Verso la fusione di Lega e Cinquestelle

Verso la fusione di Lega e Cinquestelle

Dal superamento dei partiti un nuovo modello di democrazia

Verso la fusione di Lega e Cinquestelle

Dal superamento dei partiti un nuovo modello di democrazia

 Se si guarda alle vicende politiche italiane con l’occhio dell’Europa o del mondo si vedono due forze politiche egemoni: il movimento Cinquestelle che si è affermato alle ultime elezioni e la Lega uscita dal grembo del centrodestra, che, dopo essersi alleata col vecchio avversario, è cresciuta fino a diventare, seppure virtualmente, il primo partito. Visto dall’estero il partito guidato da Salvini è alternativamente espressione dell’ultradestra – con buona pace dei Fratelli d’Italia o di Casapound –, del sovranismo – come se tutti i partiti occidentali di ogni colore salvo il nostro Pd non fossero sovranisti – e del populismo.


Ed è proprio quest’ultima connotazione la più diffusa e insistita, tanto che proprio il nostro Salvini è considerato il leader potenziale di tutto il populismo europeo ed è, di fatto, il nemico numero uno dell’establishment europeo. Ma, ancor prima che questo pericolo si materializzasse nella figura del nostro ministro dell’interno, seppure con contorni più sfumati e con la tendenza a considerarlo un fenomeno locale e passeggero, era il movimento fondato da Grillo  a meritarsi l’epiteto di populista. Un populismo con una forte accentuazione antisistema, considerato con una certa sufficienza da quelli che del sistema si sentivano l’incarnazione. Poi c’è stata la tornata elettorale, la débâcle della sinistra e bon gré mal gré Mattarella ha dovuto tenere a battesimo il governo giallo-verde.

Quindi, in sintesi, se da lontano la convergenza dei due populismi  è un dato naturale e inevitabile, in Italia l’alleanza giallo-verde è stata vista e descritta da destra e da sinistra, da tutti i commentatori politici, da tutti i media come uno scandalo, un tradimento e un voltafaccia perpetrato dagli uni e dagli altri, una mostruosità politica, un ircocervo.  A cose fatte ci si è consolati  attaccandosi alla convinzione che in fondo è solo un contratto, non è un’alleanza, rimangono incompatibili, non arriveranno alla fine dell’estate;  poi è arrivato l’autunno, il governo tiene e mentre qualcuno masticando amaro comincia  a cercare di metabolizzare la sua esistenza altri puntano sul natale e pregano che non festeggi l’anno nuovo contando  sulla forza politica di Fico – bell’esempio di ossimoro – e sul ritorno del guastafeste Di Battista.  Ci rimarranno male.


Il punto è che  i nostri  raffinati analisti mettono a fuoco le schermaglie provocate ad arte, i personalismi dei personaggi di seconda e terza fila,  le manovre degli infiltrati di destra e di sinistra, gonfiano la querelle su Tap e Tav – come se  undici milioni di elettori non dormissero la notte per un gasdotto o un pezzo di ferrovia –  ma perdono di vista quello che fuori dei nostri confini risulta palmare: la Lega è un partito – o un movimento – orgogliosamente populista; i Cinquestelle sono un movimento – o un partito – orgogliosamente populista. E, indipendentemente dalla sovrapposizione o dalla complementarità dei rispettivi programmi, è l’essenza dei due partiti, o movimenti, che è la stessa, identica.

Ora, un movimento populista è concettualmente uno: è difficile giustificare l’esistenza di due populismi paralleli nello stesso Paese. È vero che sia nell’estrema destra (quella vera) sia nell’estrema sinistra si sono dal dopoguerra ad oggi usate le stesse parole d’ordine, ci si è fatti interpreti degli stessi motivi di disagio e non per questo  sono state percepite l’una un doppione dell’altra. Ma l’una e l’altra, l’estrema destra e l’estrema sinistra, in realtà non rappresentavano  e non rappresentano altro che i propri militanti, perché se non hai i voti vuol dire che nessuno fa di te il  suo rappresentante. Ben diverso è il caso di Lega e Cinquestelle: sono populisti perché hanno il consenso popolare, non per un’etichetta o per statuto.  Sono populisti gli elettori prima ancora degli apparati o degli eletti. E se  si tratta di populismo non perché  si predica il populismo ma perché si è interpreti di un soggetto reale, che si materializza nell’urna, allora, lo ripeto, diventa difficile giustificare la presenza di due populismi. 


Che ci siano due storie diverse; che ci siano fra i dirigenti delle due forze politiche “sensibilità diverse”; che nella Lega ci siano scorie di bossismo e di berlusconismo  e fra i Cinquestelle una grande confusione è innegabile. Ma intanto è innegabile la carica umana dei due leader, è innegabile il loro sodalizio personale ed è innegabile la scelta fortunata di un Capo del governo che nessuno ha eletto ma ha saputo conquistarsi il rispetto e la fiducia dei due elettorati. Quello che però è più importante è che il popolo che li sostiene e che se ne sente rappresentato  (che non sono i militanti, gli attivisti e quanti sperano  di guadagnarsi la pagnotta  o di gratificare il proprio ego con la politica)  è lo stesso: di popoli ce n’è uno solo. 

Ne consegue che, se i vertici non tradiranno, se non cederanno alle lusinghe o alle minacce, se sapranno fronteggiare le fronde interne e le frange di militanti incapaci di superare la partigianeria, sarà il tempo  a sbarazzarsi del nordismo, degli egoismi di classe, del misoneismo e a far emergere e rendere evidente il progetto di riscatto nazionale e di giustizia sociale che è la ragion d’essere profonda sia della Lega che dei Cinquestelle e a segnare  la strada che porta alla loro unificazione.  Sono convinto, voglio essere convinto, che i dioscuri – mi correggo: il triumvirato – non mancherà all’appuntamento con la Storia: un solo popolo, uno stesso traguardo, un solo partito che dia nuova linfa e nuova credibilità alla democrazia.

Le scelte strategiche di politica interna  ed estera  saranno dettate dalle circostanze ma il consolidamento dell’alleanza fra le due forze politiche e il cammino verso la loro fusione ne suggerisce di per sé le linee tendenziali: il recupero della sovranità monetaria, mani libere nelle relazioni internazionali, lo spostamento verso il mediterraneo del baricentro politico  e un asse stabile con la Russia. Se un’istituzione come l’Unione europea sarà compatibile con queste linee, bene. Se non lo sarà per il bene del Paese sarà meglio cercare altri sodalizi sovranazionali.


Postilla

Mi si perdoni il volo pindarico, o, se si vuole, il salto di palo in frasca, ma non riesco a stare in  silenzio  davanti al polverone alzato sul crimine orrendo che si è consumato a Roma nel quartiere San Lorenzo. Trovo stomachevole che si continui a parlare di Desirée, della sua vita, della sua famiglia; per vendere qualche copia in più il Fatto le ha dedicato uno speciale centrato sulla tesi che tutto è cominciato a Cisterna e che da lì si deve partire per capire quello che è successo. Allucinante. Quello che è successo comincia e finisce nella tana delle belve nere che hanno replicato lo scempio di Macerata. Tutto il resto è sciacallaggio o, peggio, goffo tentativo di sminuire la vittima, se l’è cercata, in fondo era una tossica, a quell’età non si dorme fuori di casa, i familiari sono corresponsabili e così via delirando. Se qualcuno deve sentirsi in colpa sono i buoni, gli accoglienti, quelli che guai il razzismo, guai la diffidenza, guai mettere in guardia i nostri ragazzi da gente che è qui come in una terra di conquista, gente senza controllo interiore, senza valori, senza regole,  senza la luce dello spirito e dell’intelligenza, animata da un edonismo stordito e irriflesso. Invece di metterli in guardia li hanno convinti  che l’accoglienza è un valore, che l’integrazione è un dovere, che l’umanità  non ha né confini né colori,  che  i migranti fuggono dall’oppressione  e sono condannati alla marginalità e all’esclusione, che sono ragazzi come loro, con gli stessi problemi e le stesse aspirazioni,  che le loro tane sono rifugi di disperati, non c’è da averne paura, c’è solo da offrire fiducia, amicizia, solidarietà e magari da condividere con loro un momento di libertà, di leggerezza, di  felicità. Di questo le anime belle si dovrebbero vergognare; e lascino perdere Desirée: non ci interessano la sua età, le sue debolezze, il suo vissuto, non c’è nessuna verità da svelare. C’è solo il fatto nudo e crudo di una persona convinta da una cultura perversa a entrare in un ambiente di simili, di amici, di fratelli, nel calore di una comune umanità, quando si gettava in pasto  a belve ottuse che di umano hanno solo una vaga parvenza.

  Pier Franco Lisorini

    Pier Franco Lisorini è un docente di filosofia in pensione

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