Il MoVimento 5 Stelle

Grillo, il MoVimento 5 Stelle
 e il tema del lavoro

Grillo, il MoVimento 5 Stelle  e il tema del lavoro
  

Fra i tanti discorsi e le obiezioni che vengono ripetuti in questi giorni, uno che va molto di moda, soprattutto a sinistra, è quello di dire che Beppe Grillo e il programma del MoVimento da lui fondato ignorerebbero il grande e drammatico tema del lavoro.

L’accusa è subdola, tanto e vero che di primo acchito molti non sanno come ribattere. E’ un argomento furbo, innanzitutto perché si tratta di uno dei grandi cavalli di battaglia, e giustamente, delle lotte sociali della sinistra. Difficile negarlo a priori.

Poi, per i sottintesi che si porterebbe dietro: da quello che non si abbia la più pallida idea in merito, che il programma del MoVimento sia incompleto e velleitario, e che sarebbe pericoloso mettere in mano a questi dilettanti la politica, la quale richiede soluzioni ben più articolate, all’insinuazione neppure troppo velata che ci sia qualcosa dietro, non soltanto incompetenza: che, cioè, sia troppo scomodo affrontare certi temi, scoprirsi e prendere posizioni. Ipotizzando oscure alleanze e trame con i grandi poteri finanziari per distogliere l’attenzione da ciò che è davvero cruciale.

 

Ora, il complottismo non è mai andato tanto di moda come adesso: complotti e contro complotti, false verità e mezze bugie abilmente mescolate, insinuate e diffuse più o meno in buona fede, sussurrandole o nel clamore mediatico, hanno trasformato questo Paese nel regno della paranoia.

 

Mette male districarsi da questa ragnatela, senza che qualcuno, che è stato esposto a queste “radiazioni” e le ha assorbite, per prevenzione o per ideologia o per informazione incompleta, salti su senza ascoltare e indignandosi a prescindere.

 

Ma proviamoci lo stesso.

Prima di tutto, diciamo che è ingeneroso sbattere un tema scottante, enorme e compromesso come quello del lavoro, in faccia a chi inizi adesso un percorso politico.

 

Non è certo colpa di Grillo o del MoVimento se siamo al punto in cui siamo, se nel momento attuale si eredita una situazione tanto grave.

Esattamente per lo stesso motivo per cui, se si affrontasse il tema sentenziando con superficialità e affermando di avere tutte le soluzioni, tutte quelle persone e quelle forze che in questo Paese si sono battute per anni su questo argomento potrebbero giustamente risentirsi.

La cautela e il rispetto sono d’obbligo, nel bene e nel male.

 

Diciamo però che non molti avrebbero titoli e voce in capitolo per accusare.

Non li ha di certo il Pd, né gli ex-Ds.

Cosa hanno fatto per il lavoro e per i lavoratori in questi anni, se non ossequiare il grande capitale, le imprese e le banche, aderire alle speculazioni, essere i più accaniti difensori di liberalizzazioni e privatizzazioni, portare in palma di mano gente come Ichino o Calearo, molto più ascoltati degli operai? Girandosi dall’altra parte ogni volta che un pezzetto delle conquiste dei lavoratori veniva intaccato. Il che a grandi linee vale anche per il sindacato, con qualche eccezione, ovviamente.

 Per non parlare di Marchionne. L’idolo infranto.

E c’era da stupirsi e gridare al tradimento, se un manager parla da manager e non da italiano difensore degli operai?

Sarebbe come meravigliarsi perché l’orco non è vegetariano. Ma tutta questa gente pensa che la lotta di classe sia stata solo una irresponsabile caciara di lavoratori egoisti, fannulloni e maleducati, che inspiegabilmente si opponevano a datori di lavoro tanto lungimiranti, tanto accomodanti, tanto attenti al bene comune, tanto altruisti, più di una Madre Teresa?

Io, a dire la verità, non ho provato alcuna sorpresa né indignazione (piuttosto amarezza) per le parole di Marchionne. Anzi. Almeno è stato sincero, gettando la maschera. Scommetto che è persino stupito del clamore suscitato.

Perché questi manager di multinazionali sono così. Persone a metà. Del tutto privi di immaginazione ed empatia, dediti freddamente ai loro piani economici, ai loro risultati finanziari, da non vedere niente al di fuori, anzi, da non riuscire neppure a capire l’esistenza di qualcos’altro.

Questa è la loro estrema pericolosità, la pericolosità di affidare completamente il mondo a gente del genere.

Indignarsi ora, è da ingenui o in qualche caso da ipocriti.

Voglio proprio vedere se davvero Fazio, il degno campioncino di questa cosiddetta sinistra perbenino, inviterà adesso i tre licenziati di Melfi, come da più parti gli viene chiesto.

Perché non ho provato sorpresa? Ricordo benissimo come rispose Riccardo Genta, all’epoca a capo di Ferrania nonché Presidente dell’Unione Industriali di Savona (e sottolineo Savona), a una riunione con i sindacati che chiedevano alla cordata di dirigenti che avevano rilevato l’azienda una garanzia di salvare l’occupazione, un piano industriale, un minimo di attenzione per i lavoratori di una fabbrica e di una comunità a cui, dopotutto, loro stessi appartenevano.

 

Loro proponevano investimenti, mantenimento di produzioni, impegni concreti. Lui li gelò, liquidandoli con un semplice: dobbiamo capire cosa sia meglio per l’azienda.

 

E l’azienda, per lui, allora, era Ferrania Technologies, finanziaria con sede in Lussemburgo.

 

Primo suo impegno era assicurare il maggior profitto possibile alla proprietà, anche chiudendo o delocalizzando. Lo stabilimento di Ferrania era del tutto secondario.

 

Ecco come ragiona un manager. Non ha una comunità, non ha sentimenti, ha solo investitori a cui rispondere. Attenzione: non dico un imprenditore. Dico un manager, e non è casuale la differenza.

Non nego che esistano piccoli e medi imprenditori dotati di spirito ben diverso.

 

Allora, se non sappiamo dircele chiare in faccia, le cose, non andremo da nessuna parte.

 

Finiamola con le ipocrisie, e poi, forse, potremo accusare chi, come Beppe Grillo e pochi altri, queste ipocrisie le smaschera continuamente, senza peli sulla lingua.

 

Non chiamiamo sviluppo e opportunità di crescita le continue rese incondizionate ai gruppi di potere che mirano solo ad accrescere enormemente il profitto devastando l’ambiente e la salute e offrendo briciole in cambio, pochi posti di lavoro precari e soggetti a ricatto.

 

Non chiamiamo riqualificazione le speculazioni che cancellano qualsiasi parvenza di vita dal tessuto urbano.

 

Chiamiamo proteste dei lavoratori quelle che lo sono veramente, che lottano contro peggioramenti della sicurezza, delle condizioni economiche e lavorative, contro licenziamenti e ristrutturazioni, contro precariato e mobbing. Non quelle supportate dalle Aziende (e da sindacati compiacenti che suonano nell’orchestra) utilizzando i lavoratori come scudi umani per ottenere le ennesime agevolazioni, i soliti finanziamenti pubblici a fondo perduto, oppure per far passare le peggiori porcherie a spese della comunità.

Soprattutto, non fingiamo che non esistano alternative, solo perché non le vogliamo vedere, non sono lucrose per i soliti pochi, sono fuori dagli interessi consolidati.

 Un politico deve ragionare da amministratore dei cittadini e appartenente alla comunità, non da manager. Uno dei peggiori errori che abbiamo commesso in questi anni, elevando la finanza su piedistallo, è stato credere che questa categoria miope e squallida, il manager, possedesse le chiavi di tutto.

Così abbiamo impoverito il tessuto sociale. Così abbiamo distrutto il bene comune. Così abbiamo dilapidato patrimoni, in tutti i sensi, non solo economici.

 

Ecco, il MoVimento vorrebbe ripartire da questo, dalla comunità. Perché se si ricostruisce questo tessuto lacerato, si può ripartire, e il tema del lavoro viene di conseguenza, è strettamente correlato in un circolo virtuoso.

 

Se invece si parla di lavoro a se stante, ripercorrendo le stesse vecchie strade che ci hanno portato a questo, non si va da nessuna parte, si fanno solo chiacchiere, si mettono le persone e i gruppi gli uni contro gli altri, come polli di Renzo, sempre di più, sempre peggio, perenni ostaggi di un mega potere economico che se ne fa beffe di noi e persegue solo i suoi fini.

 

Un paio di esempi, per spiegare cosa intendo.

Politica dei rifiuti. Da una parte abbiamo i mega inceneritori, anni per costruirli, enormi investimenti, danni all’ambiente da fumi e ceneri, sperpero di risorse, pochi posti di lavoro, lucro privato.

Dall’altra abbiamo una pratica virtuosa di riciclo, che a fronte di un piccolo investimento pubblico iniziale (per il quale, chissà perché, i soldi non ci sono mai) permette di avviare varie forme di microimprenditoria, riducendo lo spreco e l’inquinamento e fornendo almeno DIECI volte tanti posti di lavoro.

 

Politica urbana. Da una parte le mega speculazioni, inutili e sovrabbondanti case per ricchi, terreni anche pubblici svenduti, lavoro in subappalto poco qualificato e temporaneo, prevalentemente di stranieri sfruttati. Dall’altra ristrutturazioni, riqualificazioni (quelle vere!) energetiche, con lavori diffusi per piccole imprese locali ad alta qualifica tecnica.

 

E poi l’attenzione all’impresa, alle produzioni locali, il rilancio di un turismo integrato al territorio, diffuso e sostenibile, l’importanza della tecnologia, della cultura e delle sottoculture, nuove strade per il commercio, un freno alla grande distribuzione, una considerazione del patrimonio pubblico per quel che può valere, anziché per svenderlo, una oculata e trasparente politica degli appalti e della spesa…

 

Ci sono tante vie, tante idee, anche già sperimentate altrove.

Certo, non si pretende la panacea, la bacchetta magica, capace di superare i guai della deindustrializzazione prima, della globalizzazione esasperata e della crisi finanziaria poi.

Alcuni grandi temi, se non affrontati a livello almeno europeo, non si possono fronteggiare. Altre politiche attengono specificamente al livello nazionale. E se e quando il MoVimento si presenterà a elezioni politiche, si vedrà.

Per ora, a livello locale, le basi ci sono, per tentare almeno di mettere insieme tante piccole risposte. Per dare segnali di inversione di tendenza. E, fuori dalle ipocrisie che mascherano i grandi interessi, se ne può parlare. 

 

Milena Debenedetti     30/10/2010

Il mio ultimo romanzo  I Maghi degli Elementi 

 

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