Sicurezza, informazione, libertà
Tempo fa scrissi alcuni articoli [VEDI QUI e QUI] intorno al tema “Non inquinare costa troppo”, il cui nocciolo era che l’inquinamento non è che sostanza disordinata e che il ripristino dell’ordine costa enormemente di più del risparmio conseguito creando disordine. E, di converso, che produrre senza inquinare abbia costi altrettanto elevati. Un esempio illuminante è quello di un lago, nel quale una fabbrica scarichi i liquami di lavorazione, finendo col trasformare un lago vivo in una pozza d’acqua morta. Se si volesse ripristinare lo specchio d’acqua originale, i costi di disinquinamento sarebbero esponenzialmente maggiori del risparmio ottenuto dalla fabbrica per la mancata posa in opera di idonei depuratori delle acque reflue.
Medesimo ragionamento può essere applicato a quello che è forse il vocabolo più in uso da qualche anno, con un’impennata dopo l’avvento del Covid: sicurezza.
C’è una grandezza fisica, l’entropia, che misura il disordine di un sistema lasciato libero di seguire il suo decorso naturale di dissipazione, dispersione, diffusione, miscelazione. Una goccia d’inchiostro in un bicchier d’acqua tende ad espandersi sino a perdere la sua originale identità. Lo stesso accade ad una boccetta di profumo dopo averle tolto il tappo, con la diffusione del profumo nell’ambiente circostante. Idem nel caso di un corpo caldo che poco a poco diffonde le sue calorie fino a giungere a temperatura ambiente (svilendo la qualità dell’energia termica iniziale, ossia la sua capacità di produrre lavoro). Così facendo, l’ordine, ossia l’informazione sulla configurazione iniziale, va perso nel processo di espansione/diffusione, i cui stati successivi sono di sempre maggiore disinformazione. Ripristinare, laddove fisicamente possibile, le condizioni di partenza, richiede energia, perché si deve operare in senso inverso a quello spontaneo, naturale. E i costi di ripristino sono proporzionali alla distanza temporale dall’assetto primitivo.
“Fotografare” un sistema complesso, ossia avere informazioni sul suo stato, richiede energia -e costi collegati- in proporzione alla quantità e qualità dei dettagli che si vogliono ottenere. L’esempio più semplice è quello del passaggio della televisione da B&N a colori; ma, per passare ad uno scenario di estrema attualità, si pensi al costo dei test su un’intera popolazione, per appurare quanti sono positivi al Covid, onde poterli isolare ed evitare che propaghino il contagio. Qui il rapporto tra informazione e sicurezza è addirittura lampante.
Ciò detto, passiamo al vocabolo suddetto: sicurezza. Cosa significa sicurezza? Premunirsi contro eventi imprevisti e indesiderati, ma possibili. Se ci riflettiamo, la nostra intera vita è una continua prevenzione delle avversità, sin dall’era preistorica. Dalle avversità più basilari, come gli eccessivi sbalzi termici/metereologici, le malattie, la carestia, le bestie feroci, siamo via via passati a forme sempre più sofisticate di protezione contro avversità specularmente sofisticate che minacciano strutture parimenti sofisticate.
Sofisticate: incorporanti complessità strutturali e funzionali, quindi crescenti quantità di informazione, quindi anche di energia per crearle, controllarle, eventualmente intervenire. L’informazione non concerne solo le strutture a noi utili e i sistemi posti a loro protezione, ma anche i rapporti con ciò che le circonda, col cerchio della loro influenza esterna, tanto maggiore quanto più sono complesse e potenzialmente pericolose.
L’esempio più folle di inseguimento della complessità realizzativa e produttiva è quello delle centrali nucleari, che possono risultare più convenienti di altre forme di produzione di energia soltanto se si dimenticano i costi della relativa sicurezza, sia in vita che dopo morte. Intere plaghe prossime ai siti nucleari sono a rischio durante la loro operatività, e off limits dopo la loro disattivazione. Se si dovessero rispettare i sofisticati protocolli di messa in sicurezza delle scorie e dell’intero impianto dopo smantellamento, è dubbio che una qualsiasi centrale nucleare possa definirsi più economica di altri impianti energetici.
Il problema, di ardua, se non impossibile, soluzione lungo la strada asintotica verso il rischio zero, è tornato alla ribalta due anni fa –dopo anni di diverbi e rinvii- con l’entrata in funzione del programma di smantellamento delle 4 centrali nucleari italiane (tutte dismesse a seguito del referendum del 1987), che dovrebbe durare 7 anni, quindi fino al 2025; e più recentemente a seguito delle avventate dichiarazioni del sindaco di Trino Vercellese, che ne ospita una, il quale s’è offerto di trasformarla in sito di deposito delle scorie proprie e delle altre centrali. “Solo così –ha affermato- Trino può continuare a vivere”. Siamo al solito dilemma: soldi contro insicurezza. Come chi si vende un rene per mangiare. Dilemma aggravato dalla popolosità dell’Italia, e della pianura padana in particolare, con l’ex centrale che sorge in mezzo alle risaie. (Inciso: il ridimensionamento della centrale di Vado ha affrontato rischi e costi enormemente inferiori.)
Se nel corso degli anni contassimo quante volte la parola sicurezza esce dalle nostre labbra o appare sui media, ne constateremmo un graduale infittimento, fino all’esplosione numerica degli ultimi vent’anni. Esplosione proporzionale alla sua rarefazione sul campo. Siamo in piena era informatica, ma l’informazione non riesce a tenere il passo con la parallela impennata del disordine globale indotto dalle nostre attività, incuria, guerre; né con l’iper-ordine delle strutture di servizio.
C’è una continua ricerca, di governo e industria, per garantire la sicurezza, il primo con un profluvio di norme antinfortunistiche in ogni ambito della nostra vita, l’industria con la dotazione sui loro prodotti di dispositivi di prevenzione degli incidenti (ad es. impianti di depurazione, filtraggio fumi, ecc.). Sforzi che saremmo portati a salutare con entusiasmo, se non fosse per i costi, sostenibili da una quota decrescente della popolazione. Leggere l’astrusità, anzi la pedanteria, di certi manuali di prevenzione antinfortunistica, rende conto di come ci stiamo arrampicando sugli specchi, col risultato di emulare quel tizio che per esser certo di vincere alla roulette, puntava su tutti i numeri, zero compreso. La nostra società sta spendendo un patrimonio per inseguire l’asintotica sicurezza assoluta in ogni ambito. E i costi economici del Covid ne sono l’ennesima conferma. Il Covid sta beffardamente impoverendo il 99% della popolazione mondiale, che rifiuta eticamente la perdita di una sua consistente quota, come avvenne con le pandemie della sua lunga storia.
Questa pandemia ha esacerbato problemi già esistenti, divenendo la loro spia visibile. Siamo stati costretti a prendere atto che la sicurezza costa troppo, che c’è un limite oltre il quale i vantaggi vengono vanificati dalle controindicazioni, dagli effetti collaterali.
Il Covid ci ha posti brutalmente di fronte a scelte drammatiche, prima tra tutte quella tra salute pubblica, economia ed ecologia. Un dilemma già presente e in continua crescita, ma tacitato in nome di un vantato “progresso”, in termini peraltro più di natura borsistica che di generale benessere. Ora però il nesso tra sanità (del bioma globale) ed economia è talmente evidente che nessuno osa più negarlo (a parte qualche residuo negazionista, alla Trump e Bolsonaro, che non si arrende all’evidenza).
Da una parte ci sono il governo e i parlamentari, i quali tutti hanno capito che, in termini personali, il Covid è un’insolita garanzia di durata; dall’altra c’è una popolazione stremata economicamente e stanca di subire inaudite limitazioni della libertà, mentre vede avvicinarsi l’abisso dell’indigenza, temuta più del Coronavirus, perché questo terminerà, ma dalla miseria è assai difficile risollevarsi, soprattutto se non si è più giovani; mentre l’asticella dell’età di ammissione al lavoro s’è molto abbassata.
E anche la libertà è soggetta alle medesime regole sopra viste per la sicurezza, in quanto ne è inversamente proporzionale. Fino a quali limiti si può pagare in termini di libertà la nostra sicurezza? Anche questo dilemma non nasce, ovviamente, col Covid, essendo da sempre presente in ogni sistema di governo, in un arco che va dalla democrazia al totalitarismo.
L’informazione ha come suo rovescio l’incertezza; la libertà si contrappone al controllo e al comando.
Il traguardo di ogni regime dispotico è quello di avere il massimo grado di informazione sul suo popolo, al quale sia concesso il minor grado di libertà e informazione.
I Paesi democratici hanno avuto vita breve, essendo tali sempre più di nome e meno di fatto; ma i vertici del potere mondiale hanno deciso di accelerare il conseguimento del traguardo suddetto attraverso la moltiplicazione delle occasioni di infrangere un mostruoso corpus di leggi, l’entità delle relative sanzioni, il venir meno della tolleranza e, ultimo passo, la disseminazione di apparecchi di controllo della popolazione, sia alla guida di mezzi di trasporto che a piedi. Il 5G di imminente avvento, renderà ancor più capillare l’intrusione dei controllori nella nostra vita privata. Diciamo che l’elettronica al servizio dell’informatica ha reso un prezioso servizio ai governi, sostituendo gran parte della rete di spie di non lontana memoria (le temutissime polizie politiche) con un sistema ancor più invasivo e funzionante 24/7.
E certi organi di vigilanza ed esazione avranno salutato con soddisfazione l’irrompere del Covid nelle nostre vite, dando loro ampia giustificazione per qualsiasi provvedimento che accelerasse l’imposizione di comportamenti restrittivi delle libertà personali e la conseguente invasione dei nostri spazi privati. Le restrizioni giustificate come protezioni dal virus sono arrivate su un terreno già ampiamente predisposto dal crescendo di misure atte a privarci della segretezza, penso fra le altre a quella bancaria, per poi -passo dopo passo- arrivare all’uso dei contanti e quindi al controllo capillare e totale di ogni nostra spesa. Oggi, in epoca Covid, persino i biglietti del treno portano impresso il nostro nome, certificato dall’esibizione in biglietteria della nostra carta d’identità.
L’ossessione per la sicurezza, in ogni campo, procede mano in mano con l’avidità di informazione su qualsiasi cosa un individuo decida di fare. Il ministro della salute, Speranza, s’era spinto ad autorizzare l’intrusione poliziesca nelle nostre case per verificare che le regole fossero rispettate. Il tutto mentre imperversa la farsa della privacy e la richiesta di liberatoria per i cookies ad ogni nostro ingresso in un sito Internet
Di fronte ad una simile recrudescenza dell’invasione del pubblico nel privato, solo i più vecchi ne hanno avvertito in pieno la gravità, ma mancano delle energie e dei mezzi economici per contrastarla, se non affidando alla voce e agli scritti (come questo) il loro dissenso, se non altro per rendere consapevoli le classi più giovani, la cosiddetta “Generazione Z”, che la normalità non è quella che vedono, e può essere diversa, così come è stata diversa per tanti anni prima che loro nascessero. Questo mondo è troppo informato sulle nostre vite e disinformato sulle conseguenze del modo in cui siamo costretti a vivere.
Marco Giacinto Pellifroni 18 ottobre 2020