Arti antiche, sempre attuali

Arti antiche, sempre attuali

Arti antiche, sempre attuali

  Vedo un documentario su Primocanale. Si parla delle fornaci di Albissola (o Albisola, non so), in cui da tempo lontanissimo si cuoce l’argilla cavata e preparata in loco. Si tratta di un prodotto peculiare, che un tempo soddisfaceva un’esigenza famigliare e diffusa. Le stoviglie di terracotta erano in ogni casa. Inoltre, questa peculiare capacità è riuscita ad attrarre disegnatori, decoratori, artisti e artigiani in grado di passare dal semplice utensile, all’oggetto utile e bello, alle finiture di pregio, fino all’oggetto d’arte.


Mi ha ricordato, tutto questo, che a poca distanza c’è Altare, sempre nella stessa provincia, dove con una storia per molti versi simile, si è prodotto vetro. Tanto e tanto bene che questa tradizione ha causato la nascita di diverse fabbriche (Altare, Carcare, Dego) in funzione ancora oggi.

Sul valore, sulla storia e sulla bellezza delle lavorazioni altarine, parla il museo. Se non si fosse ancora fatto ne consiglio caldamente una visita, giusto per rendersi conto di cosa stiamo parlando.

È così: le “arti del fuoco” venivano allontanate dalla città, perché pericolose (le case, i tetti, quasi tutto era infiammabile). Ma da sempre, dove c’è lavoro c’è anche immigrazione, e dunque vicino alle fornaci finivano per nascere borghi o villaggi, sia pure nel rischio continuo e grave di andare a fuoco (e, ricordiamo, non c’erano pompieri).


Mi pare però che ne manchi una “arte del fuoco”, ovvero quella che identifica storicamente la Valle Bormida: il ferro. Basta pensare ai tanti toponimi, ai tanti cognomi che hanno a che fare con questo elemento e alla sua lavorazione. Arte che è stata ampiamente riadattata e reinventata: se un tempo si fondeva il minerale e lo si forgiava in zappe, chiodi o falci,  con l’industria la capacità di lavorare il ferro si è mutata in esperienza tecnica per costruire impianti chimici, carpenterie, strutture reticolari. Lavori preziosi, realizzati per mezzo mondo.

Ora l’industria non occupa che una piccola parte del personale che occupava, ed il mercato delle imprese del ferro da costruzione si è espanso in modo incontrollato e con una concorrenza quasi sleale.


Restano l’esperienza di alcuni raffinati lattonieri, montatori, saldatori, verniciatori… Gente che il metallo lo conosce bene. Non sarebbe opportuno, a questo punto, tornare al ferro che lavoravano i nostri avi? Cioè cercare di recuperare (proprio come hanno saputo fare ad Altare e a Albissola) l’arte del fuoco che ci compete? Ci sono ancora alcuni martinetti, ci sono ancora alcuni utensili e uomini in grado di rifare certi oggetti. Forse, pian piano, si potrebbero richiamare sul posto anche artigiani raffinati del ferro battuto, o addirittura artisti, in grano di progettare e realizzare opere di materiali compositi. Forse si potrebbe addirittura tornare a produrre modeste quantità di carbone di legna, rianimando alcuni versanti dei nostri boschi, coltivandoli per questo fine. Forse si potrebbe inventare un percorso turistico dall’isola d’Elba, con il minerale, in nave fino a Savona, a dorso di mulo fino a Cairo… Chissà… C’è margine per inventarsi un sacco di cose.

Si formerebbe il distretto delle Arti del Fuoco: ceramica, vetro e ferro battuto. Ed è commovente, in qualche modo, pensare che potrebbero essere proprio le attività e le arti più antiche praticate in questi luoghi che potrebbero dare un contributo (piccolo, ma solido) alla vita in Valle Bormida.

   ALESSANDRO MARENCO

 

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