A&A = AIUTI ALLA FINANZA – AUSTERITÀ PER I POPOLI

A&A = AIUTI ALLA FINANZA –
AUSTERITÀ PER I POPOLI
Il populismo è la democrazia degli altri! (G. Tremonti)

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Il populismo è la democrazia degli altri! (G. Tremonti)

L’ultimo libro di Giulio Tremonti, BUGIE e VERITÀ, è un costrutto di considerazioni, giudizi, flashback sulla scorta della sua,  pur frammentaria, esperienza di primo piano attraverso gli scorsi 20 anni. Ne faccio qui alcune spigolature tra quelle che ritengo più meritevoli di riflessione e approfondimento.


Un conto è tassare il reddito prodotto, un conto è impedire con le tasse che il reddito sia prodotto: troppe tasse e troppa paura. […] Possiamo perderla, questa nuova guerra –finanziaria- se per paura accettiamo di farci colonizzare, se ci auto-colonizziamo, se diamo il continuo consenso al nostro suicidio.

Un suicidio iniziato con l’ingresso forzato nell’euro, grazie a operazioni finanziarie così strutturate: prima si incassavano somme molto rilevanti; poi, in contropartita rispetto a queste entrate di cassa, si assumeva un corrispondente debito, sotto forma di “swaption”, in modo da occultare e postergare il debito stesso, contabilizzando subito le entrate, ma occultando e rinviando nel tempo le uscite […] ancora ignote oggi, con l’approssimarsi delle scadenze. [Ignote persino al Ministro del Tesoro! NdR]. Ecco perché l’Italia, all’atto del suo ingresso nell’euro, ha dovuto accettare un molto penalizzante cambio lira/euro: gli altri governi europei erano perfettamente al corrente di queste operazioni di “swap”, così poterono esercitare sull’Italia la loro “moral suasion”.

È curioso, ma è come se si stesse avverando la profezia di Marx sul comunismo, che si sarebbe realizzato quando il tasso di interesse fosse stato “prossimo allo zero”. […] Oggi il comunismo si concreta proprio in questi termini, ma al contrario: comunismo a tasso zero, ma solo per le banche! Per le imprese, per gli individui, per le famiglie il tasso resta invece normale, e perciò non comunista.

Quando si rileva che 85 persone possiedono quanto metà della popolazione mondiale […] e che oggi la massa finanziaria globale è pari a circa 70 trilioni di dollari (contro il mezzo trilione degli anni ’80) si capisce perché, grazie a questo numero folle, multiplo surreale della ricchezza reale, si determini la dimensione di potenza della finanza globale […] che non ha esercito, non ha confini, non ha regole, non riconosce diritti, non è soggetta a corti di giustizia, non ha leader visibili, scambia la democrazia con l’oligarchia […] mette il credito al posto del reddito, il calcolo al posto della fatica, la speculazione al posto del lavoro.

E che dire dell’irresponsabilità e dello scandalo della BCE che, per anni, ha maniacalmente attenzionato gli Stati, i deficit e i debiti pubblici, per contro platealmente ignorando che la crisi non sarebbe venuta dai bilanci pubblici ma, all’opposto, dai bilanci finanziari e bancari? […] È così che, a seguito di un esperimento mai fatto e visto nella storia (governi senza moneta, moneta senza governi e una banca centrale senza centro), la BCE si è via via sviluppata come un “hedge fund” [un fondo speculativo, NdR].

I mandanti del “dolce” colpo di Stato

Tremonti parla di un “dolce colpo di Stato”, effettuato in tre tempi: il primo, con la lettera “apostolica” di J. C. Trichet, allora governatore della BCE, datata 5 agosto 2011, “strutturata come un aut aut, un ricatto” nel senso che, se il governo italiano non avesse ottemperato ad una serie di diktat “entro settembre”, la BCE non avrebbe ottemperato al piano di acquisto dei titoli pubblici italiani. Il secondo colpo avvenne il 3 novembre 2011, al vertice di Cannes, durante il quale furono fatte formidabili pressioni sulla delegazione italiana affinché si accettassero gli “aiuti” del FMI. Al che Tremonti oppose un fermo diniego, affermando che “Conosco modi migliori per suicidarsi”. Una posizione che determinò il terzo colpo: la testa di Berlusconi e del suo governo, costretto alle dimissioni solo tre giorni dopo. Altri tre giorni e Monti fu nominato senatore a vita e subito dopo capo di un governo “lacrime e sangue”, col via libera alla “teologia delle privatizzazioni”, presentate come rimedio decisivo contro il “male assoluto” dello Stato. Quelle privatizzazioni inaugurate già 20 anni prima con l’approdo del Britannia sulle nostre coste, quando, con la supervisione di un Mario Draghi direttore generale del Tesoro, quote enormi del patrimonio industriale nazionale vennero vendute, ma a debito, a capitalisti senza capitale. E, aggiungo, con una lira appena svalutata del 30%, per rendere le vendite ancor più deliberatamente svendite. (Draghi poi, al pari di tutti coloro che implementarono docilmente i dettami di Bruxelles e Francoforte, fece una carriera strabiliante: al pari di Prodi e Ciampi, tanto per citare i maggiori).

E proprio 20 anni fa la sinistra fu costretta ad emigrare in fretta e furia e senza bagagli dai templi di Mosca ai nuovi templi di Londra e Bruxelles, così migrando dai vecchi dogmi comunisti ai nuovi dogmi “mercatisti” ed “europeisti”. […] Il divino mercato, dunque, usato dalla sinistra governista per coprire, all’ombra dell’altrui forza, la debolezza del suo pensiero ultimo, trasformandosi di fatto in fiduciaria domestica dell’interesse privato travestito da interesse pubblico, volonterosa guardiana dell’argenteria dei signorotti del castello. Insomma una sinistra governista che ha tagliato le radici con il suo passato, diventando più cosmopolita che internazionale, alfiera della globalizzazione, per ironia della sorte promossa, accelerata, adorata dalla sinistra come la “terra promessa”.

La macchina politica europea si è di colpo fermata […] non ha più voce per parlare ai popoli europei. Per la verità ha ancora una voce residua, ma la usa per parlare di tassi di interesse e di cambio. […] L’Europa non ha una vera mano pubblica, e c‘è quindi un fortissimo, caotico vuoto di potere. […] L’Europa ha unito ciò che invece doveva dividere: economia privata ed economia pubblica, finanza di mercato e bilanci degli Stati, che tendono confusamente a ibridarsi, a identificarsi.

Come vede Tremonti la crisi, partita nel 2007 e tuttora in corso? Come il succedersi di tre “mostri”.  La crisi dei debiti pubblici non è la causa ma l’effetto della crisi dei debiti privati. Ma le prime perdite sono state trasferite da chi le ha prodotte –il sistema finanziario bancario- agli Stati, facendone crescere a dismisura i bilanci. Questo “primo mostro”, apparso nel 2008, è stato cioè gestito con mezzi attinti ai bilanci degli Stati. Il secondo mostro, esploso nel 2010, è stato fronteggiato usando i fondi delle banche centrali, stampando moneta su scala industriale; se tutto ciò non è servito che a rinviare il male, girandolo da una tasca all’altra, oggi, nel caso non improbabile che arrivi il “terzo mostro”, si pensa di poter far ricorso al cosiddetto “bail in”, ossia al correntista-risparmiatore-depositante, mettendo le mani nei conti correnti privati.

 

La vittima designata

Se una volta ci si diceva, in termini minacciosi: vi cacciamo dall’euro! Ora la vera minaccia è quella contraria: vi teniamo nell’euro! […] Si dice che l’euro è irreversibile. Bene. Ma deve essere irreversibile anche la democrazia. […] E dunque, come uscire da un modello fallimentare, basato prima sul debito e poi sul ricatto? Elenco quelle che ritengo le principali “uscite di sicurezza”, come Tremonti le chiama, tra le numerose che elenca:

  A) Anche in Italia, un referendum propositivo sull’Europa. Per un’Europa che non continui a trattare i Paesi e i popoli europei come capri espiatori, seguitando invece a trattare come salvatori i veri colpevoli (i banchieri, la   finanza, gli hedge fund, ecc.).

  B) Protezione della nostra produzione. La concorrenza, per essere tale, deve essere leale. In sostanza, non si può competere, senza opportuni dazi, con nazioni, come la Cina, pressoché prive di regole, sia umane che ambientali, a meno di allinearci ai loro livelli, come purtroppo si sta verificando, anno dopo anno.

 C) Separazione tra credito produttivo e attività speculativa. Insomma, banche di deposito separate da quelle d’investimento: tornando allo spirito della legge Glass-Steagall, varata da Roosevelt nel 1933 e abrogata da Clinton nel 1999. In Italia sta per approdare in Senato una legge per il ripristino di questa separazione. Speriamo che passi.

 D) Contestare il suaccennato bail in, che, dietro lo schermo della c. d. “unione bancaria europea” e della “ordinata risoluzione delle crisi”, prevede che, se una banca salta, il conto lo pagano i depositanti-risparmiatori (nonostante l’art. 47 della Costituzione lo vieti!). Come è già stato, per prova generale (tipo Guernica), a Cipro.

 E) Attribuire alla BCE la competenza a intervenire sul cambio, per evitare che quello dell’euro sia “passivo”, ossia dominato da fuori, dal dollaro: in altri termini, porre fine alla sua subalternità ai cambi di altre valute, subendole supinamente.

Naturalmente, per motivi di spazio, devo fermarmi qui, pur essendo il libro ricco di numerosi altri spunti di riflessione; ma penso di aver posto in evidenza quelli più cogenti. Se mi è consentito fare un’osservazione al testo di un personaggio con una così protratta esperienza governativa, vorrei far notare come manchino indicazioni di più radicali “vie d’uscita”, quali l’abolizione drastica della leva finanziaria, nonché dell’istituto dei titoli pubblici per l’acquisizione di moneta da una Banca Centrale, sia pur pubblica, con ciò evitando il fenomeno -denunciato come esiziale dallo stesso Tremonti, che auspica il rimpatrio del nostro debito pubblico- della disseminazione di nostri titoli del Tesoro in mani straniere, che frustra ogni proposito di riscatto dall’attuale giogo finanziario globale.

In ogni caso, un libro da leggere, per meglio capire in quale ginepraio ci hanno cacciato, naturalmente a nostra insaputa, e per cercare alcune possibili strade per svincolarcene.

Marco Giacinto Pellifroni     20 aprile 2014

 

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