La spinosa questione del fascismo

L’argomento non è liquidabile con due sentenze ideologiche. Non ora.
Quel che ho da dire, quel che penso da tanto tempo, si presta ad accuse furibonde, come minimo di benaltrismo, come massimo di complicità nel fascismo stesso, e forse anche per questo molti, che come me fascisti non sono di sicuro, anzi, tutto il contrario, tacciono.

Ho iniziato più volte a scriverne, per poi cambiare idea, sicura che avrei attirato polemiche.
Eppure vi sarete resi conto, nonostante le autoesaltazioni compiaciute, che ai presidi antifascisti siete sempre in pochi, sempre gli stessi, più bandiere che persone. Che sui social i mi piace e i commenti pro o contro si contano sulle dita di una mano.
Qualcosa vorrà pur dire. L’indifferenza è sempre segnale preoccupante, perché preludio alla passività e al cedimento.
Non vi viene in mente che a forza di riempirvi la bocca di nobili principi astratti, continuamente smentiti dalla realtà, si finisce per essere controproducenti, per suscitare insofferenza e fastidio proprio là dove si vorrebbe ottenere consenso e partecipazione?
Perché occorre la parolina magica, la chiave di tutto: credibilità.

Quanto può essere credibile un assessore appartenente al partito renziano che partecipa a una manifestazione contro l’affossamento del ddl Zan, quando il suo partito è stato il principale artefice dell’affossamento, insieme con le destre? Che si è fatto eleggere in una lista civica, che ora è in maggioranza col centro sinistra mentre il suo partito di riferimento sta virando verso un accordo con Cambiamo di Toti?
Quanto è credibile chi la difende sui social con argomenti privi di qualsiasi logica, che testimoniano più che altro l’appartenenza a circoli ristretti di persone che si conoscono e si stimano a prescindere?
Sempre le stesse persone.
Quanto sono credibili quei circoli, quei locali, quelle sms, quelle associazioni che negano spazi per convegni o dibattiti in campagna elettorale, dicendosi apartitici e imparziali, e subito dopo organizzano convegni o dibattiti per qualche altra forza politica, o addirittura cene di finanziamento?
Sempre la stessa forza politica, tra l’altro.
Semplicemente perché non possono dire apertamente: no, a voi lo spazio non lo diamo perché ci state antipatici, perché abbiamo pregiudizi, perché non vogliamo inimicarci certi riferimenti.
Ecco. Ipocrisia. Muri di gomma che circondano confini non dichiarati, ma presenti e solidi, e soprattutto consolidati.  Consorterie cittadine compiaciute. E questo sarebbe antifascismo e democrazia? Apertura e libertà di pensiero? Pazienza negare spazi a chi democratico non è, tipo Casapound, ci sta eccome, ma i 5 stelle che mai avrebbero fatto di male per ricevere generale ostracismo?
Prendiamo il tristissimo episodio delle vetrine imbrattate. Tutto il clamore intorno, nel caso in cui si trattasse di un gesto sciagurato di qualche imbecille, non farebbe che ringalluzzirlo e magari spingerlo a ripetere.

Questo non lo si scongiura certo con manifestazioni o proteste, ma piuttosto con indagini puntuali e giudizi esemplari.
Meno che meno con l’iniziativa, al limite del ridicolo, anzi, oltre il ridicolo, del minuto di silenzio in Consiglio Comunale.
Nel caso invece in cui in città stessero davvero fermentando lieviti oscuri, pensate che sia uno sparuto presidio simbolico a scoraggiarli?
Ci vorrebbe quanto meno una manifestazione di piazza, tipo quelle ai tempi delle bombe di Savona. Altri tempi, altre coscienze. Altra società.
Non sarebbe meglio capire anche le cause, anziché pensare che basti mettere etichette e paletti?
Non capire le vere cause del fascismo è il modo migliore per propiziarlo, è quello che è avvenuto in passato, ed è quello che, guarda caso, sta avvenendo.
In un Paese in difficoltà e con divari sociali spaventosi la pandemia ha portato altro malessere. Sanità, scuola, servizi, cultura e molti altri riferimenti fondamentali sono stati poco alla volta depauperati dal liberismo imperante.  Il lavoro è diventato incubo, umiliazione, schiavitù. Persino esibiti e sdoganati con naturalezza, come vediamo quotidianamente. L’arroganza di chi ha già, ha troppo, e pretende sempre di più, si è fatta protervia. Le reazioni sono deboli pigolii.

Le persone, specie quelle prive di riferimenti culturali, tendono a far sfociare questo malessere in un ribellismo anarcoide individualista. D’altra parte, non è forse idolatrato l’individuo e disprezzata e distrutta la comunità, nella mentalità consumista che ci hanno inculcato?
Se non esiste nessuno che difenda i più deboli, che punti a una maggiore giustizia sociale, che cerchi di riequilibrare e di colmare certe voragini, che faccia da punto di riferimento, se al disagio si risponde genericamente con condanna e disprezzo, se in una parola tutto quello che è o almeno era sinistra è scomparso, è inevitabile che le reazioni di pancia e chi le sobilla prevalgano e raccolgano il malessere.
Ora, è indubitabile che fra tante brave persone impegnate e coerenti, in piazza si vedano esponenti e bandiere di chi ha enormi responsabilità in questa deriva, si è dato mani e piedi al liberismo in tutti questi anni.

Come può, dunque, essere credibile nei suoi proclami solenni? Come può non essere addirittura controproducente, facendo pensare che essere contro il fascismo sia una sorta di slogan astratto privo di significato, quasi una beffa?
Dovrebbero per prime rendersene conto le brave persone di cui sopra, esercitare spirito critico e tornare o continuare a lottare per obiettivi concreti, per migliorare la società e la qualità della vita.
E chiedere conto dell’opportunismo a chi si limita a slogan e bandiere. Chiedere fatti.
Altrimenti si avrà la sensazione che il tutto si riduca a una sorta di compagnia di giro che si riconosce e si esibisce, che si autoattribuisce patenti agli altri negate, e che basta a se stessa e al perpetuarsi del peggiore dei sistemi.
In attesa che i veri fascismi che bollono in pentola, i malesseri sociali mal indirizzati, li risveglino amaramente dai loro compiaciuti sonni.
E risveglino bruscamente tutti noi.

Milena Debenedetti

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