guardateci ai semafori) sono lenti come bradipi, pigri, passivi, restii a prendere decisioni e ad affrontare celermente le situazioni.
A volte viene da benedire l’inazione, perché quando si sceglie, si sceglie il peggio senza ritorno né rimedio.
Appena si varca il confine comunale, il confronto appare immediatamente impietoso. Non che altrove non vi siano, purtroppo, scempi e speculazione, ma almeno si vedono giardini, giochi di bimbi e passeggiate in ordine, almeno certi servizi funzionano, le piccole realtà sportive e sociali sono aiutate, si percepisce ancora un senso della comunità, che qui, in un nucleo di meno di sessantamila monadi rancorose, si è perso.
E quando parlo di monadi rancorose so quel che dico. Provate a leggervi i commenti, su qualsiasi pagina social savonese. La media è francamente desolante, in tutti i sensi: superficialità, aggressività, ignoranza, tifoseria politica al limite del becero imbarazzante, la fanno da padroni. Anche quando si sfiora un argomento che potrebbe unire, si preferisce dar corpo al tutti contro tutti piuttosto che collaborare a un qualsiasi fine comune, sia di protesta o costruttivo.
In una città dove i bambini non hanno spazi e ascolto, dove i giovani, sempre meno e incoraggiati ad andarsene, sono ridotti a folclore, social e movida, senza alcuna comprensione dei loro bisogni, speranze, aspettative, possibilità, ovvio che tutto ancora si regga su uno zoccolo duro di anziani, ancorati a vecchi valori e disvalori, indifferenti a quanto poco li rappresenti chi ora li incarna. Appartenenza, come una maglia da sfoggiare, tifoseria, voto di protesta senza grosse motivazioni, o di reazione al “nemico”, plagio di media sempre più scorretti e cialtroni.
Per quanto sia anziana pure io, non mi riconosco affatto in questa categoria deleteria e nociva.
Che poi, intendiamoci, non vuol essere una critica agli anziani in generale: in una società che funziona, portano saggezza, memoria, equilibrio, ricevendo in cambio dai giovani nuove energie e motivazioni.
In una società sfatta come la nostra, prevalgono, o almeno si notano di più, gli anziani acidi e i giovani superficiali e vuoti. Ed è molto, molto difficile invertire la tendenza, ogni giorno che passa. La pandemia ci ha ulteriormente fatti rintanare, mentalmente e fisicamente. Non bastano iniziative isolate, ci vorrebbe un moto generale di cambiamento.
Non ne vedo la volontà, e certo le condizioni al contorno non aiutano.
Addio a Savona, dunque. Vado a coltivare il mio orticello, come diceva Voltaire.
Beccatevi l’ennesima voragine di soldi per l’inutile Aurelia bis, che nessuno dei politici locali pareva volere ma che, chissà come mai, ci è stata imposta. Cifre e tempi di completamento che gridano vendetta.
Beccatevi altri soldi pubblici spesi per rimuovere condizioni ostative alle future speculazioni in zona Binario Blu. Si parla di un bel supermercato, non vi viene l’acquolina? Ma già, ci sarà un Palaeventi. Dicono che senza favorire la massima speculazione privata il pubblico non può far niente… eccetera eccetera. Conosco l’alibi-tiritera, così smentito dai fatti che non meriterebbe replica.
Beccatevi, in sordina, una palazzina con assurdi box interrati quasi sul mare, rimasta ferma e ora ripartita con oneri risibili.
E poi, chissà, appena trovato l’appiglio giusto, il pretesto, lo specchietto per farlo digerire ad alleati ben disposti al Maalox, ecco rivedremo i Solimano e le villette palafitta, del resto ben presenti nello squisito progetto di via Nizza, tanto bello quanto utile. Facciamo qualche piccolo esempio di come avrebbero potuto essere spesi quei soldi? Meglio di no, che poi mi dicono che sono populista. Certo chiamare “periferia degradata” il lungomare ci vuole un coraggio da leoni. E Villapiana, Lavagnola, piazzale Moroni, cosa sono? Beverly Hills?
Insomma, tutto procede nei binari prefissati, senza troppi scossoni, coi soliti tempi lenti ma inesorabili. Vedo andare avanti sempre gli stessi progetti rimasticati da anni e anni.
Ah, be’, c’è la pedonalizzazione. Per carità, sono favorevolissima, ma imporla senza pianificazione dei parcheggi, studio dei flussi di traffico e compensazioni rischia di diventare controproducente, scontentando residenti e commercianti e creando ulteriori problemi di intasamento. Nel perfetto stile da sinistra velleitaria che, come per i diritti civili e altri temi, tira dritto sul principio, enfatizza, impone, e finisce per ottenere risultati opposti e rendersi odiosa ai più.
Del resto non è mica da un giorno che si favoriscono i centri commerciali coi loro vasti parcheggi gratuiti. E le loro merci sempre più scadenti.
Curioso che ci siano beni quasi impossibili da reperire, nel depauperamento del tessuto commerciale.
Ma non preoccupiamoci, il commercio on line farà giustizia di tutti. Creando poco lavoro precario e sfruttato, e lasciando ulteriori macerie. O no?
Ma tanto, a chi importa. Togliamone, di parcheggi indispensabili. Come quello sotto il Priamar che io, pur amante del verde, non vedo utile barattare con un po’ di erbetta e cespugli, (recuperabili facilmente in altri posti da risanare) in un punto strategico di ingresso in città, vicino alla darsena e al mercato coperto. Togliendo, tra l’altro, altri cespiti all’agonizzante Ata e favorendo il carissimo e privato park Arsenale.
Quell’Ata sulle cui vicende, sulla lentezza di risoluzione, sul probabile non accertamento concreto di responsabilità, non mi pronuncio neanche più. Mi metterei solo un velo grigio sulla testa ululando come le prefiche delle tragedie greche.
Le strade puzzolenti, il grigiore, l’incuranza dominante, le tante serrande abbassate li vedrò solo di passaggio, ormai, non ogni giorno uscendo di casa.
Non è più affar mio.
Scusatemi se, però, un pochino ci patisco ancora.
Quanta amarezza nelle tue giuste e condivisibili parole… Mi spiace perderti come concittadina e vorrei al contempo emularti presto. Un abbraccio