Se Beccaria commentasse la sentenza Thyssenkrupp
Se Beccaria commentasse
la sentenza Thyssenkrupp
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Se Beccaria commentasse
la sentenza Thyssenkrupp
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Davanti ad una madre che dice “Hanno spezzato le ali a mio figlio che aveva 23 anni” é difficile accingersi a scrivere oggi.
So che urterò i sentimenti di alcuni, ma spero che lo spirito della riflessione possa prevalere. Nell’iniziare a scrivere questo articolo mi confortano le parole di un’altra madre che, raccontando il femminicidio della figlia di 33 anni, disse di essersi sentita profondamente offesa da chi la informò che il genero, nonostante la condanna inflitta, non avrebbe passato in carcere più di 6 anni e le suggerì di farsi giustizia da sola. Ascoltando le parole dei parenti delle vittime del rogo di Torino, che mettono in discussione l’esecuzione della pena inflitta ai responsabili, mi sono chiesta quanto siano radicati i principi costituzionali nella nostra società, se la Costituzione sudata con tanto sangue abbia ancora un senso e, se così non fosse, perché il nostro Parlamento non si assuma la responsabilità di adeguarla al sentimento comune o di mettere in atto tutto ciò che é necessario per far risplendere i principi dei padri fondatori nei valori di questa società. L’art. 27 della nostra Costituzione recita, tra l’altro: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Privare persone non solo della loro libertà ma anche del lavoro che la nostra Costituzione all’art. 1 definisce principio fondamentale della Repubblica e che all’art. 4 precisa essere una funzione che concorre al progresso materiale o spirituale della società, è tendere davvero alla rieducazione del reo? Pretendere che la pena per l’ex amministratore Harald Espenhahn e per il dirigente Gerard Priegnitz, sia scontata esclusivamente in carcere é chiedere giustizia o vendetta? Beccaria nel lontano 1764 teorizzava in merito all’utilità della pena: “perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi”. A suo dire, ma possiamo concordare con questa idea, la pena ha valore deterrente e preventivo sui reati solo se é certa e pronta. In altre parole se i giudici condannano sempre i colpevoli e se lo fanno in tempi brevi. Se il tempo trascorso tra delitto e somministrazione della pena é molto, essa non produce altro effetto se non quello di far percepire la pena come qualcosa di diverso dall’effetto di aver commesso un reato. L’immediatezza della pena rinforza il senso del giusto castigo, mentre il suo ritardo fa percepire il castigo come una forma di spettacolo. Spettacolo in cui tutti vogliono essere attori e protagonisti. In Italia la condanna definitiva è arrivata dopo circa un decennio dal fatto, tempi tutt’altro che brevi, non spetta però ai cittadini assurgersi a giudici. Le istituzioni sembrano discutere da anni della riforma della giustizia, forse la discussione verte invece sul una nuova ripartizione del potere che poco ha a che vedere con le idee di Montesquieu se non per confermare la sua affermazione: “Chiunque abbia potere é portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti”. In questo totale vuoto istituzione e politico in cui l’obiettivo principale é la percentuale di consensi dell’ultimo sondaggio tutti ritengono di avere più potere degli altri, in realtà la debolezza dei vari attori istituzionali é tale che non esistono più confini e tutti si spingono oltre i limiti, forse, fino a confondere vendetta e giustizia. Articolo scritto con profondo rispetto per le vittime di questa vicenda e i loro famigliari
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