Una politica monetaria locale?

Una politica monetaria locale?

Potrebbe diventare il mezzo con cui riprendere il baratto all’interno della nostra comunità.

Una politica monetaria locale?

 Abusando della pazienza di Antonio, il curatore di questa rivista, continuo a tormentarvi con i miei vaneggiamenti propositivi. Il problema è che il distretto savonese è troppo torpido, troppo spento, senza proposte, privo di sogni e progetti, conformista e rigido.

Oggi propongo qualcosa, come al solito già messo in atto altrove, ma che qui parrà impossibile, fantascienza, assurdo.

Partiamo da una premessa: lo scopo principale di una moneta è consentire lo scambio di merci e servizi. La prima forma di transazione economica fu il buon vecchio baratto, una lama di ossidiana per un cosciotto di cinghiale. Funzionava, ma si poteva fare di meglio, da qui l’invenzione della moneta, di solito di metallo, spesso prezioso, con un valore suo intrinseco.

 


 

Poi, molto tempo dopo, è arrivata la moneta simbolica, un pezzo di carta, totalmente inutile di per sé, ma garantito da un soggetto autorevole. Senza farla troppo lunga siamo arrivati alla moneta elettronica, non abbiamo nulla in tasca tranne che una scheda di plastica, nella quale abbiamo piena fiducia (saggiamente?).

Tutto molto bello, ci si attacca ad un computer e si compra da un americano delle belle scarpe prodotte in Vietnam, un televisore fatto in Cina ed una camicia cucita nel Bangladesh.

Meraviglioso, così qua chiude tutto e si rimane disoccupati. Lo sapete quante aziende esistevano a Savona e dintorni un secolo fa? Si produceva un po’ di tutto, dall’acciaio ai pellami, dalle fialette ai macchinari. C’era talmente tanto lavoro che la gente arrivava da fuori in cerca di un impiego.

Oggi invece i giovani se ne vanno, qui è rimasto poco.

Come ovviare? Vi sono diverse strade possibili e molte di queste non escludono le altre.

Una potrebbe essere la creazione di una valuta locale, complementare all’Euro, accettata su base volontaria, da usarsi negli scambi locali. Diventerebbe il mezzo con cui riprendere il baratto all’interno della nostra comunità.

Chiamiamola Fiorino, o Scudo, altrove l’hanno chiamata Sardex o Tibex, la sostanza non cambia. Produci infissi o insalata? Continua pure a venderle in Euro, ma se non riesci a vendere tutto quanto potresti produrre, per una parte del tuo lavoro puoi accettare la valuta locale, in realtà barattando la tua opera con quella dei tuoi concittadini.

Hai 300 automobili usate da piazzare? Usando la valuta locale consentirai al pizzaiolo che lavora a 300 metri da te di pagarti con le sue pizze, all’idraulico di pagarti rifacendoti l’impianto idraulico, alla pettinatrice di acquistarti una utilitaria facendo la messa in piega alle donne della tua famiglia. Che cosa cambia? Cambia che il Fiorino savonese non lo puoi spendere su Internet, sei obbligato ad usarlo da chi lo accetta, che sarà un membro della comunità in cui vivi.

L’Euro ha favorito la globalizzazione degli scambi, il Fiorino localizzerebbe gli acquisti. E infatti funziona, il Sardex va a gonfie vele.

Ma perché non adottare una valuta complementare già esistente? Non sarebbe più comodo? Perché camminare con le nostre gambe ci farebbe andare più lontano…

 

LUCA MURGIA

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