Ed in questa ottica l’avversario non è tanto chi milita in un altro partito, quanto piuttosto colui che appartiene alle altre fazioni del loro stesso partito, luogo in cui non si parla di politica o di programmi, ma di posti o posizioni di comando.
Non ci si stupisca quindi che un (ex) senatore della Repubblica si faccia chiamare “mio schiavo” da un imprenditore corrotto e corruttore e si presti a tutto (patti con la mafia inclusi) pur di raggiungere e mantenere lo status di parlamentare.
Questa degenerazione è particolarmente evidente nel centrodestra, dove il partito principale nasce come emanazione diretta del “capo”, ma ha colpito anche, in misura più o meno grave, alcune forze di opposizione, come dimostrano cronache recenti.
Che cosa si può fare, quindi, per uscire da questa situazione, sempre che sia possibile.
La risposta ce la fornisce ancora l’art. 49 della Costituzione e l’ha sviluppata molto bene Franco Astengo in un lucido ed interessante articolo apparso su Trucioli savonesi qualche giorno fa.
Per ritrovare il senso della buona politica occorre riappropriarsi dalla funzione originaria dei partiti quali associazioni ove si concorre alla elaborazione delle grandi scelte nazionali e, ovviamente, di quelle locali.
In altri termini servono dei luoghi ove lo scambio di idee prevalga sui personalismi e diventi nuovamente il motore dell’attività politica: un partito inteso come intellettuale collettivo, dove anche “la cuoca partecipi al governo della nazione”, come diceva un rivoluzionario del secolo scorso.
Occorre quindi ripensare il rapporto tra individuo e collettività, non ovviamente per sopprimere o soffocare le singole individualità in un grigio collettivismo, ma proprio per permettere a tutti di potersi affermare (di poter affermare la propria personalità) in un contesto sociale, dove “il libero sviluppo di ciascuno sia condizione del libero sviluppo di tutti”.
Ed occorre iniziare a costruire, partendo subito dopo queste elezioni, quel “soggetto in grado di indicare, in prospettiva, un diverso modello di società, di relazioni politiche, economiche e sociali”, per riprendere proprio le parole di Franco Astengo.
Un soggetto politico (un partito, appunto) che sia luogo di partecipazione e di confronto, che si candidi a diventare forza di governo a tutti i livelli senza però rinunciare ai propri principi, dove l’amministrare non sia finalizzato a ricoprire posti di potere (o a sponsorizzare interessi privatistici) ma a fornire risposte ai bisogni dei cittadini.
Di fronte alla degenerazione individualistica della politica gli anticorpi possono ritrovarsi soltanto attraverso la partecipazione larga ed appassionata di un grande numero di persone, donne e uomini, che si ritrovano a fare politica per affermare loro idee comuni, consapevoli che solo in questo modo si creeranno le condizioni per l’affermazione anche delle loro singole individualità.
* Sergio Acquilino: avvocato, sindaco di Celle Ligure dal 1995 al 1999 è candidato alle elezioni regionali nella lista Sinistra Ecologia Libertà Savona
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