SPIGOLATURE: BRUTALI CRIMINI DI GUERRA

BRUTALI CRIMINI DI GUERRA
di Renzo Balmelli

BARLUME. Col trascorrere delle settimane e dei giorni la guerra in Ucraina, innescata dalla ignominiosa invasione russa, sta assumendo pesanti connotazioni disumane molto maggiori di quanto ne abbia già provocate. Il sabotaggio della centrale di Kachovka, i campi, le case e le città allagate, il mesto corteo degli sfollati minacciati dalla piena, formano la cupa tela di fondo di ciò che non è esagerato definire brutali crimini di guerra. A tali scenari carichi di minacce si aggiungono poi le preoccupazioni per la stabilità della centrale nucleare di Zaporizhzhya che nel peggiore dei casi potrebbe trasformarsi in una temibile mina vagante col suo carico di uranio incontrollato. Nella tetra, burocratica terminologia dei bollettini militari pubblicati dagli occupanti che vantano i presunti successi della loro strategia, di tutto ciò ovviamente non si parla. Per cercare di capire a che punto è la situazione solo le oneste narrazioni di chi è sul posto possono dare conto del disastro umanitario al quale sono esposte le popolazioni in seguito a episodi di tale gravità. Ormai la sottile linea rossa di demarcazione oltre la quale si sbriciola il sacrosanto diritto all’immunità della popolazione civile sancita dalle Convenzioni internazionali, è stata ampiamente superata. Di questo passo non si può escludere l’ipotesi che si stia avvicinando pericolosamente il punto di non ritorno.

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Arrivati sull’orlo del baratro il conflitto rischia di avvelenarsi all’inverosimile, travolto da una spirale di violenza senza via d’uscita e aperto agli esiti peggiori. Nel quasi disperato tentativo di scongiurare l’irreparabile, in questi giorni carichi di pericoli e segnati dall’accendersi di nuovi focolai di tensione un po’ ovunque, la comunità internazionale sta mettendo in campo il più gigantesco balletto diplomatico del secolo. Capi di stato, primi ministri, cardinali, inviati speciali animati da tanta buona volontà volano da una capitale all’altra per tenere viva la speranza di una tregua stabile e rispettata quale base di futuri e auspicabili negoziati di pace. Nessuno però si fa soverchie illusioni. Allo stato attuale l’impresa appare più ardua che scalare l’Everest a mani nude. Se almeno chi ha scatenato le ostilità si desse la pena di rileggere Pascal e tra le mura del Cremlino riuscisse a fare prevalere i palpiti del cuore sulle dure, intransigenti e inamovibili ragion di stato, potrebbe forse aprirsi un esile spiraglio. Per ora a però in fondo al tunnel non si intravvede nemmeno il fioco barlume di una flebile fiammella.

PERPLESSITÀ. Dire che Romano Prodi non sia l’invitato d’onore ai ricevimenti della destra è quasi un’ovvietà. Il ricordo delle due elezioni che lo videro prevalere su Berlusconi è sempre lì come il boccone del prete andato di traverso a don Camillo. E non appena se ne presenta l’occasione i rivali di ieri e di oggi schierano contro di lui l’artiglieria pesante. Ma che cosa avrà poi detto di tanto grave l’ex premier per meritarsi tali “onori”. Per la verità, nulla che esuli dal normale diritto di critica. Il Professore si è limitato a esprimere le proprie preoccupazioni circa il modo di agire del governo che egli considera “autoritario”. Sono domande legittime, tanto quanto il dissenso, tra l’altro condiviso da più parti, che analizza una situazione in cui non mancano i motivi di perplessità e le zone d’ombra. Dopotutto, la critica, anche dura, sia per chi governa che per chi sta all’opposizione, è uno strumento fondamentale della democrazia. Se la destra prova ora a liquidarla definendola “una rappresentazione plastica della sinistra ideologica e massimalista” è solo il frutto di demagogia a buon mercato. D’altronde non è che la lottizzazione della RAI attuata dalla maggioranza sia proprio un modello di cultura liberale e un fulgido esempio di pluralismo. O no?

FASCINO. Vespa o Lambretta? Dura ormai da settant’anni la rivalità tra i primi scooter apparsi sul mercato e che hanno scritto un capitolo fondamentale nella storia del “made in Italy”. Rivalità che ancora oggi divide gli appassionati, ma in un contesto completamente diverso e condizionato dalla globalizzazione. Ora le due marche, dopo essersi sfidate fin dalla loro nascita, si rispettano per fronteggiare la concorrenza cresciuta a vista d’occhio e restare unite nell’immaginario collettivo. Nell’Italia che muoveva i primi passi della rinascita post bellica quelle due ruote rivoluzionarie ebbero un ruolo importantissimo per dare il via al boom economico degli anni Sessanta. Il nuovo modello fece la sua apparizione nell’immaginario collettivo grazie al film “Vacanze romane” del 1953, interpretato da Audrey Hepburn e Gregory Peck sotto la regia di William Wyler. Le immagini che mostravano i due interpreti scorrazzare col motorino nelle strade di Roma incuranti del protocollo, suggerivano un’idea di libertà in cui tutto era possibile dopo le dure privazioni della guerra. Inoltre la pellicola, che a modo suo capovolgeva la storia di Cenerentola, contribuì a rendere famosa nel mondo la Vespa sulla quale la principessa Anna provò a fuggire dagli assillanti obblighi di corte. Tra motori e set cinematografici la bella favola nulla ha perso del suo fascino originale.

Renzo Balmelli da L’avvenire dei lavoratori
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