VISTE DA DIETRO

 VISTE DA DIETRO
Molte sono le notizie che suscitano forti perplessità, e più di un sospetto, ma nei palazzi importanti sembrano essere in molti a pensare che sarebbe meglio che noi dietrologi si guardasse, e sempre s’intende da dietro, soltanto Belen

 

VISTE DA DIETRO

Come tuttologo sono necessariamente anche dietrologo e, come tale, gli argomenti di sicuro non mancano ed avrete già forse capito dove voglio andare a parare: ancora una volta ricorderò il Divino Giulio e la sua famosa metafora sul rapporto che intercorre tra cattivi pensieri e verità.

La verità però la possiede soltanto colui che ha avuto il controllo del proprie azioni e così la smentita dei cattivi pensieri che affollano le menti delle plebi, ed i pezzi dei giornalisti più felloni, deve essere per forza presa per buona, così a noi poveri mortali non resta che il dubbio e la maldicenza che si sostanziano in una non del tutto nuova filosofia che però sembra propria dei nostri tempi: la dietrologia.

La dietrologia è però figlia della smentita: tu costruisci un pensiero sulla notizia, di solito quello più ovvio che interpreti nella tua pochezza intellettuale, ma subito il giorno dopo arriva la smentita che ti lascia insieme ad un pugno di mosche soltanto il dubbio, non bisogna allora stupirsi se siamo diventati un popolo che si allontana progressivamente dalla politica per rifugiarsi nel mugugno.


Pensate cosa sarebbe il nostro bel paese se per editto reale dal vocabolario politico venisse bandito l’uso del verbo smentire e dei suoi sinonimi, saremmo sicuramente il paese più civile al mondo infatti in luogo di smentite ormai quotidiane avremmo argomenti certi e trasparenti sui quali riflettere prima di parlare e di credere, e soprattutto prima di votare.

Un tempo ai nostri padri ripetevano di credere, di obbedire, e di combattere, oggi come allora dobbiamo anzitutto credere ed obbedire, possibilmente in silenzio o senza protestare più di tanto, quanto al combattere milioni di sudditi, specie i più giovani, lottano ogni giorno contro il morire del loro futuro e devono cullare quel lumicino di speranza confortati soltanto da una sempre più stucchevole retorica che accompagna la vuota promessa per un futuro migliore, la chiamano ripresa, chissà perché penso al pugilato: alla prossima altri cazzotti nei denti fino al definitivo KO.

Torniamo a bomba: sin dai lontanissimi tempi delle elementari ci raccontavano di un tal Silvio (sic) e della sua terribile esperienza di detenuto, storia e letteratura ci ricordano che il carcere ovunque si trovi non è mai stato il massimo in tema di dignità e diritti umani e noi sicuramente non facciamo, e non abbiamo mai fatto, eccezione; pare al contrario che nel novero dei cosiddetti paesi civili su questo barbaro aspetto siamo sempre stati ai primissimi posti ma sembra che ce ne accorgiamo soltanto ora, e qui entriamo nella dietrologia: già perché soltanto ora?

Come risposta un meglio tardi che mai non appare del tutto soddisfacente.

                      

Nobile, anzi nobilissima, sembrerebbe apparire la famosa lettera tuttavia alcuni passaggi mi lasciano perplesso e mi permetto molto sommessamente, e con la dovuta dose di umiltà, se non di dissentire, mai oserei, almeno di tentare di ragionare.

Le carceri, specie le nostre, sono da sempre un luogo orrendo che soltanto l’ipocrisia può farci credere possano rappresentare un momento di redenzione, altri paesi più pragmatici le considerano infatti un luogo di espiazione e basta e così adottano un sistema che a noi sembra barbaro: la certezza della pena; sicuramente preferisco la prima soluzione che sembra più umana anche se nei fatti ad una pena incerta si contrappone una detenzione che di umano ha poco o niente per il semplicissimo motivo che invece di costruire carceri decorose (e penso anche a tante caserme abbandonate) preferiamo svuotare periodicamente le nostre schifose fortezze medioevali mascherando così una necessità contingente dietro la nobiltà del perdono e, perché no, anche risparmiando qualche soldino.

Tutto fa diceva quel tale orinando in mare mentre la suocera affogava.

Nella mia abissale ignoranza del diritto ho sempre creduto che la pericolosità sociale del condannato, un tema molto dibattuto per escludere o meno Lui, sia da valutare in funzione dell’entità della pena e non si dovrebbero fare eccezioni o distinguo alla faccia dell’eguaglianza di fronte alla legge, ora se a parità di pena qualcuno ne fosse sollevato, e qualcuno no, qualche dubbio quantomeno di costituzionalità sarebbe lecito nutrirlo.

Quanto alle vittime, se non ricordo male, i reati si distinguono tra quelli contro la persona e il patrimonio e quelli contro la pubblica amministrazione, ora se appare corretto che sui secondi si pronunci il legislatore, meno corretto sembra invece il pronunciamento sui primi senza sentire la campana delle vittime a tutela dei cui diritti sono state pronunciate le sentenze; il perdono, a mio modestissimo avviso, dovrebbe essere prerogativa di queste ultime e non dovrebbe ammettere intermediazioni o deleghe; coloro che hanno vissuto queste vicende loro malgrado da protagonisti sembrano infatti essere sistematicamente dimenticati ed estromessi dal processo decisionale sulla sorte dei colpevoli.

Sempre a mio modestissimo avviso sarebbe stato sicuramente meglio argomentare l’ennesimo perdono solo e soltanto sulla constatazione che in uno stato, che si vorrebbe di diritto, i trattamenti inumani fossero banditi per sentire comune e non per creare spazio, o perché lo ha imposto un’alta corte, ma così facendo forse in troppi avrebbero dovuto riconoscere non poche colpe per il protrarsi un problema antico e mai risolto; meglio allora un sentenza cui dovere aderire, già perché le sentenze vanno rispettate, dice un tormentone molto in voga di questi tempi, ma chi di sentenza perisce, chissà, un domani per altra sentenza potrebbe anche salvarsi, pensano maliziosamente molti colleghi dietrologi.

Tralascio il problema della discriminazione nel perdono di quanti debbano scontare le pene dentro le patrie galere e quanti al di fuori se pur afflitti da analoghe punizioni, credo che in diritto si definisca disparità di trattamento; ciò detto il tema se Lui sarà o meno perdonato è noioso e mi interessa molto poco in quanto sicuramente ci ossessionerà nell’immediato futuro sul piccolo schermo e, temo, ci porterà di fronte ad una nuova ed ancor più bizzarra crisi di governo.

Moltissime altre sono le notizie di questi giorni che suscitano forti perplessità, e più di un sospetto, ma specie nei palazzi importanti sembrano essere in molti a pensare che sarebbe forse meglio che noi dietrologi si guardasse, e sempre s’intende da dietro, soltanto Belen!

Sicuramente il nostro spirito inquieto ne trarrebbe un indubbio sollievo.

Alla prossima.

  Hiselo

 

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