TELE-MICROSCOPIO SUL MONDO

 

Se qualcuno vorrà seguirmi, in questa puntata vorrei evadere per una manciata di minuti dagli affanni quotidiani e volare un po’ alto, anzi molto in alto (o molto in basso), per considerare, con inesausto stupore, i due pilastri sui quali abbiamo costruito le nostre certezze sulla realtà fisica che ci circonda e che governa la nostra stessa esistenza diurna: quella notturna, onirica, viola le regole logiche che ci accompagnano nelle nostre azioni e pensieri durante le ore di luce. O la comune logica evapora anche di giorno?

Pochi uomini hanno avuto un influsso sulle nostre vite come Albert Einstein. Il suo genio gli ha permesso di scardinare certezze incrollabili, come lo spazio e il tempo assoluti, con ripercussioni, oltre che pratiche, aldilà delle sue stesse intenzioni, anche sulla nostra visione del mondo e scala di valori

Quei due pilastri sono: lo spazio e il tempo. Abbiamo sempre considerato il primo espresso in tre dimensioni, e il secondo come avente vita propria, indipendente dallo spazio.

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C’è voluto il genio di Einstein per fare dei due pilastri un’unica entità quadridimensionale, il cronotopo, da usarsi come lente per osservare il mondo macroscopico, lasciando ad altre menti il compito di indagare su quello micro ed ultra-microscopico, col successivo avvento della meccanica quantistica, come accennerò verso l’epilogo.
Alla luce delle scoperte di Einstein, tutti viaggiamo alla velocità della luce, non nello spazio, ma nello spazio tempo. Se questa affermazione appare in contraddizione con la realtà osservabile, dobbiamo notare che, nel cronotopo, i due parametri sono correlati, in quanto al crescere dell’uno, decresce in proporzione l’altro.
In parole semplici, quando siamo fermi, ci muoviamo esclusivamente nel tempo; e man mano che ci spostiamo da un luogo a un altro, una parte della velocità nel tempo viene ceduta alla velocità nello spazio. Quando ci avviciniamo alle velocità relativistiche, prossime cioè alla velocità della luce c, la nostra velocità si trasferisce sempre più nello spazio, a detrimento di quella nel tempo, finché quest’ultima si annulla al raggiungimento di c.  Questa constatazione è gravida di conseguenze, in quanto ci dice che per un raggio di luce il tempo non esiste; quindi è eterno, immutabile da quando i fotoni che lo compongono sono stati emessi da una qualsiasi sorgente, propagandosi nello spazio indefinitamente, per sempre; o meglio, finché non incontrano un corpo, sul quale i fotoni stessi collassano, trasformandosi in calore. Ciò vale sia per un raggio di luce che proiettiamo qui e ora verso lo spazio esterno, che per un raggio generato ai tempi dell’origine dell’universo.

L’Universo in espansione accelerata distanzia sempre più tra di loro i corpi celesti, come le uvette in un panettone che lievita. L’attrazione gravitazionale non è riuscita a frenare il processo, per cui ai suoi bordi si formeranno porzioni di spazio impossibilitate a comunicare tra loro, allontanandosi a velocità reciproche anche superiori a quelle della luce, mentre intorno a ciascun corpo celeste aumenta sempre più la dimensione del vuoto (e il freddo siderale).  Questo vuoto crescente è responsabile del fatto che, nonostante l’età dell’universo sia di circa 13,7 miliardi di anni, gli oggetti da noi più lontani hanno dovuto percorrere un tragitto circa 3 volte maggiore, ossia intorno ai 46 miliardi di anni luce [VEDI]

Non solo, la luce ha anche un’altra proprietà fondamentale, e contro-intuitiva: la sua velocità è costante, nel senso che non può essere né aumentata né diminuita, a prescindere dal movimento della sorgente che l’ha generata. Insomma, la sua velocità non può essere sommata o sottratta da quella del mezzo da cui è partita; meno ancora, un fotone non può essere fermato e studiato a nostro piacimento.
L’insieme di queste proprietà conferiscono alla luce un blasone speciale, in quanto la sua velocità può assumersi come una grandezza basilare di riferimento, nel senso che non dipende da convenzioni o arbitrii umani, ma è una costante fisica, un dato di natura, immutabile. Lo spazio può quindi definirsi come quello misurato dalla distanza percorsa dalla luce in un secondo; e viceversa il tempo può definirsi come quello impiegato dalla luce per percorrere 300.000 km. Insomma, la luce è una costante di base, universale. Ed è essa stessa che, propagandosi al di fuori dell’universo, in continua espansione, vi crea lo spazio e il tempo.
La sua indipendenza dal contesto spaziale in cui si muove, l’impossibilità di accrescerne o diminuirne la velocità, ma soltanto la frequenza, e quindi l’energia che essa trasporta, la sua immutabilità nel tempo, ossia la qualità ad essa associata che in ambito filosofico-religioso indichiamo come eterno presente, ce la fanno apparire come un tocco di divinità nel mondo fisico in cui viviamo, osserviamo, sperimentiamo: una finestra sull’eternità.
Ma la luce è anche una finestra sul passato, sino al più remoto. Infatti, sono raggi di luce (o campi elettromagnetici che si estendono al di qua e al di là dello spettro visibile) che ci informano su eventi lontanissimi nello spazio tempo, fino alla radiazione cosmica di fondo, residuo di fenomeni seguiti al big bang e inondanti lo spazio a 3°K, prossima allo zero assoluto. In sostanza, la luce che perviene ai nostri telescopi da ogni angolo dell’universo è un’inesauribile fonte di informazioni su eventi avvenuti in tempi e distanze lontanissimi tra loro, come un cosmico libro di storia, una memoria fluente da e verso ogni “altrove”; e crea il nostro universo osservabile.

Un raggio di luce mattutino. Un fenomeno che non avremmo mai pensato nascondesse tanti segreti della Natura e che solo il genio di Einstein ha saputo decifrare. Tra le sue peculiarità c’è anche quella che non lo si può decelerare e tanto meno fermare: collasserebbe dall’esclusiva velocità nello spazio a quella nel tempo, come per noi, poveri mortali, e perderebbe il suo blasone di eterno presente, oltre il tempo. E perderebbe la sua mistica ambivalenza tra onda e particella

La luce è in grado di fare tutto questo nonostante la sua “evanescenza”, in quanto è pura energia, priva di massa. Questa è un’altra caratteristica che la distingue da ogni altra entità, che, in quanto dotata di massa, sia pur minima, non potrà mai raggiungere la sua velocità. Ciò in quanto ogni corpo accresce la sua massa al crescere della velocità, ma approssimandosi a quella della luce la vede tendere, asintoticamente, all’infinito, richiedendo pertanto un’energia altrettanto infinita nel vano tentativo di emularla.
Altre “stranezze”, rivelateci dalle doti introspettive di Einstein, riguardano il tempo che, al pari dello spazio, consideravamo assoluto, ossia valido per qualunque osservatore. Veniamo invece a scoprire che, come le dimensioni di un oggetto in movimento si schiacciano nella direzione e in proporzione alla sua velocità rispetto ad un osservatore fermo, anche il tempo rallenta con l’approssimarsi e in proporzione alla massa di un corpo, fino ad annullarsi in prossimità di una iper-massa come quella di un buco nero. [VEDI  e   VEDI] Tutte queste doti peculiari dello spazio tempo e di un raggio di luce ci portano ad accostarli a termini che usiamo per l’incognita divina, fino a Dio stesso.
Questo paragone riporta alla mia mente come Dante assimila nel Paradiso l’immagine di Dio ad una luce puntiforme e accecante:
“Un punto vidi che raggiava lume / acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume-” [Paradiso XVIII, 16-18].
Una descrizione non molto lontana dall’Uno di Plotino, in quanto origine da cui tutto il molteplice scaturisce, senza suo detrimento. Una visione che influenzò enormemente i Padri della Chiesa e quindi il pensiero cristiano.

Dante e Beatrice al cospetto della Luce Divina [VEDI]

Se Einstein formulò nel 1905 i principi della relatività ristretta, valida in un mondo irreale, in quanto privo degli effetti della gravità, impiegò più di 10 anni per inglobarvela ed arrivare alla relatività generale, governata dalle due costanti universali G (gravitazionale) e c (velocità della luce).
Ma le sorprese non erano finite. Tutt’altro. E arrivavano, dopo le scoperte di Einstein a livello macroscopico, quelle della meccanica quantistica, a libello subatomico. Nuovamente, gli sconvolgimenti concettual-filosofici irrompevano dal mondo dei fisici. Una nuova costante universale si aggiungeva a G e c: ħ, la costante di Planck. [VEDI]
Le dimensioni in cui ci si imbatte sono di una piccolezza inimmaginabile, sia in termini spaziali che temporali. Combinando opportunamente le 3 costanti, si ottengono due misure di lunghezza e temporali: rispettivamente la lunghezza e il tempo di Planck; ossia due grandezze al di sotto delle quali non ha senso procedere. (Per intenderci: se un atomo venisse ingrandito alle dimensioni dell’Universo, la lunghezza di Planck corrisponderebbe a quella di un albero).  Si sono venute dunque a scoprire altre due misure invalicabili, che sono alla base della realtà fisica in cui ci muoviamo e pensiamo, mentre non riusciamo a capire come da ambiti così esotici possa scaturire la solida fisicità del mondo sensibile. Ambiti che rifuggono da ogni indagine, come se custodissero la loro segretezza col far crescere l’indeterminatezza di ogni misura, quanto più cerchiamo di fissarla in un numero ben definito. D’altronde, è ormai ben noto quanto il pilastro quantistico sancisca proprio l’impossibilità di definire qualsiasi misura in maniera univoca fissandone con precisione più di un parametro: ad es. velocità e posizione, o tempo ed energia di una particella (principio di indeterminazione di Heisenberg). E che dire dell’ambiguità della luce, che è insieme onda e particella?
La non ulteriore riducibilità del tempo e della lunghezza di Planck ci dicono anche che non c’è continuità nello spazio e nel tempo, anche se la loro discontinuità, il loro esser discreti, sfugge ai nostri sensi; così come i nostri occhi non colgono l’intervallo tra un fotogramma e l’altro di un film, che ci appare continuo. Ebbene, ciò vale anche nel mondo reale, e dovrebbe quietare generazioni di filosofi che si sono arrovellati sulla continuità o discontinuità del mondo: vale il continuum geometrico o la discontinuità aritmetica? La continuità di tempo e spazio sono unicamente dovute alla grossolanità dei nostri sensi e persino delle nostre apparecchiature di misura? Ma allora, cosa c’è tra un intervallo e l’altro? Risolto un rompicapo, ecco sorgerne un altro, sul concetto di vuoto. Non c’è pace per la limitata mente umana, che si rifugia esausta nell’ineffabilità del divino.

Max Planck, fu tra gli scienziati che, come Maxwell e Lorentz, spianarono la strada alle elucubrazioni di Einstein. Ogni grande scienziato poggia sulle spalle dei giganti che l’hanno preceduto 

Considerato il costante sgretolamento di acquisite certezze nel corso dell’ultimo secolo, viene spontaneo chiedersi in quale misura le scoperte scientifiche nei campi relativistico e quantistico abbiano potuto tracimare e incidere sulla nostra stessa quotidianità, determinandone e accelerandone il transito dal “mondo del credere” ad un pervadente scetticismo, che ha corroso campi spazianti dal pensiero comune alle leggi, alla politica, alla società e alla religione, finendo col produrre l’attuale società nichilistica, dove l’unico valore è riposto nel nuovo dio laico del denaro. Per non parlare degli usi perversi dell’avanzamento della scienza, ad esempio in campo bellico.
La mia non è una condanna delle conquiste scientifiche, ma da ambientalista non posso che constatare come il relativo benessere che esse ci hanno procurato abbiano comportato un prezzo troppo alto, che stiamo pagando, con interessi esponenziali.

Marco Giacinto Pellifroni     25 febbraio 2024

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2 thoughts on “TELE-MICROSCOPIO SUL MONDO”

  1. Una lezione magistrale, propria di chi sa rendere semplici gli argomenti più complessi e mostrare la complessità di ciò che è apparentemente semplce. Complimenti.
    P,F.L.

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