Un critico d’arte ucciso dal virus

UN CRITICO D’ARTE UCCISO DAL VIRUS

UN CRITICO D’ARTE UCCISO DAL VIRUS

 Ho incontrato di sfuggita due volte il critico d’arte e curatore di mostre memorabili in Italia e all’estero il cui nome è legato soprattutto al movimento dell’Arte Povera, Germano Celant, morto al San Raffaele di Milano per infezione da coronavirus, il 29 aprile scorso; una prima volta al Circolo culturale Piero Calamandrei di Savona, nell’autunno del 1967, una seconda volta in occasione di una mostra di Pino Pascali alla Galleria La Bertesca di Genova, nella primavera del 1968, l’anno della morte precoce del geniale artista pugliese. Fino da allora vestiva sempre di nero, camicia compresa, non ho mai capito perché, dato che teorizzava, oltre all’Arte Povera, anche l’arte come guerriglia, affascinato dall’esempio della rivoluzione cubana e dalla personalità di Ernesto Che Guevara, contro l’imperialismo americano anche nelle arti degli anni Cinquanta e Sessanta. Germano Celant, di lontana ascendenza sinti, era nato a Genova nel 1940. Studiò storia dell’arte alla Facoltà di Lettere dell’Università genovese dove si laureò con una tesi sul grande designer, architetto  e cartellonista pubblicitario Marcello Nizzoli sotto la guida  di un maestro prestigioso e critico militante come Eugenio Battisti, che lo chiamò a collaborare alla rivista Marcatrè.


Notiziario di cultura  contemporanea (1963 – 1970). Ma il momento magico che lo rese celebre prima in Italia e poi in tutto il mondo fu la fondazione del movimento da lui chiamato Arte Povera, nato ufficialmente nel settembre del 1967 con la mostra alla Galleria La Bertesca, del gallerista genovese d’avanguardia Francesco Masnata, il cui successo fu dovuto, oltre all’intuizione di Germano Celant – che aveva colto evidentemente un’esigenza reale di rottura con il potere del ‘Sistema’ (come si diceva allora) che riduceva e continua a ridurre il mondo, e quindi anche l’arte, a mercato – al valore non monetizzabile della personalità di artisti come  Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Pino Pascali (sopra ricordato), Mario e Marisa Merz, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Emilio Prini e Gilberto Zorio che esposero le loro “opere” impossibili da classificare o catalogare secondo i canoni vigenti nell’arte contemporanea fino agli anni Sessanta. Significativo il sottotitolo del manifesto teorico in cui Germano Celant enunciava la “poetica” dell’Arte Povera: Appunti per una guerriglia del 1967, che si apre con gli enunciati seguenti: “Prima viene l’uomo poi il sistema, anticamente era così.

Oggi è la società a produrre e l’uomo a consumare” e in cui leggiamo che il denominatore comune della naturale diversità di  visione e di stile  degli artisti sopra elencati è “un nuovo atteggiamento per riprendere un ‘reale’ dominio del nostro essere, che conduce l’artista a continui spostamenti dal suo luogo deputato, dal cliché che la società gli ha stampato sul polso. L’artista da sfruttato diventa guerrigliero, vuole scegliere il luogo del combattimento, possedere i vantaggi della mobilità, sorprendere e colpire, non l’opposto. “ I due verbi  “sorprendere e colpire” scelti non certo a caso – richiamano, oltre alla tattica della guerriglia, l’ “épater le bourgeois” dei poeti francesi decadenti e maledetti di fine Ottocento, che a loro volta riecheggiano i famosi versi satirici della Murtoleide (1626) di Giambattista Marino: “E’ del poeta il fin la meraviglia / (parlo dell’eccellente e non del goffo): / chi non sa far stupir, vada alla striglia!” – suonano quasi patetici al giorno d’oggi in cui  non ci si stupisce più di niente avendone visto letteralmente di tutti i colori, dalla Land Art alla Street Art, dalla Minimal Art alla Junk Art For the Love of God , ovvero il Teschio di Diamanti di Damien Hirst al water d’oro di Maurizio Cattelan tanto che dall’Arte Povera, che intendeva fondarsi sul ritorno al rapporto diretto Uomo-Natura e riprendere il contatto con la realtà della nuda materia e l’oggettività delle cose, a forza di voler sorprendere e colpire il Sistema delle arti e della critica accademica si è arrivati alla povera arte della esposizione del corpo, proprio o altrui, o di animali vivi o impagliati quando non a vere e proprie ferite autoinferte nelle performance estreme della serba Marina Abramovic e di quelle chirurgico-estetiche (si fa per dire) della francese Orlan.


Certo che ha sorpreso e stupito i nuovi filistei la carriera strepitosa del giovane iconoclasta sessantottino che, movendo dalla guerriglia antisistema, è diventato una delle icone del sistema globale dell’arte: dopo lo scioglimento, nel 1971,  del gruppo originario dell’Arte Povera tutto costituito da giovani artisti italiani, Germano Celant, reduce del successo della mostra Off Media a Bari del 1977, prende il volo verso il centro nevralgico dell’arte mondiale, il museo Guggenheim di New York, di cui diviene uno dei più autorevoli curatori e dove, tra l’altro, allestì, nel 1994,  la mostra Italian Metamorphosis 1943-1968 , che portò l’arte italiana contemporanea alla ribalta internazionale. Allestimento dopo allestimento, mostra dopo mostra, performance dopo performance, Germano Celant viene nominato direttore della quarantasettesima Biennale d’Arte di Venezia nel 1997. Dal 1995 fino al suo ricovero all’ Ospedale San Raffaele dove poi si è spento,  è stato anche direttore artistico della Fondazione Prada presso la quale ha allestito la mostra Post Zang Tumb Tuum. Art Life Politics: Italia 1918- 1943 , aperta dal 18/02 al 25/06 del 2018. Non ha mancato di provocare polemiche e sarcasmi il ricco cachet di 750 mila euro al “guru” dell’Arte Povera per la direzione artistica dell’Area Tematica Food in Art in occasione dell’ Expo milanese del 2015. Per chi era partito da contestatore dell’arte ridotta a mercato a molti è sembrato che Germano Celant si fosse lasciato irretire dalle sirene ammaliatrici  del mercato dell’arte e della moda, ma in ogni caso non gli si può negare il talento prodigato nel valorizzare e nel far conoscere l’arte contemporanea italiana in Italia e nel mondo.  

 FULVIO SGUERSO

 

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