Your possible pasts

Your possible pasts

Your possible pasts

… Pensavo che avrei dovuto mettere a nudo i miei sentimenti nascosti

Pensavo che avrei dovuto tirare giù la tenda

Tenevo la lama con le mani tremanti

Pronto farlo, ma proprio allora suonò il telefono

Non ho mai avuto il sangue freddo di dare il taglio finale

Trent’anni sono trascorsi dalla pubblicazione di “The Final Cut”. Album che rappresenta anche il taglio finale tra Roger Waters e i restanti componenti dei Pink Floyd con uno strascico giudiziario e l’inizio della carriera solista di Roger Waters.

I dettagli sull’Album potete trovarli su qualunque Wikipedia, unitamente a possibili chiavi di lettura dei singoli dodici pezzi della edizione originale. Certo, perché dopo che tanto fu detto e scritto tra la componente introspettiva e autobiografica mixata e sempre in bilico con  la componente tematica della guerra,  il pezzo “When the Tigers brook Free” (presente nel film “The Wall” e assente nell’omonimo album) venne aggiunto nella riedizione del 2004. Aggiunta che non sbilancia in nulla il rapporto tra un nero intimismo toccante e costante, ossessivo riferimento alla guerra. I riferimenti alle responsabilità “ciniche” sulla guerra delle Falkland che si svolgeva tra marzo e giugno del 1982, in parallelismo con la registrazione dell’album che avveniva negli studi di Abbey Road. Sul retro della copertina la connotazione tematica dell’album: “A requiem for the post war dream” e la dedica al padre  Eric Fletcher Waters (1913-1944), morto nella battaglia di Anzio e presente già nell’album The Wall.  Anche se sul retro dell’album vi è un “performed by Pink Floyd”, in realtà già “The Wall” è praticamente un album solista del solo Roger Waters che, sempre più dispotico già nelle fasi di registrazione,  estromette Richard Wright dal complesso. Se il contributo come co-Autore di David Gilmour in “The Wall” è limitatissimo, in “The Final Cut” il contributo è nullo, come pressoché nullo, tranne che in  “Not now John”,  il contributo vocale. Eppure gli assoli della chitarra di David Gilmour sottolineano più che in altri album l’opera del “nemico” Roger Waters. Come, per chi apprezza il genere musicale, è il basso di Roger Waters a sottolineare magistralmente come non mai l’unico pezzo di David Gilmour (Fat old Sun) in “Atom Earth Mother”. Mi sono spesso domandato, sapendo bene quanto mal posto fosse il problema, se “Foe and friend” del pezzo conclusivo “Two Suns in the Sunset” si riferisca proprio a Gilmour o all’ormai grasso e malato Syd Barret, in qualche modo presente in “Paranoid Eyes”.

Di questo album, personalmente, apprezzo maggiormente l’aspetto intimistico che si rivela nelle paure del pezzo che dà titolo all’intero album e persino nell’aviatore che, colpito, sta precipitando “nell’angolo di qualche campo straniero” rivivendo la sua vita “in sogno” durante la caduta. Un bilico ineccepibile tra tema conclamato e la vera vena dell’Autore. Album nel quale Roger Waters passa dal sussurro quasi percettibile all’urlo quasi isterico, enfatizzato da una orchestra a tratti troppo pesante.

Che dire dell’ermetismo del pezzo che dà titolo a questo scritto? L’unico di cui non si trova una “esegesi” conclamata? Tre sono i temi tragici che compaiono con riferimenti non definiti univocamente.

La presenza delle responsabilità di “quelli che stanno al comando” all’olocausto e alla guerra, un tema autobiografico dove dei rapporti interpersonali vengono enfatizzati dagli aspetti più cinici,  un altro aspetto autobiografico anti ecclesiastico, di nuovo l’immediato dopoguerra, tutti  cancellati prontamente da un:

Do you remember me? How we used to be?

Do you think we should be closer?”

SALVATORE GANCI


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