UN MONDO DIFFERITO
Non comprare ciò che
oggi non puoi pagare
Poniamoci, tanto per cominciare, una semplice domanda: a cosa possiamo attribuire l’enorme espansione mondiale della ricchezza bancaria?
La risposta suona pressappoco così: all’abitudine, diventata ormai un vizio, di comprare beni e servizi che, senza dilazioni di pagamento, non potremmo permetterci.
È un diluvio di “prendi adesso e comincia a pagare tra tre mesi”, “in comode rate”, e così via. Col trucco che spesso la rata conclusiva, ammesso di arrivarci, è la più salata. Se fosse richiesta come prima rata, la maggior parte la confinerebbe nel mondo dei sogni, del “vorrei ma non posso”.
Il mondo è diventato come quello dei balocchi di collodiana memoria, con il gatto e la volpe (pubblicità) che piazzano la loro merce ad un mondo in affanno, che non ammette di esserlo e si droga di merci al di sopra dei propri redditi.
D’altronde, se tutti compissero le scelte sagge, l’economia consumistica ne soffrirebbe, la banche non saprebbero che farsene dei depositi dei clienti formiche (che già da un pezzo, peraltro, sono slegati dai nuovi prestiti), circolerebbe solo una frazione delle auto, i ristoranti e gli altri esercizi commerciali languirebbero, forzando molti alla chiusura, le fabbriche produrrebbero ben al di sotto delle loro potenzialità, licenziando molti dipendenti, e così via, in una spirale di disoccupazione e miseria diffusa. In campo economico si ripeterebbe il disastro della peste del 1348, che dimezzò la popolazione europea.
Diciamo insomma che siamo in un mondo che ripudia il presente e vive proiettato in un futuro che attrae e insieme spaventa. Tuttavia, per ironia della sorte, è stato proprio il futuro dipinto di rosa che ci ha trascinati nel suo contrario.
Il futuro rosa prese avvio con la fine della guerra: le macerie diffuse furono come il concime per le piante, che le aiuta a crescere così rigogliose da sfamare mandrie sempre più numerose.
Il limite si raggiunge quando son più le bocche del foraggio; e gli animali più deboli deperiscono e soccombono. Questo è il ciclo naturale, da sempre.
L’uomo però è un animale progettuale, per cui si ingegna di sviare dai cicli naturali; e così escogita sempre nuovi stratagemmi per perpetuare gli agi dei primi tempi.
Anche la mitologia aiuta quando ci parla di età dell’oro dei primordi, per poi calare via via in metalli meno pregiati: argento, rame, ferro. La mitologia odierna, invece, ribalta il percorso, ponendo l’età dell’oro come suo traguardo futuro: terreno (per l’ottimismo progressista) ed etereo (secondo la visione cristiana).
Nella vita reale è la crescente difficoltà, e i relativi costi di estrazione, lavorazione e trasporto delle materie prime a causare il declino, qualunque siano le scoperte di nuovi giacimenti e l’avanzamento della tecnologia, la cui raffinatezza si basa su elementi esotici, rari e/o diffusi in basse concentrazioni, con relativi abnormi consumi energetici e collaterali inquinamenti.
Ma, al suono di the show must go on, gli sconquassi ambientali vengono anestetizzati da fiumi di denaro, emessi a profusione da banche centrali e commerciali, con l’addizionale spinta inflativa di pandemie, guerre, attentati.
L’ossessione urlata ai quattro venti è quella del rapporto debito/pil: per tamponare la crescita inesorabile del debito, nonostante i dichiarati sforzi contrari, non resta che aumentare il pil, in qualsiasi modo, a prescindere se si tratti di opere virtuose o nefaste, come spese mediche o riparatorie di disastri naturali o spacciati per tali. Negli ultimi 2 anni una spinta (fasulla) al Pil l’ha fornita l’inflazione.
Nell’ultimo mezzo secolo si è cercato di estrarre gas e petrolio in varie parti del mondo, su terraferma o sui fondali marini, innescando ogni volta battaglie ecologiste regolarmente perse, con strascichi di sversamenti in mare o devastazioni di interi territori. Voglio qui deprecare quegli scisti bituminosi dai quali proviene il gas che, ammainando il vessillo “prima gli italiani!” del nostro governo, importiamo dagli USA. E il suo prezzo, guarda caso, è triplicato rispetto al gas russo, in quanto la sua estrazione, oltre che devastante, è anche assai più energivora. Si aggiunga, a completare la nostra insipienza, il trasporto via nave attraverso l’Atlantico e la necessità di stazioni di degassificazione costiere che tanta opposizione incontrano da parte delle popolazioni locali. Il conto finale lo leggiamo sulle nostre bollette del gas. Più alti i prezzi di gas e benzina alla pompa, più alto il Pil.
L’ultima novità è l’interesse di multinazionali minerarie per l’estrazione del litio in varie parti d’Italia [VEDI]. Il litio è considerato oggi “l’oro bianco”, per la sua ubiquità in tutti gli aggeggi elettronici che sempre più connotano la nostra esistenza, lavorativa e ludica. Anche la sua estrazione non fa eccezione in termini di danni ambientali; dal che possiamo dedurre, per l’ennesima volta, che siamo oggi la specie più dannosa del pianeta. Tra l’altro, vista la diffusione degli apparecchi in cui è presente, il litio è insignirlo del titolo di “oro dei poveri”: chi non possiede un telefonino? E i suoi prezzi toccano tutta una gamma di tasche, tra cui quelle che non se lo potrebbero permettere, se pagato “sull’unghia”.
E torniamo all’assunto di partenza: siamo bombardati da miriadi di tentazioni, alle quali ben pochi sanno resistere. E il ricorso al debito nasconde la nostra dissennatezza, che emerge solo quando può essere troppo tardi.
A dare un’accelerata alla propensione debitoria indotta dal luccichio delle merci c’è l’istituto delle carte di credito: una diversa forma di differimento delle proprie obbligazioni.
Di tutto questo non beneficia la società, non beneficiano i singoli, ma soltanto le banche, se hanno l’accortezza di non elargire troppi soldi ai privati e alle piccole e medie aziende che, in perpetua concorrenza tra loro, devono continuare ad investire, ossia ad accendere prestiti, per non restare dietro alle altre e perdere fette di mercato. Come le grandi aziende, che devono creare sempre nuovi bisogni, ergo nuovi debiti, in una neppur tacita alleanza con le banche, delle quali sono in buona parte proprietarie.
In tutto questo turbinio di soldi, le banche non hanno nulla da perdere: non devono farsi prelievi di sangue, la cui restituzione sarebbe vitale per la loro sopravvivenza; non sono come qualunque altro mortale, che preleva dal proprio gruzzolo ogni prestito che concede ad altri.
E gli Stati? Non sono tanto diversi da privati e aziende: sembrano tanti zombie, incapaci di stampare la propria moneta, senza dir grazie a nessuno, per fare le infrastrutture e risollevare trasporti, sanità, ecc., di cui il Paese ha estremo bisogno. Invece no, si rassegnano a stampare (ormai virtualmente) Buoni del Tesoro, gravati da interesse, che mettono all’asta, ipotecati da un voto (interesse) emesso da agenzie di rating, in odore (o meglio fetore) di conflitto di interessi con le grandi banche d’affari, che sono i primi acquirenti dei BOT stessi: e basta far languire l’offerta per far lievitare l’interesse: abbiamo superato il 4%; che significa sborsare € 40 miliardi ogni 1000 di emissioni, ossia oltre € 100 miliardi l’anno di interessi su un debito di € 2855 miliardi! Sul cattivo esempio degli Stati, è ovvio che i cittadini ritengano normale condurre una vita di debiti, nelle vesti di perenni questuanti. Purtroppo, mal comune non equivale a mezzo gaudio. Il gaudio è solo per le banche.
I media ben si guardano dal sottolineare l’assurdità di questo sistema, che ha reso il mondo intero debitore verso le banche. Eppure, non traggo i miei dati da riviste complottiste o di parte: solo fonti ufficiali. Basta trarne le debite conseguenze. [VEDI] Ma gli organi preposti non lo fanno: Corte dei Conti, Ragioneria dello Stato, Guardia di Finanza, Ministero del Tesoro, Agenzia delle Entrate. Tutti con gli occhi bendati.
I BTP VALORE, di recente emissione, sono gravati da oltre il 4% di interesse. Di conseguenza, sono andati a ruba da parte di miriadi di piccoli risparmiatori. Il rovescio della medaglia è che lo Stato dovrà sborsare, per quegli interessi, oltre € 78 miliardi annui nei prossimi anni, e in crescita; mentre saluta entusiasta l’arrivo dei fondi PNRR, anch’essi in buona parte a interesse. Quasi una eco del ritornello “chi vuol essere lieto sia: / di doman non c’è certezza”, dai Canti Carnascialeschi di Lorenzo de’ Medici.
Se qualcuno pensa che il faro di ogni nostra mossa, gli USA, siano messi meglio di noi, si sbaglia: il suo debito pubblico supera i $ 33mila miliardi (un terzo del mondo e il più alto), succhiando il 20% della spesa pubblica a detrimento di infrastrutture e servizi ai cittadini. [VEDI] Ciononostante, Moody’s classifica gli USA con AAA (massima affidabilità). Non che gli altri Stati gli diano pari credito, se guardiamo il continuo calo del dollaro come valuta di riserva internazionale, proporzionale alle incessanti vendite della divisa e dei treasuries (l’equivalente USA dei BOT) da parte di nazioni antagoniste, come quelle dei BRICS, che puntano alla de-dollarizzazione [VEDI].
Un mondo differito, in sostanza, dove su ogni cosa che si fa oggi grava il cartellino del debito futuro, anche laddove sarebbe evitabile. Mentre il meccanismo del debito pubblico non spinge a riflettere sulla sua irragionevolezza, quello privato è andato così avanti che il suo inceppo scatenerebbe una sciagura socio-economica. Come lo sarà, tra qualche anno, il risultato delle immigrazioni facili: altra miopia che trasformerà l’Italia in un Paese socialmente, civilmente, culturalmente altro.
L’unica, inevitabile, rivoluzionaria, via d’uscita sarà il rigetto del debito, riprendendo in mano il proprio destino: “Rimettete a noi i nostri debiti…”.
Marco Giacinto Pellifroni 10 marzo 2024