Un racconto breve di MASSIMO BIANCO sulle odierne difficoltà economiche: FURTO ALL’IPERMERCATO

Lorenzo Grossi, Enzo per gli amici e i familiari, era disoccupato da oltre un lustro, almeno se si escludeva qualche raro lavoretto occasionale svolto in nero. Rimasto senza sussidi, oramai sopravviveva solo grazie al discusso ma per lui necessario reddito di cittadinanza, che fino ad allora non era peraltro mai corrisposto ad alcuna offerta di lavoro né bastava a sfamare un’intera famiglia.
Oltretutto non intravedeva neppure le prospettive di assunzione tradizionali, perché quando scoprivano la sua età esatta, aveva già compiuto i fatidici cinquanta anni, e i suoi pur non gravi problemi cardiaci, i potenziali datori di lavoro si eclissavano.
Sua moglie Luisa per la verità un impiego lo aveva, ma si trattava di un part time di poche ore settimanali. Era, infatti limitato a un aiuto a un lontano parente per i venerdì pomeriggio, i sabati e altre eventuali giornate in cui questi si aspettava più affluenza della norma nel proprio esercizio commerciale, come ad esempio per il cosiddetto “desbarazzu”, e inoltre per le domeniche pre-natalizie. Di conseguenza la sua attività era poco remunerata, appena quanto bastava per l’acquisto di qualche prodotto essenziale.
Tra il continuo aumento dei prezzi per prodotti alimentari anche di prima necessità, le bollette telefoniche e di luce e gas – per fortuna le sue erano stabili nonostante gli allarmismi e le contestazioni, ma ancora per quanto? – l’affitto, le spese condominiali e quelle per il carburante della sua vecchia e malandata auto usata, la vita era dura davvero. Con due figli a carico di dieci e dodici anni non sapeva più come tirare avanti.
Da quando, a inizio anno, aveva esaurito i risparmi, la coppia era giunta all’estremo delle risorse, col conto corrente in rosso fiammeggiante e debiti a iosa. Le uniche altre spese oltre a quelle citate erano rivolte a non far mancar niente ai ragazzini, anche a costo di togliersi il pane di bocca.
Enzo non sopportava di starsene in casa, nullafacente da mane a sera a parte apparecchiare la tavola. Così aveva preso l’abitudine di passare diverse ore a passeggiare per le strade cittadine, mentre il primo pomeriggio e la serata li trascorreva ottundendo la mente dinanzi alla tv. Evitava accuratamente solo i telegiornali e qualsiasi altro programma affrontasse il tema della crisi economica. Durante le sue peregrinazioni ogni tanto incontrava amici o conoscenti e si distraeva scambiando quattro parole, altrimenti camminava e camminava, instancabile.
Il Natale si avvicinava e per le strade avrebbero presto brillato allegre le illuminazioni, pagate dai commercianti al consumistico scopo di ricordare le imminenti festività, ammesso che il costo crescente dell’illuminazione lo avesse reso possibile. Nel frattempo, in contraddizione con quanto sosteneva la tv, vedeva bar, pizzerie e ristoranti sempre pieni, per lo meno nei fine settimana, mentre le vetrine dei negozi che non avevano ancora chiuso i battenti erano colme di prodotti e le strade più affollate della norma, forse anche per via del clima autunnale insolitamente tiepido.

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Perciò soffriva nel vedere gli altri apparentemente felici e in vena di festeggiare, mentre lui doveva stringere la cinghia. Odiava inoltre le feste comandate, a suon parere trasformate da troppo tempo in volgari orge per gli acquisti.
Infine un mattino, preparandosi come al solito a uscire, si rese conto che anche il suo maglione preferito era liso ai gomiti. Per giunta poco prima aveva rotto il bottoncino dei jeans ed era stato costretto a toglierseli per indossare l’ultimo paio utilizzabile rimastogli. E così, percorrendo le vie del centro, quel giorno gli vennero le lacrime agli occhi per la rabbia e la frustrazione.
Per tutti questi motivi e altro ancora si decise allora a compiere ciò che mai avrebbe creduto possibile. Ci meditò ore e ore sopra, infine nel tardo pomeriggio si decise ad agire, con la morte nel cuore.
Vergognarsi come un ladro, si suol dire. Mentre si aggirava a disagio tra gli scaffali ricolmi di merce dell’ipermercato, Enzo capì finalmente l’esatto significato dell’espressione. Non che i veri tagliaborse di professione si vergognassero di nulla, a suo parere, lui però era soltanto un ladruncolo improvvisato e si sentiva come se tutti gli stessero leggendo i propositi nella mente e lo additassero, rimproverandolo ostili.
D’altronde nel corso della sua esistenza non aveva mai rubato nulla, aveva insegnato ai figli sani principi morali ed era sempre stato orgoglioso della propria integrità. A volte sospettava di essere rimasto l’ultimo al mondo a ragionare in tale maniera ma non gliene importava: se non fosse giunto alla disperazione non si sarebbe mai ridotto a compiere un simile passo.
Niente di clamoroso, naturalmente, la sua vita non era un film, aveva solo bisogno di nuovi capi d’abbigliamento e si era deciso a procurarsene qualcuno di straforo. Sapeva che gli scaffali dell’ipermercato di quartiere contenevano abiti economici ancora privi del dispositivo antitaccheggio. Perciò raggiunse il settore che lo interessava, scelse un paio di blue jeans, una camicia bianca di cotone, una maglia colorata cinquanta per cento lana e cinquanta poliestere e una graziosa giubba imbottita multi-tasche blu, indumenti esteriormente non troppo dissimili da quelli che aveva indosso, e andò nel camerino a provarseli.
In totale costavano centosessanta euro, niente di straordinario dunque, ma mancava ancora una settimana prima di ricevere le prossime paghe mensili, la sua e quella della moglie, peraltro entrambe già destinate quasi per intero ad altri usi, e nel portafogli gli restavano appena trentacinque euro più una manciata di monete.
Infine si guardò allo specchio: gli andava tutto a pennello. Per una volta anche lui avrebbe festeggiato, con anticipo, il Natale. Agitato ma felice, staccò i cartellini, li applicò alla bell’e meglio sull’usato e lasciò il camerino indossando i vestiti nuovi e tenendo sotto braccio gli altri. Ripose questi ultimi negli scaffali come se fosse un cliente intenzionato a non comprare, cercando di nasconderli sotto gli indumenti già presenti, altrimenti chiunque avesse guardato il reparto li avrebbe notati e se avesse subito avvisato i commessi lui avrebbe rischiato di essere sorpreso prima ancora di aver fatto in tempo ad allontanarsi.
Mentre passava dal lato dell’uscita interna per i clienti senza spesa, gli parve che la guardia lo fissasse con aria particolarmente sospettosa, ma doveva trattarsi di un’impressione dovuta al nervosismo, perché nessuno lo fermò.
Superata anche la porta esterna girevole tirò un gran sospiro di sollievo. Era in un bagno di sudore. Rubare non rientrava nella sua natura, tuttavia non si aspettava che un semplice furtarello lo mandasse talmente in confusione, meno male che tutto era finito. Aveva perso la testa ma non l’avrebbe fatto mai più, decise, non sarebbe stato in grado di reggere la pressione un’altra volta. In qualche maniera se la sarebbe cavata ugualmente, l’onestà innanzi tutto.
Procedendo verso casa si voltò spesso. No, nessuno lo rincorreva. Non riusciva a togliersi dalla mente la spiacevole sensazione di una qualche fregatura incombente, tuttavia ritenne che fosse la tensione a farlo sentire così. Quali errori avrebbe mai potuto commettere? In fondo era stata una cosuccia di poco conto. E per festeggiarne il felice esito e cominciare a rilassarsi si concesse un pinot grigio al bar sotto casa.
Il mattino dopo si alzò di ottimo umore e si sedette a fare colazione accontentandosi di latte, yogurt, due biscotti e caffè. Nel frattempo Luisa gli chiese di comperare pane, frutta e patate dal verduriere.
«Nessun problema», le assicurò con un sorriso. Dopotutto i trentatré euro rimasti bastavano a avanzavano.
Salutò e baciò i bambini che uscivano per recarsi l’uno alla vicina scuola elementare e l’altro alle medie e cominciò a prepararsi.
Aveva appena indossato gli indumenti nuovi quando suonò il citofono. Sentito che erano i carabinieri il suo cuore perse un battito.
«È lei il signor Lorenzo Grossi?» Chiese poco dopo il brigadiere, scrutandolo con attenzione, immobile dinanzi alla porta d’ingresso.
«Sì, sono io». Confermò Enzo, già sudando copiosamente e respirando a fatica.
«Gli abiti che indossa sembrano nuovi, ha conservato lo scontrino?»
«Uuh, non credo, perché avrei dovuto? L’avrò gettato in un cestino dei rifiuti lungo il tragitto.»
«Quindi non è in grado di dimostrare di averli regolarmente acquistati?»
«Io, ecco… io non so ma…. insomma, perché me lo chiede?»
Il funzionario rispose alla domanda aprendo un borsone, da cui tirò fuori un giaccone sgualcito. Dalla tasca interna di quest’ultimo estrasse infine un oggettino di plastica trasparente.
«Può almeno spiegare cosa ci facevano questo suo indumento e altri logori capi di vestiario negli scaffali di vendita dell’ipermercato del limitrofo centro commerciale?» Chiese poi.
Beh, dopotutto un errore l’aveva commesso, maledetto stupido qual era, dovette convenire Enzo guardando, costernato e ammutolito, la propria faccia, ritratta sulla carta d’identità e sulla patente di guida. Nell’urgenza e nell’agitazione di cambiarsi aveva dimenticato nella tasca interna del giaccone scartato il portadocumenti. Emise un sospiro di rassegnazione, mentre già stendeva le mani aspettandosi le manette ai polsi: per rubare bisogna esserci portati e lui decisamente non lo era.

Massimo Bianco

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