A onor del vero
Dal video su YouTube “Le eresie catare. La civiltà cristiana (XI puntata)” di “Cooperatores Veritatis” del 9 novembre 2022, viene qui di seguito riprodotto fedelmente (sia nella sintassi che nel lessico) parte del discorso che una catechista e terziaria domenicana fa per presentare la conferenza del professor Carlo Manetti sull’argomento succitato. Il quale sente e, pare, acconsente; e comunque non dissente.
“(…). Insomma, san Domenico con la veritas, con la verità… Ecco uno parla oggi, no professore? Il dialogare, dialogare, dialogare! No, non è questo che ci insegnano i santi. Il vero, se vogliamo chiamarlo dialogo, è che io mi metto seduto e ti dico: – No, guarda, le cose stanno così, così, e cosà.
Questo è il dialogare. Non che io debba accettare che l’altro… L’altro al limite mi può fare delle domande, può chiedermi qualche dubbio; ma deve porsi sulla linea della comprensione e della ricerca della verità; non per difendere la propria opinione sbagliata. Oggi invece c’è molta confusione: – Eh, va bene, ti lascio… Va beh! La pensi così, ma che male c’è! L’importante che ci vogliamo bene!
Eh no! Manco per sogno! Io continuerò a volerti bene, ma l’amicizia (lo dice Gesù, no? – Vi ho chiamato amici -), (…) fa parte anche di questo modo di rapportarsi di questi grandi santi verso gli eretici. Coloro che vivevano nell’errore. Questa è stata la vera carità dei santi.”
Ebbene, per quale motivo proprio questa citazione invece di quella, e ci sarebbe solo l’imbarazzo della scelta, di qualche santo, o teologo, o papa, o comunque personaggio famoso?
E’ stata in realtà una scelta dettata dalla peculiarità di riportare il pensiero di una persona che appartiene all’ordine dei Domenicani, cioè coloro che, primi in assoluto, a cominciare dal 1216 si occuparono (e anzi nacquero apposta per occuparsene) dietro consenso papale, di contrastare l’eresia catara; e di farlo senza escludere la violenza, legittimati dalla fede. Era perciò la scelta più consona a un raffronto per constatare il persistere a livello di sedimentazione nell’arco dei secoli di un modo di intendere e gestire la verità, e vedere se era rimasto il medesimo per impostazione mentale, fino ad assorbire e metabolizzare nella ovvietà del quotidiano di una chiacchierata on line, un principio così grave e pericoloso come quello secondo cui l’unica verità è la propria. Tradotto: se la pensi diversamente da me, sappi che no, non potrai continuare a farlo “manco per sogno”. Mentre io, che giustifico chi ha adottato e agìto la tortura come inquisitori, papi, vescovi e monaci, non faccio altro che praticare la carità cristiana, com’è dimostrato da Domenico che è diventato san Domenico.
Domenico di Guzman e i suoi confratelli infatti, prima cercavano di convincere gli eretici, catari in primis, ad abbandonare l’ ”eresia” mettendo in campo la loro conoscenza dei libri sacri e la loro raffinata arte dialettica; e dopo, se non ci riuscivano, li portavano a processo. Alla fine del quale l’ inquisitore, che aveva studiato a fondo le tecniche di interrogatorio, emanava il suo verdetto.
Se l’accusato abiurava, aveva salva la vita; altrimenti, se non voleva abiurare, magari neanche sotto tortura, veniva consegnato al braccio secolare perché fosse messo al rogo. Era infatti il potere temporale che doveva assumersi materialmente l’onere di giustiziarlo, in quanto la Chiesa si era data la regola di non agire macchiandosi direttamente di “sanguinis effusione”.
Ecco, siccome per gli eretici oggigiorno non è più previsto il rogo, si poteva presumere che anche la mentalità che ad esso era sottesa (secondo cui il possesso della verità rivelata è acquisito per fede e la verità degli altri che non avevano avuto, per esempio, una folgorazione simile a quella di Saulo-Paolo, doveva essere smascherata e mostrata nella sua depravazione), fosse cambiata, e ci si rendesse conto che qualcun altro potesse con lo stesso diritto dire qualcosa di diverso, o magari di essere specularmente, ovvero in modo uguale e contrario, folgorato da un altro Dio.
Invece no. Al rogo non si può più mandare nessuno, ma l’idea resta quella di essere i detentori unici dell’unica verità e di non dover neppure considerare quella altrui.
Eppure non dovrebbe venire in mente, così, di passaggio, che se i detentori della verità nella loro missione di convertire i peccatori dal peccato di essere diversamente credenti arrivano a ridurli in cenere quando quelli non si piegano pur di persistere nel loro “peccato” e si rassegnano a essere inceneriti, c’è qualcosa che forse non torna? Quale sarebbe la convenienza di pervicacemente restare fermi nella propria convinzione? Volare di lì a poco nel vento?
Pare che 800 anni siano passati invano. E, si ribadisce, non si tratta solo di uno specifico ordine monastico a voler imporre la verità. È stato solo il primo. Poi molte altre entità (comunità, gruppi, congregazioni, movimenti…) interne alle tre religioni monoteiste l’hanno in qualche modo replicato; non perché avessero bisogno di un modello, ma perché era ed è una facile, se non proprio naturale, deriva di tutte le religioni che ammettono un solo Dio: il mio.
Sono tanti, per esempio, guardando all’attualità del conflitto israelo-palestinese, gli ebrei ultra-ortodossi che tenendo in poco o nessun conto altre considerazioni di natura più razionale e comunque discutibili (nel senso di poter essere discusse), basano la loro pretesa di allargare progressivamente i loro insediamenti in Palestina sul fatto che Dio quasi 4000 anni fa avrebbe parlato con Abramo e gli avrebbe promesso la Terra di Canaan. E con questo ovviamente ogni possibilità di discussione, viene meno.
Ma abbiamo ormai imparato dalla terziaria domenicana che non è il dialogo del mettersi in gioco il tipo di dialogo che ci insegnano i santi.
Rileggiamo allora le sue affermazioni per non rischiare di dimenticarle, affinché ci servano da ammaestramento. Repetita iuvant:
“Il vero, se vogliamo chiamarlo dialogo, è che io mi metto seduto e ti dico: ”No, guarda, le cose stanno così, così e cosà. Questo è il dialogare. (…) L’altro al limite mi può fare delle domande, può chiedermi qualche dubbio; ma deve porsi sulla linea della comprensione e della ricerca della verità; non per difendere la propria opinione sbagliata”.