HOMO HOMINI LUPUS

Professor Lisorini, una cosa è indubitabile: le sue cogitazioni sul male non mi lasciano indifferente, diciamo che mi lasciano perplesso, molto perplesso, soprattutto quando afferma apoditticamente che “Il male non è il comportamento malvagio, non è il peccato; non si fa il male: si è il male. E’ il male che agisce in noi, è il nostro male, il male che siamo noi”. Ora – a parte il fatto che, a rigor di logica, dire che qualcosa agisce in noi non significa che siamo noi ad agire su noi stessi, ma, appunto “qualcosa” di inspiegabile e di alieno che si impossessa di noi indipendentemente dalla nostra volontà – lei prima ipostatizza il male come una realtà “che non si spiega, perché spiegare significa ricondurre qualcosa a qualcosa d’altro mentre il male è irriducibile, non rinvia ad altro da sé” e poi dice che questo “è il nostro male, il male che siamo noi”; in base al suo ragionamento, però, se il male è esterno a noi, allora noi non siamo il male, se invece il male è interno a noi, allora il male non è più un ente autonomo e sussistente in sé. Inoltre, se ipotizziamo l’esistenza di un essere completamente malvagio che agisce a nostro danno è sta in agguato aspettando, appunto, di dannarci approfittando delle nostre debolezze, delle nostre distrazioni, e, come dice Simone Weil, della forza di gravità che ci trascina in basso verso il buio della materia inerte, allora quell’essere è originariamente diverso dal nostro, perché in noi, oltre alla pesantezza della materialità che ci trascina verso il basso c’è (o c’era in origine) anche una forza misteriosa che ci spinge verso la luce. E’ vero che la pesantezza della materia sembra più forte della “grazia”, ma guai a fermarsi alle apparenze! Questo ci insegna, tra gli altri, Platone (veda l’allegoria della caverna). Quanto al pensiero di sant’ Agostino sul male, va precisato che non lo si può intendere se non in relazione al suo pensiero sul bene, anzi, sul sommo bene, che è Dio, e se Dio è la Bontà infinita, da dove viene il male? “Ubi ergo et unde et qua huc intrepsit? Quae radix eius et quod semen eius? An omnino non est (o forse non esiste del tutto)?” Agostino pone delle interrogazioni dubitative e si chiede se il male non consista proprio nel credere in qualcosa che non c’è, nel temere qualcosa che non esiste…Ma il problema, o meglio, il mistero dell’origine del male rimane appunto un mistero. Mi hanno poi lasciato molto perplesso le sue conclusioni sull’irrecuperabilità dei due assassini adolescenti e sull’inutilità del processo giudiziale e delle eventuali pene (le bestie, come lei dice, e gli “scarti” umani non si possono recuperare); l’orribile delitto fa orrore e raccapriccio, certamente, ma lei prova raccapriccio anche al solo pensiero di “percorsi di recupero, di riabilitazione, di reinserimento…” dimenticando il nolite iudicare evangelico. Tanto più che la colpa di questi delitti efferati, secondo lei, è del male assoluto. O mi sbaglio? Intendo comunque ritornare su questo argomento. A proposito, ha poi letto il mio articolo “Il latino lingua morta”? Ho aspettato finora invano le sue osservazioni critiche. 

Un saluto da Fulvio Sguerso

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