Trent’anni fa (e passa)
Trent’anni fa (e passa)
La rete non perdona, la rete non dimentica
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Trent’anni fa (e passa)
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La rete non perdona, la rete non dimentica. Questi sono slogan che vanno per la maggiore di questi tempi, e in effetti, con qualche screenshot, anzi, scusate, niente inglese di moda, diciamo foto dello schermo, e una buona memoria del passato, si sgama qualunque cosa. Così, è stato ricordato come gli stessi giornalisti ed esponenti politici che han gettato fango, anche pesantemente e andando oltre i limiti dell’offesa personale, su Roma e la Raggi per la rinuncia alla candidatura olimpica 2024, si erano sperticati in lodi ossequiose della sagacia di Monti, quando il suo governo aveva detto no a quelle 2020, spiegando perché non potevamo permettercele. Mirabile la capriola a centottottanta gradi con cui gli stessi esponenti del PD che lanciavano anatemi a Berlusconi per il Ponte sullo Stretto, ora dopo le parole di Renzi si arrampicano sugli specchi per dire che forse, sì, in effetti, potrebbe essere una opportunità. Per non parlare della riforma costituzionale. Prima, quando era Berlusconi a voler modificare la Costituzione nello stesso senso autoritario, tutti a gridare, e tutti in piazza, e tutti a difenderla, e accuse di P2, e arriva la dittatura, eccetera. Ora che lo stesso identico progetto già iniziato in sordina tanti anni fa lo porta avanti Renzi, chiaramente nel nome degli stessi interessi internazionali che vogliono avere mani libere nei vari paesi, vogliono diminuire le garanzie costituzionali, il potere di veto dei parlamenti, le sovranità nazionali, perché le leggi di loro interesse passino più in fretta, per completare il disegno ultimo del turbocapitalismo d’assalto, allora va bene, benissimo, è tutta salute. Emblematica la giravolta di Benigni. E’ l’esempio di quello che a volte mi fa vergognare di essere italiana, che spesso ci fa disprezzare all’estero ben oltre i nostri demeriti: la nostra atavica natura di servi, l’assenza di coerenza e dignità. La tristanzuola spedizione da Obama ha dato modo ai social di scatenarsi, e anche questa, nell’era della comunicazione imperante e della manipolazione delle menti, è strategia. Purché se ne parli. La presenza della coraggiosa e meravigliosa Bebe Vio, che aveva tutti i diritti di rappresentare con onore e orgoglio l’Italia all’estero, è stata, dal punto di vista comunicativo, la classica trappola per suscitare invettive nelle persone meno accorte, e di conseguenza, una logica simpatia di ritorno, che per osmosi si riversasse sulla causa del Sì referendario. Dappertutto (qui si fa autocritica, anche per i 5 stelle) non abbiamo più persone, ma personaggi. Ormai si vive, giorno per giorno, di trappole e trucchetti come questo. Dobbiamo continuamente stare in guardia, perché nessuno sembra più difenderci, se non ci difendiamo da soli: dal supermercato, alle offerte telefoniche, dalle leggi che vogliono imporci alla manipolazione dei gusti e dei desideri, dalla schiavitù sul lavoro ai balzelli ingiustificati, è un bombardamento continuo. La rete di cui sopra in parte fa da antidoto, in parte aiuta a ragionare, ad aprire gli occhi attraverso il passaparola. Per questo è tanto invisa ai media che faticano sempre più a trovare una loro autonomia: se non dai una notizia scomoda, per esempio su un indagato eccellente, apparirà su mille siti diversi, così anziché raggiungere il tuo scopo sarai fregato due volte: una, perché diverrà evidente l’autocensura, due, perché la notizia che avresti voluto nascondere otterrà il doppio di rilevanza. Non tutto è oro, certo. Esistono contromisure. Intanto la conseguenza mentale è un elevato livello di paranoia di fondo, al limite del complottismo, che fa sì che molte menti più razionali, per reazione, diventino negazionisti a livello del Cicap e bollino per partito preso come bufala qualsiasi verità che appaia troppo grossa per poterla accettare, mentre il sospetto fa al contrario proseliti fra persone più semplici e più goffe, che in futuro potrebbero essere manipolabili da chi avesse cattive intenzioni. Poi i siti bufalari sono sparsi a pioggia, per alimentare appunto la confusione e il rumore di fondo. Alla fine la divisione fra chi crede e chi non crede “a prescindere” si fa più netta, e non aiuta la semplice e nuda verità, ma la grassa confusione utile ai peggiori scopi. In tutto questo la massa di chi ancora si fida e si basa sulla tv, fa da pesante contrappeso, impedendo una vera evoluzione sociale, e contribuendo (non in esclusiva, certo, il processo è complesso e viene da lontano) a mantenerci in quella palude di arretramento culturale in cui ormai ci dibattiamo da tempo. Ma non siamo troppo apocalittici né troppo ingenuamente fiduciosi: le evoluzioni e involuzioni si misurano su scala temporale più lunga e analizzando un complesso di fenomeni, non un singolo indizio. Vedremo se e come funzioneranno, alla lunga, i famosi “anticorpi” della rete. Di sicuro si tratta di un interessante e unico esperimento sociale. Vedremo anche come andrà il famoso referendum. Quello ci darà un segnale. Per citare la simpatica e fulminante battuta di Crozza: “gli italiani si dividono fra quelli che voteranno sì, e quelli che la riforma l’hanno capita.” Dunque vedremo non solo chi vincerà, ma anche con che percentuale, e con quale base di votanti. Ci dirà se e fino a che punto possiamo sperare in un risveglio delle coscienze. Al di là della sopravvivenza politica o meno di Renzi e del suo governo, che non è neppure il “casus” principale, questo è uno spartiacque importante, che andrà a influenzare il futuro, a cascata. Oggi che il piccolo parlamento belga vallone ha avuto, da solo, con il suo veto, la forza di fermare il trattato di libero scambio fra Europa e Canada, il Ceta, analogo del famigerato TTIP con gli USA, si capisce l’importanza cruciale del mantenere un minimo di indipendenza e sovranità, (oltre che di informazione corretta!!!) e che non è un vezzo da provinciali populisti anti europei, ma sopravvivenza dei popoli, contro un’Europa che è tutto tranne quello che dovrebbe e potrebbe, auspicabilmente, essere. Naturalmente il nostro governo in proposito è talmente sdraiato a tappetino, che in puro stile sado maso bondage supplica in tutti i modi di approvare questi trattati, di fare presto, di non coinvolgere inutilmente i parlamenti… Un assaggio di ciò che ci aspetta se il sì avrà campo libero. Ogni tanto il meccanismo della comunicazione e dell’imbonimento si inceppa, per fortuna. A volte ciò è causato dall’errore di fondo che questi fanatici dell’ultraliberismo, del turbocapitalismo, dell’extra consumismo commettono, per troppa sicumera, almeno da quando l’opposto sistema del comunismo, con tutti i suoi mali e imperfezioni, ha smesso di fare da contrappeso: la convinzione che quello da loro auspicato, che rende pochi ricchissimi, e gli altri poverissimi moralmente e materialmente e schiavi, con l’eccezione di un nutrito stuolo di cantori esecutori e lacché, sia l’unico e il migliore dei mondi possibili. Che ciò che loro auspicano e vogliono e promuovono e progettano, sia il bene più desiderabile per tutti, fuori da ogni discussione, e anche l’unico in circolazione, senza alternative. Ecco che questa troppa sicurezza fa inciampare, fa commettere errori di previsione e comunicazione. Attendiamo, nella speranza che un giorno questa stessa arroganza possa perderli, e smascherarli, e salvare quel poco che rimane del mondo. Giorni fa Renzi ha tranquillamente affermato che personaggi come Grillo, D’Alema o Berlusconi non vogliono le riforme perché verrebbe meno il loro “potere di veto”. (Che poi, sul no di Berlusconi e sull’abile doppio gioco del centrodestra ci sarebbero da sprecare fiumi di parole. ) Forse Renzi credeva di sottolineare come il no avesse secondo lui motivazioni personalistiche e non di bene comune, ma in realtà la sua frase, letta in modo corretto, ammette candidamente che questa è una riforma in senso autoritario. Perché cos’è quello che lui chiama potere di veto, se non ciò che in una normale democrazia è il diritto delle opposizioni? Insomma, la famosa storiella della governabilità, in nome della quale passo dopo passo si è erosa la democrazia rappresentativa, in favore di premi di maggioranza abnormi, si rivela per quel che è: progressivo campo libero, fra le minoranze quasi a pari merito, a una sola, possibilmente non i 5 stelle da bloccare in ogni modo, che diventa maggioranza assoluta e spadroneggia. Assenteismo sempre più alto, sfiducia dei cittadini nella politica, e avanti così, tranquilli e sereni, spargendo ogni tanto un po’ di becchime, che poco alla volta, da bonus e contentini, si è trasformato in semplici annunci e propaganda. Tanto bastano, inutile sprecare. Vedremo dunque, fra pochi mesi, a che punto è la notte, se si intravede un’alba o no. Un altro autogol che i sostenitori delle riforme commettono spesso, a parte minacciare piaghe bibliche, cavallette in abbondanza e asteroidi sulla zucca, è dire che con il no “si tornerebbe indietro di trent’anni”. Convinti di lanciare una minaccia terrorizzante più di tutte. Appunto, come dicevo, perché i fautori di questo sciagurato modello economico sono convinti che si debba e si possa solo crescere. Una crescita infinita come il bene. Un fermo o un arretramento come il male. Il “potere d’acquisto” molto potenziale e poco reale, del superfluo e non del necessario, come misura di tutto. Che la crescita infinita sia insostenibile e folle sotto tutti i punti di vista, è un’evidenza di buon senso e anche delle leggi di natura. Tranne per chi gestisce la politica e l’economia. Intanto, però, ecco entrare appunto in azione la rete, con ironia salvifica. L’augurio ripetuto a più voci, quasi un bombardamento sui social: trent’anni indietro? Magari! non rispecchia né la semplice e ovvia nostalgia della giovinezza per alcuni, né un banale passatismo stile si stava meglio quando si stava peggio, eravamo più poveri ma più felici, una volta qui era tutta campagna, e via banalizzando di luoghi comuni. E’ qualcosa di più consapevole e ragionato. Ci si ricorda dei diritti dei lavoratori, della certezza della pensione, delle scuole che funzionavano meglio, della sanità all’onor del mondo, degli enti pubblici magari carrozzoni, ma più rassicuranti comunque della rapacità privata, e dei tanti posti di lavoro dignitosi e garantiti. Della politica non ancora estremizzata e trasformata in un perenne show. Di tutte quelle conquiste sociali che ci sono state spietatamente sottratte. Li si paragona col degrado odierno, con la volgarità, l’amoralità, l’assenza di speranze, lo sfascio, la prepotenza e tanti altri aspetti del vivere, dell’inutile tentativo di compensare con una infarcitura di abbriccichi consumistici del tutto rinunciabili. Qualcuno comincia a dire che, forse, tornare indietro non sarebbe poi così male. Io, avendo una certa età, mi spingo oltre, agli anni ‘60. E ne ricordo tanti aspetti positivi, oltre all’ottimismo, al sano buon senso, e all’ansia di progresso che ci animava allora. Intendiamoci, lo ripeto, non sono passatista né così nostalgica da non rivedere in modo critico tante cose che allora ci sembravano naturali, (per esempio fumare a tutto spiano anche in luoghi chiusi e davanti ai bambini, per esempio il ruolo sottomesso della donna) e da non apprezzare tanti aspetti e conquiste dell’oggi, a partire da questo pc su cui scrivo e da questo internet su cui si diffondono le idee e i dati. Solo che si sono trascinati dietro tanti aspetti devastanti, tante follie incomprensibili di una tecnologia tesa spesso più a creare bisogni inutili che a soddisfare meglio le esigenze vere e fondamentali. Guardate per esempio quanti pochi passi avanti, in proporzione, si siano fatti nel campo dei trasporti e dei combustibili, rispetto a videogiochi e cellulari. Per andare a Genova in treno ci si mette mediamente di più di quarant’anni fa, fra treni soppressi e pendolari accatastati, e a carissimo prezzo. E’ progresso, questo? Dico solo che, in economia come in tutti gli aspetti del vivere, dovrebbe diffondersi una mentalità diversa e più attenta, più discriminante. Dove non tutto ciò che è vecchio è da buttare via, e non tutto ciò che è nuovo è per forza positivo. Meno legata al profitto e più al benessere collettivo. Dove la vecchia divisione fra conservatori e progressisti sia ormai superata, sostituita, semmai, dalla contrapposizione fra chi vuole andare a rotta di collo trascinato dalla corrente, vada come vada, e chi invece cerca ancoraggi, certezze, deviazioni che lo portino fuori dalle rapide verso acque tranquille. Dove la stessa parola “progresso” assuma molti altri significati più profondi, che non siano la crescita e il nuovo purchessia, e la creazione disperata di bisogni artificiali da soddisfare. Chissà se vivrò abbastanza da vedere una nuova società, una società migliore che si salvi dal tracollo. Intanto, ciascuno, nel suo piccolo, col suo comportamento di tutti i giorni, le sue scelte spicciole, può fare la differenza, rifiutando di arrendersi a ogni bisogno indotto, a ogni spreco o follia. E sono, siamo in tanti a iniziare a capire che sia questa la nuova resistenza. Milena Debenedetti Consigliera del Movimento 5 stelle |