Tirreno Power: Come respirare aria di qualità?

TIRRENO POWER:
COME RESPIRARE ARIA DI QUALITA’?

TIRRENO POWER:
COME RESPIRARE ARIA DI QUALITA’?

Sulla vicenda della centrale Tirreno Power di Vado si discute da diverso tempo, la questione è nata a livello locale, grazie ai comitati No al carbone, e ora si sta spostando su un piano nazionale.

Il dibattito, a livello di massimi sistemi, si articola su due posizioni principali: la prima che assume la salute dei cittadini come punto imprescindibile da preservare, contrapposta a quella che pone al centro il lavoro, inteso come motore principale della dignità personale.
La prima posizione si fonda su argomenti logici ben riassumibili col detto “fin che c’è vita c’è speranza”, ovvero fino a quando si gode di buona salute qualunque cosa può accadere; ovvero fino a che ci si preserva sani qualsiasi cosa è possibile, compreso trovare un lavoro.

 


 

In altre parole, preservare e promuovere la salute dei cittadini rappresenta l’aspetto di fondo in grado di garantire qualsiasi altra forma di espressione dell’essere umano; un uomo, o una donna, che non gode di buona salute faticherà a lavorare, troverà difficoltà nel realizzarsi e nell’accudire i propri bisogni o quelli della propria famiglia.

La seconda tesi si fonda invece su presupposti di natura sociologica, insiti nella cultura occidentale, che pongono il lavoro retribuito come elemento fondante per la vita dell’uomo; il lavoro come vero e unico strumento di realizzazione personale e sociale.

Difficile operare una scelta tra queste due posizioni, propenderemmo per la prima ipotesi, complice un inguaribile entusiasmo per il futuro, ma crediamo che questo non sia più il momento per prendere una posizione, abbracciando una delle due tesi al fine di vederla trionfare sull’altra.

Questo è il momento per prendere atto di queste due correnti che animano il nostro territorio e che rischiano di dividere la nostra comunità; prenderne atto per governare il futuro e fare in modo che da questa controversia nasca un nuovo orizzonte per la nostra provincia.

 


 Il lavoro fatto fino ad oggi dai comitati No al Carbone è stato senza dubbio utilissimo, in quanto ha creato le condizioni perchè queste due anime si palesassero e questo dibattito potesse cominciare; ora che queste condizioni sono presenti occorre, a nostro parere, mettersi in gioco per manovrare la crisi, allontanando lo spettro di uno scontro, di un conflitto fratricida che finirebbe per ferire profondamente il nostro tessuto sociale.

In parte quello di cui sto parlando si sta già realizzando, basta ascoltare i toni che la discussione sta assumendo, tra accuse e minacce incrociate che fioccano quasi giornalmente.

Nella storia possiamo trovare innumerevoli esempi di come crisi di questo tipo possano essere governate per creare scarti culturali entusiasmanti nelle comunità in cui si verificano; il primo che viene in mente è quello che vide come protagonisti patrizzi e peblei ai tempi dell’Avventino, con il celebre discorso di Agrippa Menenio Lanato, ma se guardiamo alla storia più recente possiamo trovare un ottimo esempio nel Sudafrica dello scomparso Mandela.

Quando Mandela uscì dal carcere e diventò presidente dello stato del Sudafrica si trovò a governare una comunità profondamente divisa: da una parte i cittadini di colore esasperati da anni di apartheid, i quali reclamavano giustamente e a gran voce la loro rivincita contro gli oppressori bianchi; dall’altra i cittadini bianchi, che di fatto avevano sempre vissuto in uno stato di diritto che li privilegiava – per loro era un dato di fatto, era sempre stato così – quindi non erano affatto disposti a cedere la loro posizione dominante, forti della superiorità economica\culturale.

Una situazione potenzialmente esplosiva, che avrebbe potuto generare una guerra civile sanguinosa e fratricida; Mandela come primo presidente nero avrebbe potuto abbracciare senza riserve la causa dei cittadini di colore, sfruttati e vessati, guidandoli alla riscossa sulla minoranza bianca che li opprimeva fino al giorno prima (probabilmente la storia lo avrebbe anche capito), ma non lo fece, in questo la sua grandezza.

Invece di soffiare sul fuoco del conflitto Mandela scelse la via della mediazione, e si prodigò nel conciliare queste due anime della società per creare una nuova comunità che fosse il risultato di esse, non uno squallido compromesso.

 

Prima di diventare presidente Mandela si battè duramente perchè venissero riconosciuti i diritti della comunità nera, ma nel momento in cui questi vennero riconosciuti, seppe cambiar rotta, scegliendo di diventare il presidente di tutti i Sudafricani; avviando la costruzione di una nazione moderna che tutti, bianchi o neri, potessero chiamare casa. Ovviamente questo processo è ancora in atto, non tutte le contraddizioni sono state gestite, ma la direzione tracciata è chiara e pian piano i Sudafricani stanno realizzando questo obiettivo.

Consigliamo, a chi ancora non lo avesse fatto, di vedere il bel film “Invictus”, nel quale si racconta come Mandela, all’inizio della sua presidenza, utilizzò il bianchissimo sport del rugby per creare un punto di contatto tra bianchi e neri nel suo paese ormai affacciato sul baratro della guerra civile.

Nel nostro “piccolo” mondo Savonese, a questo punto, avremmo bisogno di qualcosa di questo genere, trovare il modo per aprire un tavolo di conciliazione tra le diverse opinioni contrastanti che si articolano attorno alla questione Tirreno Power e trovare una soluzione condivisa; tavolo che dovrebbe assolutamente coinvolgere anche la proprietà della centrale, in quanto parte in causa che con le sue scelte potrebbe influenzare in modo drastico la riuscita di una operazione di questa portata.

Di sicuro un’obiezione che verrà posta a questo ragionamento è la seguente: la proprietà non ha alcuna intenzione di partecipare a una cosa di questo tipo, non si siederà mai a una tavolo se non per ribadire la propria posizione e il proprio dissenso alle, per loto infondate, critiche ambientaliste. (Lo stesso tipo di ragionamento potrebbe essere fatto mettendo come soggetto i gruppi del no al carbone)

Bene, probabilmente questa è la pura verità, le condizioni perchè si attivi un processo di conciliazione sono, probabilmente, tutte da costruire; ma neanche nel Sudafrica di Mandela, in principio, vi erano le condizioni per evitare una guerra civile, anzi i bianchi volevano mantenere i loro privilegi e i neri erano decisi a strapparglieli con la forza. 

L’abilità di questo Uomo è stata proprio quella di creare praticamente dal nulla questi presupposti, per questo motivo è passato alla storia e al suo funerale erano presenti, insieme, gli oppressi di un tempo e quelli che erano stati a lungo i loro aguzzini (e per contenerli tutti è stato necessario usare uno stadio).

Ci sono anche ragioni più prosaiche che fanno della mediazione una via praticabile e anche potenzialmente economica; quali i tempi che potrebbe richiedere arrivare in fondo a un processo di questo tipo; tra primo grado, appello ed eventuale ricorso in cassazione potrebbero volerci anche 10 anni per concludere la vicenda. Quindi la centrale potrebbe rimanere inoperosa per tutto questo tempo, causando gravi danni ai lavoratori diretti e a quelli dell’indotto, ma anche alla proprietà della centrale che perderebbe una bella fetta di guadagni (questo potrebbe essere un buon argomento per convincerli a praticare una via di risoluzione alternativa)

dottor.andrea.guido@gmail.com

 

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