VIAGGIO DELLA MEMORIA AD AUSCHWITZ-BIRKENAU

VIAGGIO DELLA MEMORIA AD AUSCHWITZ-BIRKENAU

 VIAGGIO DELLA MEMORIA AD AUSCHWITZ-BIRKENAU

  Sono appena tornato dal viaggio a Cracovia e ad Oswiecim (il nome polacco della cittadina  che i tedeschi  rinominarono  Auschwitz), organizzato dall’Aned di Savona, per ricordare una volta ancora le vittime dello sterminio nazista che toccò il suo culmine proprio in quei luoghi prossimi a quella cittadina polacca, dove i nazisti

costruirono e “perfezionarono” il più grande complesso  di campi di prigionia, di lavoro e di sterminio di tutto il sistema concentrazionario tedesco. Nel mettere piede in quei luoghi di dolore assurdo e mostruoso, ho provato anch’io quel senso di angoscia che ci coglie di fronte al male voluto, progettato, programmato fin nei minimi particolari ed eseguito da esseri umani su altri esseri umani deprivati di ogni dignità e di ogni diritto, ridotti allo stato di “cose” inanimate, inferiori alle bestie, da sfruttare fino all’estremo delle  forze e poi da eliminare una volta divenuti inutilizzabili, o anche prima, se troppo deboli, malati, o inutili come i bambini (salvo usarli come cavie per gli aberranti esperimenti “medici” del dottor Mengele!). E di nuovo mi sono chiesto come fosse stato possibile un simile imbarbarimento “tecnologico” e “razionale”, e l’esecuzione di un tale incommensurabile crimine contro l’umanità, nel cuore del nostro vecchio e “civile” continente.


Non credo possibile trovare una risposta esauriente, ma certo quel crimine enorme e abnorme contro l’umanità, o meglio, quegli innumerevoli crimini contro singoli uomini, singole donne, singoli bambini e singole bambine, non sarebbero stati possibili se non fosse venuto meno non dico l’amore, concetto troppo alto e abusato dalla retorica (religiosa o laica) ma il semplice rispetto dovuto a ogni persona in quanto tale. E dalla perdita del rispetto a quella delle pietà il passo è breve; per questo è fondamentale non perdere anche la memoria di quei crimini. Ne era ben consapevole Primo Levi, che non solo scriveva ma andava per le scuole a rendere la sua testimonianza di sopravvissuto, e come lui altri sopravvissuti e sopravvissute (quasi a dimostrazione che, malgrado lo zelo, l’efficienza e la precisione burocratica dei carnefici, non tutti sono “passati per il camino”). Uno di questi, Shlomo Venezia – un ebreo italiano nato a Salonicco e morto l’anno scorso a Roma –  che, internato ad Auschwitz-Birkenau, lavorò nei Sonderkommando , “unità speciali” adibite allo smaltimento, al taglio dei capelli delle donne,  e alla cremazione dei corpi dei prigionieri uccisi nelle camere a gas, e poi venivano periodicamente eliminati per non lasciare testimoni, racconta la sua esperienza, a futura memoria,  nel libro intitolato Sonderkommando Auschwitz, Rizzoli, 2007. Anche Shlomo Venezia andava per le scuole, voleva trasmettere ai giovani la sua testimonianza di sopravvissuto a quell’orrore, e anche al senso di colpa che lo opprimeva per quel tremendo lavoro che pure gli ha assicurato la sopravvivenza, e rispondere alle loro domande.


Shlomo Venezia

Una volte gli hanno chiesto se qualcuno fosse mai rimasto vivo nella camera a gas. Val la pena trascrivere per intero la risposta di Shlomo, a futura memoria:

Era difficilissimo, eppure una volta è rimasta una persona viva. Era una bambina di circa due mesi. All’improvviso, dopo che hanno aperto le porte e messo in funzione i ventilatori per togliere l’odore tremendo del gas e di tutte quelle persone – perché quella morte era molto sofferta – uno di quelli che estraeva i cadaveri ha detto: ‘Ho sentito un rumore’ – Normalmente quando uno muiore, dopo un po’ finché non si assesta, il corpo ha dentro dell’aria e fa qualche rumore. Abbiamo detto: ‘Questo poverino, in mezzo a tutti questi morti, comincia a perdere il lume della ragione’. Dopo una decina di minuti ha sentito di nuovo. Abbiamo detto: ‘Tutti fermi, non vi muovete, ma non dobbiamo sentito niente e abbiamo continuato a lavorare. Quando ha sentito di nuovo, ho detto: ‘Possibile che senta solo lui? Allora fermiamoci un po’ di più e vediamo che cosa succede’. Infatti, abbiamo sentito quasi tutti un vagito lontano. Allora uno di noi sale sui corpi per arrivare laddove veniva il rumore e si ferma dove si sente più forte. Va vicino e, insomma, là c’era la mamma che stava allattando questa bambina. La mamma era morta e la bambina era attaccata al seno della mamma. Finché riusciva a succhiare era tranquilla. Quando non è arrivato più niente si è messa a piangere – si sa che i bambini piangono quando hanno fame. La bambina era quindi viva e noi l’abbiamo presa e portata fuori, ma ormai era condannata. C’era l’SS tutto contento: ‘Portatela, portatela!’. Come un cacciatore, era contento di poter prendere il suo fucile ad aria compressa. Uno sparo alla bocca e la bambina ha fatto la fine della mamma. Questo è successo una volta in quella camera a gas. Ci sono tanti racconti, ma io non racconto mai cose che hanno visto gli altri e non io”.

 “Ci sono tanti racconti” , cioè tante testimonianze, ha detto Shlomo Venezia; eppure c’è ancora qualcuno che nega l’esistenza delle camere a gas e dello sterminio programmato e attuato di milioni di ebrei più altre minoranze etniche “inferiori”, tra questi il testé defunto Eric Priebke, il quale, evidentemente, non ha creduto nemmeno alla testimonianza del comandante del campo di Auschwitz-Birkenau, Rudolf Hoess, il quale, durante il processo per crimini di guerra, affermò, il 15 aprile del 1946, che, secondo i suoi calcoli, in quel campo “sono state sterminate, gassate e poi cremate

due milioni e cinquecentomila persone. Oltre cinquecentomila morirono per consunzione e malattie, per un totale di tre milioni di persone”.  Di nuovo affiora la domanda: come è stato possibile? Come è potuto accadere? E la domnda non riguarda solo un passato che si allontana ogni giorno di un giorno, ogni ora di un’ora, ogni minuto di un minuto, finché non verrà inghiottito nel pozzo senza fondo della notte dei tempi, no, riguarda anche il presente e il futuro, perché il ventre che ha partorito quel mostro, direbbe Brecht, è ancora fecondo.

FULVIO SGUERSO

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