VIVI E LASCIA MORIRE

VIVI E LASCIA MORIRE

VIVI E LASCIA MORIRE

Tutti conosciamo il detto: “Vivi e lascia vivere”, lo avremo pronunciato ed ascoltato chissà quante volte. Un invito a proseguire lungo la propria strada senza curarsi troppo di chi ci circonda. Intravedo in questo modo di dire un tentativo consolatorio delle piccole e grandi frustrazioni cui ciascuno di noi va incontro quando gli viene negata l’altrui approvazione. Il giudizio dei nostri simili ci condiziona assai più di quanto, normalmente, siamo disposti ad ammettere. Abbiamo bisogno della validazione altrui, per sentirci gratificati certo, ma soprattutto per non sentirci soli.

Abbiamo bisogno di essere riconosciuti come individui. Questo perché la solitudine ci rende fragili, deboli, vulnerabili. Di solitudine si muore. Da qualche tempo si verificano con maggiore frequenza episodi di aggressioni e di violenza in contesti urbani, nella tranquilla indifferenza di chi vede e rimane inerte. O meglio, di chi vede e fa finta di non vedere. Potremmo definire questo comportamento “Vivi e lascia morire”, perché è questo ciò che spesso accade a chi viene lasciato abbandonato a se stesso su di un marciapiede o sul pavimento di una stazione ferroviaria. E’ questo che accadde al tassista Luca Massari, picchiato da tre persone dopo aver investito ed ucciso accidentalmente un cagnolino, è questo che accadde all’infermiera Maricica  Hahaianu picchiata da un ragazzo dopo un banale diverbio, e’ ciò che è recentemente accaduto a Milano dove un ragazzo è stato picchiato a morte, senza che nessuno intervenisse, almeno non prima di aver filmato il tutto col telefonino. In Paesi in cui l’urbanizzazione si è affermata in modo più repentino e massiccio, per esempio negli U.S.A., il fenomeno è studiato da tempo. In Italia si sta manifestando sempre più spesso. E’ davvero una tranquilla indifferenza quella che condiziona chi assiste ad un atto di violenza a non intervenire? Difficile una risposta: probabilmente, no. Difficile non accorgersi di una persona aggredita o esamine a terra. Piuttosto deboli le giustificazioni di chi afferma di non aver compreso la natura o la portata dell’episodio. Ricordo in tal senso le dichiarazioni di alcuni passeggeri di un autobus a Genova che, anni fa, non si accorsero che un uomo anziano era morto e non semplicemente addormentato sul suo sedile. A volte si tratta di pura e semplice omertà, di paura, di autotutela. Altre volte invece si tratta, a mio parere, di abitudine. Proprio così, di abitudine. Se ci si riflette un attimo, ormai siamo abituati ad assistere quotidianamente a scene di violenza, a tal punto che, specialmente in chi è più giovane, ciò diventa la normalità metropolitana. Poi, con tutta probabilità, interviene anche una diseducazione affettiva. I rapporti sociali in contesti urbani molto grandi sono spesso veloci e superficiali, di fatto è come se una persona fosse sola in mezzo ad una folla. Nei piccoli paesi o nelle cittadine di medie dimensioni, l’indifferenza verso una persona in difficoltà si verifica raramente. Utile osservare che il diffondersi delle relazioni virtuali attraverso internet depaupera notevolmente la carica affettiva che caratterizza i rapporti concreti. “Vivi e lascia morire” può sembrare un’affermazione forte, incisiva. Lo spero, perché ciò significherebbe avvertire il significato profondo dell’azione deliberatamente compiuta quando, appunto, si sceglie di “lasciare”. L’indifferenza è pur sempre una scelta deliberata.

Giovanna Rezzoagli Ganci

 

 

http://www.foglidicounseling.ssep.it

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