Tradizione, Diversità, Scuola

Tradizione, Diversità, Scuola
per una cultura dell’identità, del dialogo e del confronto

L’idea di progresso è una colossale sciocchezza ereditata dal cristianesimo. La realtà non è né buona né cattiva, semplicemente è. E a qualcuno conviene ad altri non conviene. Ogni momento segna una fine e un inizio  ma oltre il mutamento c’è la sostanza, il soggetto del mutamento, ci sono le radici di ciò che si è divenuti.  Perché si diventa ciò che si è, ci si rinnova rimanendo se stessi: è questo il fondamento dell’identità.  Identità che è sempre l’affermazione di una diversità. Omologare la diversità è il peggior segno della discriminazione e dell’intolleranza. Negare la diversità del diverso significa infatti non accettare la sua diversità.

Se è vero che l’esistenza si realizza nel presente è anche vero che l’identità è frutto del passato. Nel passato e nella memoria, tant’è che la perdita della memoria porta con sé la perdita dell’identità e il conseguente smarrimento.  E questo vale per i singoli individui come per i popoli, che attingono alla storia la loro dignità di Nazione.

Lo zelo servile degli intellettuali del ventunesimo secolo mira a far perdere questa consapevolezza, a disfare la Nazione riducendola a una somma di individui a loro volta privati della loro identità e ridotti a numeri, a ruoli, a mansioni, a unità lavorative e soprattutto a consumatori. Un ruolo, quello dell’intellettuale, creato apposta per razionalizzare il commercio globale, la politica globale, la finanza globale dando loro una cornice ideologica e un supporto valoriale. L’intellettuale è  la cinghia di trasmissione che collega governi, partiti, mezzi di informazione con i cosiddetti “poteri forti” che tendono a rimanere occulti ma in certi momenti critici, nonostante la cortina dei media, vengono allo scoperto.

Adolf Hitler era indubbiamente un personaggio nefasto, del tutto privo di buonsenso e di quel pragmatismo che deve guidare un uomo politico; ma quando accusava l’élite “giudaico massonica” di muovere le fila dei governi occidentali aveva perfettamente ragione. Che lui fosse preda di costruzioni deliranti come la purezza della razza o lo spazio vitale è fuori discussione ma è altrettanto certo che proprio per questo ha finito per diventare lo strumento del potere che voleva abbattere. In effetti ha poco senso che per perseguire il ritorno ad un’Europa dello spirito invece di cercare un asse con l’Inghilterra, dove poteva contare su una forte presenza di simpatizzanti perfino all’interno della corte,  si sia alleato col Giappone  e abbia improvvidamente invaso la Russia. Si ha l’impressione che una manina nel momento in cui il Führer smaniava di andare da qualche parte senza sapere dove lo abbia spinto dalla parte sbagliata. La stessa manina che ha indotto Mussolini a rinunciare al suo prudente neutralismo per ripetere, aggravata, l’idiozia del 1915.

Quei poter forti non avevano alcun interesse a sbarazzarsi di Hitler o di Mussolini in quanto tali.  Che l’ottusità e il sadismo nazista stravolgesse l’idea di Heidegger di un’Europa dello spirito o che la paccottiglia fascista oscurasse la lucidità di Gentile era per loro un prezioso aiuto, così come lo era il colossale imbroglio del comunismo. Il fallimento della diversità, dell’identità nazionale, di un’umanità fondata sui valori dello spirito era, ed è ancora, la condizione  per un mondo risolto nella produzione e nel consumo.

Insomma non da ora dietro le scelte dei governi sembrano celarsi incoffessabili interessi e attori che tramano dietro le quinte. Ora però non è questione di interessi contingenti ma di una strategia planetaria che investe piani diversi. Non più solo l’egemonia finanziaria, l’imperialismo commerciale, la grande industria e la produzione di armi ma il costume, la lingua, gli stili di vita, le abitudini alimentari, le tradizioni.

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Già, la Tradizione. Un ostacolo da rimuovere sulla via dell’omologazione, fondamento dell’identità nazionale e della sovranità popolare sublimata in quella dello Stato. Senza la Tradiszione  quella sovranità diventa sovranismo e quella identità nazionalismo, che il pensiero unico ha buon gioco nel combattere in nome della democrazia liberale.  Lo fa in modo ipocrita e  strumentale, evitando di sanzionare quello ucraino, che pretende di tenersi stretto ciò che non è suo come la Crimea o gli oblast russofoni, ed escludendo a priori l’ipotesi di una consultazione popolare da tenersi sotto un controllo internazionale. D’altronde è parte di quella strategia planetaria la confusione fra diritto, morale e ragion di Stato, usata come arma ideologica e di controllo dell’opinione pubblica. Un crimine inaudito come l’assassinio della Dugina – per non dire degli altri omicidi mirati – o l’ignobile sabotaggio dei gasdotti vengono passati sotto silenzio, nessuna parola sui civili scientemente colpiti nel Donbass e in territorio russo ma un accanimento moralistico sulle vittime di Sumi.  I cui responsabili oltretutto, come le stesse autorità ucraine hanno finito per ammettere, sono gli stessi ucraini che hanno creato un obbiettivo militare in mezzo alla popolazione, la stessa pratica di Hamas nella striscia di Gaza.  L’Europa, strumento di quella strategia, fa passare quel nazionalismo feroce e ottuso per patriottismo quando non c’è nessuna patria; e sarebbe pronta a gettare mezza Ucraina in bocca alla Polonia, della quale sta vellicando le ridicole ambizioni di grande potenza.

In questa melma c’è un disegno chiaro: la liquidazione della diversità che si presenta come Tradizione, come diga di fronte al nichilismo progressista.  Ne sono un esempio l’isolamento di Orbán e il tentativo di far passare per eccentrico, arbitrario, indifendibile  un provvedimento del parlamento magiaro  assolutamente ovvio teso a ribadire che l’uomo, come tutti i mammiferi nasce maschio o femmina e a impedire che la scuola rallenti o devii il processo di crescita, di coscienza della diversità e, di conseguenza, di reciproca accettazione di maschi e femmine.   Una dialettica che deve essere soppressa perché urta contro il principio della nullificazione dell’individuo, della sua specificità, della sua potenziale oppositività e in ultima analisi della sua interiorità. Perché l’interiorità non si controlla: bisogna essere superficiali, docili, suggestionabili e soprattutto risolti nell’esteriorità e nell’apparire, che sono il terreno su cui può operare il persuasore occulto. Come spesso accade il diavolo fa le pentole ma non i coperchi e l’attacco al leader magiaro  è finito nel ridicolo di fronte alla sentenza della Corte suprema britannica: si nasce donna, in barba ai “diritti” rivendicati dai sostenitori del sesso fluido.

L’interiorità è il luogo naturale dell’Io, della sua unicità e della sua diversità. Ma non è un contenitore che progressivamente si arricchisce di contenuti; è il precipitato del proprio vissuto, la trascrizione ideale delle esperienze, delle emozioni, delle letture, degli incontri, che acquistano vita propria, si espandono, di mescolano e si compattano fino a costituire  quel mondo che chiamiamo psiche, che orienta il nostro comportamento e il senso che attribuiamo al  mondo esterno. Un ambiente povero, privo di stimoli, con rapporti interpersonali ripetitivi, essenziali, utilitaristici, assenza di letture, esperienze a basso impatto  introspettivo, facilita uno sbilanciamento verso l’esteriorità, verso il corpo, in una spirale perversa che finisce per banalizzare l’esistenza e ridurne l’orizzonte di vita. Si vive nell’immediatezza di quello che Pascal chiamava divertissment:  povertà ideativa, giudizi stereotipati, atteggiamenti indotti.  Vacanze, Palestra, Tatoo e, come variante o integrazione, violenza di gruppo mascherata di politica o tifo sportivo, spesso coincidenti.

L’interiorità si nutre di memorie e sono le memorie condivise la base dell’identità nazionale. Memorie che riportano il passato nel presente e danno vita alla Tradizione. La Tradizione filtra il passato, gli dà senso e valore mentre lo assume per i valori che porta con sé.  È il passato depurato dagli orrori delle guerre, della disuguaglianza, della prevaricazione. È il passato di un’ideale romanità, della civiltà comunale, della temperie rinascimentale prima e risorgimentale dopo; il passato in cui sono incastonate le figure mitiche di Cicerone, di Virgilio, di Tacito insieme a quelle di  Abelardo, Tommaso e all’ineguagliabile terna Dante, Boccaccio, Petrarca, insieme  ai “pittori, scultori, archi tettori” celebrati dal Vasari;  e devo necessariamente limitarmi ad una sommaria esemplificazione saltando da Galilei a Machiavelli e da Leopardi a D’Annunzio. Nelle loro pagine e nelle loro creazioni plastiche e pittoriche scorre il flusso della storia e della civiltà italiane, sono loro che danno vita e significato alla Tradizione attraverso una continua rivisitazione del passato.  E la lingua, l’italiano, ne è la manifestazione e il veicolo. Tradizione e lingua sono un unico inscindibile patrimonio di cui la scuola è depositaria.

Il MInistro Valditara

Chi intende sradicare la Tradizione, cancellare l’identità, la peculiarità, la diversità nazionali deve smantellare la scuola, impoverire la lingua, assimilarla alle tante lingue che si parlano nel mondo con l’obbiettivo di sostituirla con l’unica lingua, l’inglese, quella del pensiero unico, della finanza virtuale, dell’omologazione, della riduzione dell’umanità a gregge.

Quando Valditara si è mosso, seppure timidamente e non senza contraddizioni, per il ritorno allo studio del latino, che è il nostro sostrato culturale e linguistico, ha fatto un passo nella direzione del ritorno al passato per ritrovare la dignità del presente. Non a caso è diventato il bersaglio di quella sinistra, di quella politica, di quegli intellettuali che sono al soldo di quella miserabile élite che ci vuole tutti uguali, tutti corretti, tutti inebetiti. Per loro l’Occidente ha un serpe in seno di cui si deve sbarazzare: la Russia di Putin che concilia modernità e Tradizione, laicismo e ritorno ai riti solenni del cristianesimo ortodosso.

Pierfranco Lisorini

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2 thoughts on “Tradizione, Diversità, Scuola”

  1. Articolo di una lucidità a tratti persino commovente, andando a toccare quelle corde che da troppi anni sono rimaste all’angolo, sommerse dalla polvere e dal frastuono. Ad essere quello che sono hanno contribuito “nel mezzo del cammin della mia vita” due eccezionali maestri: Rodolfo Quadrelli e Quirino Principe, di cui conservo la non esigua produzione letteraria e l’intatta ammirazione. Il primo morì prematuramente e fu colui che più influì sul mio pensiero e sulla svolta spirituale e fattiva che detti alla mia vita. Con la sua morte persi via via i contatti con Quirino. Leggendo Lisorini, mi sembra di sentire come una eco dei loro discorsi, dei loro scritti (cito solo “Il Paese umiliato”, Rusconi 1973). E oggi sarebbero orgogliosi di vedere che il loro messaggio, per le insondabili vie dello spirito, ha resistito alle sirene del pensiero unico ed ha trovato nuova voce nelle righe di un loro epigono. Rodolfo e Quirino erano più giovani di me; come lo è Lisorini, che pure voglio considerare il continuatore del loro pensiero e mio nuovo Maestro. Peccato che l’età e la distanza ci abbiano impedito di incontrarci di persona

  2. Ammirevole caro Giacinto la tua capacità di intuire, di superare la materialità della parola. Nel merito non mi resta che ribadire la circostanza che singoli individui e Nazioni senza memoria e senza radici non sono nulla.

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