Ambiente

Speranze, pessimismo, indifferenza

nei confronti dell’ambiente

Speranze, pessimismo, indifferenza nei confronti dell’ambiente
Ci sono fattori forti di influenza negativa sull’ambiente, come le emissioni in atmosfera dei gas-serra, l’aumento delle polveri e delle emissioni inquinanti nell’aria, l’aumento della produzione di rifiuti, e tanti altri, nei quali prevale un aspetto distintamente tecnico che appare perfino tranquillizzante perché, in fin dei conti, pare riguardare più le professionalità, a cui ci si può legittimamente rivolgere senza rimanerne coinvolti, che le coscienze. Ma ce ne sono altri, altrettanto forti, dei quali, invece, è impossibile disfarsi così facilmente appellandosi a terzi, o alla propria terzietà.

Uno di questi è l’abulia, la neutralità assoluta, l’indifferenza “peso morto della storia”, l’astensione morale “madre del caos e della notte”, il dormiveglia esistenziale, l’ignavia, la gnagnera (nel colorito dialetto mandrogno di mio padre), l’accidia. L’acci-dia? Sì, come dice San Tommaso, “la tristezza che opprime il cuore perché non s’impegni ad agire” o, come riporta il Devoto-Oli, l’“avversione ad operare, associata all’idea di tedio oltre che a quella di neghittosità”. Quella condizione intellettualmente rinunciataria e moralmente flaccida che Dante considera “vizio per difetto” dell’ira e che stigmatizza mirabilmente piazzando i peccatori degli opposti vizi, sia gli iracondi che gli accidiosi, nel Quinto Cerchio dell’Inferno dove sono esemplarmente puniti in eterno. Un’accidia mesta che ai giorni nostri spesso si manifesta in una delle sue forme più mollicce e rivoltanti proprio con l’indifferenza alle sorti dell’ambiente, ai suoi problemi e ai terribili soprusi che esso continuamente subisce. Una cupa avversione ad operare che qui si sostanzia nell’abdicazione a diritti e responsabilità e che insegue nella delega agli specialisti la più facile giustificazione alle proprie insensate rinunce. E la trova. Ovviamente. Perché di certo, il potere dei sedicenti specialisti non si tira mai indietro. Quando qualcuno retrocede e si ritira da un proprio spazio, c’è sempre qualcun altro che avanza per occuparlo (è più o meno la stessa genesi anche del blando regime, una sorta di volgare buffonesco impolitico fascismo omeopatico, che ci infastidisce da troppi anni). Vale ovunque. È una legge fisica, perfino.

E, dunque, se vogliamo riprendere il controllo della situazione per evitare la rovina ambientale, c’è bisogno, oltre alla competenza, all’impegno e alla convinzione responsabile, di quello che è già stato splendidamente definito (Ernst Bloch) un “ottimismo militante”, che dobbiamo intendere non certo come base per fare previsioni attendibili o per una verificabile profezia sul nostro futuro, ma come ingrediente decisivo per la nostra libertà di costruirlo; questo sì. Il futuro non è irrimediabilmente segnato; è, invece, ancora in buona parte nelle nostre mani. Certo, ci sono dappertutto situazioni che sembrano disperate e potrebbero giustificare ampiamente la resa e la spossata rinuncia ad ogni ulteriore azione. Ma se, per un momento, andiamo col pensiero ad una contingenza di tutt’altra natura e rileggiamo l’incredibile messaggio pieno di speranza, perfino folle speranza, che il generale Foch, comandante dell’esercito francese nella prima guerra mondiale, inserì in un suo rapporto al ministero nel momento stesso in cui egli si trovava sottoposto ad un furioso attacco a fuoco da parte della fanteria tedesca: ”La mia destra è stata sfondata, il centro sta cedendo; la situazione è eccellente, vado all’attacco”, ogni desiderio di resa al razionalissimo e circoscritto quotidiano si dissolve. Quello di Foch è certo un messaggio paradossale e inverosimile; ma è lì da cent’anni, fermo e scolpito profondo nella storia, gigantesco, di valore smisurato; a mostrarci che la sua splendida irragionevolezza non solo non turba minimamente l’atto ma, al contrario, ne giustifica perfino la misteriosa necessità: furore e speranza sono risposte appropriate alla violenza del sopruso.

Ora, di fronte all’immensità della sfida ambientale, ci si può anche sentire inadeguati e decidere di lasciarsi scivolare nell’accettazione fatalistica dell’inevitabile disastro. È umanamente comprensibile, e possiamo senz’altro lasciare darsi per vinto chi pensa di non farcela. Ma non possiamo farcene coinvolgere. Sappiamo che proprio l’eccesso di prospettive catastrofiche – facili perché esonerano da ogni responsabilità e inutili perché non indicano rimedi – può diventare esso stesso premessa condizionante della capitolazione temuta. E che dietro l’indolente, appiccicosa, facilissima favoletta del “pessimismo della ragione”, troviamo spesso gli indifferenti, e i comunque incompetenti che cercano di razionalizzare così la loro noncuranza.

“È per trovare (…) il giusto, per amore del quale conviene vivere, (…) che noi invochiamo ciò che non è, costruiamo nell’azzurro, ci costruiamo nell’azzurro e cerchiamo il vero e il reale là dove scompare il semplice dato…(1)

Per Charles Peguy, mi pare, vi sono, in certi stadi di ogni evento del mondo, situazioni assimilabili a stati chimico-fisici di “sovrassaturazione” che non sedimentano, non precipitano, non riescono a cristallizzare nel reale fino a che non vi si introduce almeno un frammento dell’evento atteso (cos’altro è la speranza?).

Perfino Esiodo ci racconta che dopo l’apertura del vaso di Pandora che liberò e diffuse tutti i mali del mondo l’unica cosa rimasta ancora lì nell’orcio è proprio Elpis, la speranza.

In ogni caso, noi sappiamo che il sogno, straordinario progetto illuminato dal futuro, è un ingrediente formativo indispensabile del nostro compimento. Dunque, dopo che i pensieri i giudizi e le ragioni hanno già tutti ordinatamente occupato i loro posti, libertà è osare. Provando a mettere piede nel solo territorio aperto, impensato e mai ancora sperimentato, unico spazio libero e non-luogo rimasto, dove raccogliersi a coltivare la virtù creatrice dell’utopia, e dove ancora poter cogliere nel reale l’irrealtà soffice e promettente della Speranza.

“Una carta geografica che non registri il paese di Utopia non merita uno sguardo. (2)

 


(1) Ernst Bloch, Spirito dell’utopia

 (2) Oscar Wilde

  

GIULIO SAVE (estratto dal mio libro di prox pubblicazione)

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