Savona, una città in declino: i responsabili (Parte I di V)

Premessa

Pur senza rinunciare a qualche occasionale e breve divagazione narrativa, cercherò di raccontare i danni che, negli ultimi 30 anni, sono stati arrecati alla condizione economica e sociale di Savona. Per farlo, ho scelto di suddividere il mio racconto in quattro interventi settimanali; questo è il primo.

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La Liguria, una terra «leggiadra» e da millenni abitata da un popolo laborioso tenace e fiero; terra nativa di coraggiosi navigatori, intraprendenti armatori e banchieri sopraffini. La bandiera di San Giorgio, quella della Repubblica di Genova, fu adottata dalla Marina dell’Impero Britannico – che per poterla usare pagava un lauto tributo annuale – affinché le sue navi potessero esibirla nel Mediterraneo e nel Mar Nero per servirsene da protezione contro i pirati, i quali, verso i Genovesi, nutrivano timore e rispetto riverenziale.

Nella grande battaglia navale di Lepanto in difesa della cristianità e della civiltà di tutta l’Europa, la Liguria assieme al Veneto ebbe una parte preponderante nella vittoria sui turchi, salvando l’intera Europa dall’islamizzazione – salvezza durata perlomeno sino ai nostri giorni.
Più in là, con i suoi intrepidi navigatori e abili banchieri, la Liguria giocò un ruolo di primissimo piano sul tavolo di un’altra grande partita della Storia: quello delle scoperte dei nuovi mondi e la conseguente conquista di nuovi sbocchi economici: da Cristoforo Colombo a Leon Pancaldo, da Lanzarotti a Maroncello, per arrivare ad Antonio da Noli.Avvicinandoci ai giorni nostri, nello sviluppo economico della nuova Italia unita, sia prima che dopo la seconda guerra mondiale, la Liguria ebbe di nuovo un importante ruolo, costituendo parte integrante del mitico triangolo industriale.

Se facciamo un paragone fra la Liguria e il Veneto, mentre le due Regioni si sono sempre accomunate nei secoli per la loro grandiosa storia, non possiamo non rilevare purtroppo che in questi ultimi 30 anni vi sia stata una involuzione notevole della nostra terra, che l’ha differenziata in negativo nei confronti del Veneto.
Il Veneto è una regione moderna, ben governata da anni, proiettata verso il futuro; assieme alla Lombardia, è una delle locomotive trainanti di un Paese carico di vagoni, sempre più pesanti e numerosi, con la Liguria che, da iniziale locomotiva, negli ultimi 30 anni è stata ridotta all’umiliante ruolo di vagone, quasi al pari delle regioni meridionali.
Le ragioni di questa involuzione sono principalmente legate al malgoverno delle Amministrazioni che si sono succedute negli ultimi 40 anni e che hanno avuto il tragico risultato di rendere la Liguria la regione più assistita del nord Italia: la terra delle bocciofile, dei pensionati e delle badanti.
Dire che la lunga egemonia politica di Burlando sia stata l’unica causa della situazione Ligure sarebbe troppo semplicistico. Tuttavia, se Burlando non è stato la prima causa del nostro declino economico sociale, certamente ha fornito un contribuito determinante in tal senso: in particolare, lo ha fatto per ciò che concerne la nostra povera Città, nei confronti della quale è stato il principale artefice del definitivo affossamento economico.

Claudio Burlando

Con un tasso di disoccupazione tra i più elevati del Nord, con delle infrastrutture in ritardo imbarazzante – basti pensare alla linea ferrata a binario unico che collega il nostro Capoluogo alla Francia – Savona ha subìto un’inesorabile deindustrializzazione che l’ha ridotta al livello di una città quasi totalmente assistita, in cui la maggiore quota di PIL locale è proprio quella prodotta dalle pensioni!
A partire dagli anni ‘70 Savona ha perso circa 20.000 abitanti, per lo più giovani in cerca di lavoro fuori dalla nostra provincia, una perdita neppure controbilanciata dal numero delle badanti che sono accorse da tutto il mondo per assistere la popolazione Savonese, sempre più vecchia, e che riesce a vivere dignitosamente soltanto grazie alla ricchezza operosamente accumulata in passato.
Una città mal governata da decenni, prima dal PCI e negli ultimi venti anni dal PD, con un unico riferimento, quel Claudio Burlando che per oltre 2 decadi ha spadroneggiato sia all’interno del PCI-PD e sia a capo di varie Amministrazioni territoriali, tutt’ora deus ex machina di quello che è rimasto del  PD, il quale, anziché governare per il bene dei cittadini, è stato più interessato, assieme naturalmente ai suoi degni compagni Savonesi, a conseguire potere e benessere per sé e per le proprie amicizie e clientele.
Eppure, quando io ero studente, Savona era la seconda città d’Italia per reddito pro capite, ben inserita nel mitico triangolo industriale, protagonista di quel miracolo economico italiano che aveva impressionato tutto il mondo, parte attiva di quello sviluppo industriale che, nel volgere di trent’anni, aveva portato tutto il Paese ad essere la settima potenza economica mondiale.

In verità, il grande sviluppo economico della nostra città iniziava già a metà dell’800, quando i savoiardi Tardy & Benech avevano trovato in Savona la location ideale per insediare il loro progetto di fonderia, che avrebbe portato la nostra città nel novero delle città più industrializzate del nuovo Regno d’Italia.
La collocazione della fonderia, attigua al porto e a ridosso del Priamar, aveva dato sviluppo al porto stesso, dove venivano scaricati il carbone e i minerali ferrosi da fondere e trasformare in prodotti finiti, i quali, venivano subito reimbarcati sia per l’esportazione che per venire impiegati nella costruzione delle prime infrastrutture ferroviarie della penisola e delle prime industrie dell’Alta Italia, fornendo così alla stessa Savona ulteriori opportunità industriali: basti qui ricordare l’indotto fatto di decine di piccole industrie legate alla siderurgia, che si erano insediate lungo Corso Ricci, fin su in tutta la Val Bormida.
Savona pertanto diventava a pieno titolo una città industriale la cui attività manifatturiera si basava su quelli che erano i minerali più importanti di quel tempo: il ferro e il carbone.

I Savonesi iniziavano a trasformarsi da pescatori e contadini in operai e camalli, mentre la città, da agricola, artigianale e un po’ turistica, accogliente ma povera, diventava sempre più industriale, certamente più inquinata, ma anche, e soprattutto, sempre più ricca.
Per riprendere il parallelo col Veneto, val la pena ricordare, anche se può far male, che mentre in quei decenni la Liguria si avviava a diventare una potenza industriale, il Veneto, fino ai primi anni dell’ultimo dopoguerra, era terra di emigranti: basti vedere le tante persone dal cognome veneto che tuttora abitano nella piana di Albenga, discendenti di contadini costretti a lasciare la loro terra per venire qui, dove benessere e sviluppo erano già arrivati, per cercar lavoro, finendo spesso a coltivare a mezzadria i terreni altrui.
Questo periodo industriale è durato per l’esattezza un secolo, dopodiché a partire dagli anni ‘70 in tutte le società industrializzate del mondo è accaduto
che la dinamica dello sviluppo liberista-capitalista e l’assenza di barriere agli scambi internazionali hanno favorito l’emergenza della concorrenza dei Paesi c.d. emergenti, minando per questa via la stessa esistenza di quelle posizioni di vantaggio competitivo che si erano consolidate nel corso di decenni.
Dai primi anni ’70, a Savona come altrove, iniziava quindi un lento declino.
Come già descritto, la ricchezza di Savona si basava su tre principali assi:la siderurgia, il carbone, il porto;
ovvero, tre settori con maestranze politicamente gravitanti intorno all’allora Partito Comunista Italiano e al sindacato della CGIL, organismi che in Liguria sono sempre stati legati a doppio filo con le amministrazioni cittadine, provinciali e regionali, quasi sempre di espressione del PCI.

La Siderurgia


Già dagli anni 70, i progetti dei Governi centrali, come il Piano Sinigaglia, erano quelli di creare un grande centro siderurgico a Bagnoli, dove gli spazi e l’offerta di mano d’opera erano certamente superiori a quelli di Savona. Intanto, si iniziava a costruire impianti siderurgici nei Paesi del terzo mondo, dove gli spazi a disposizione, il costo della mano d’opera e lo scarso controllo sui problemi ambientali, rendeva quei territori particolarmente attraenti per i nuovi investimenti del capitalismo mondiale.

Il Carbone


A partire dalla metà del 1800, il carbone è stato per quasi un secolo la principale, quando non l’unica, fonte di energia sia per l’industria che per ciò che riguardava i trasporti: era proprio il carbone che veniva usato come combustibile da trazione sia per le navi che per i treni.
Savona deve la sua passata ricchezza all’importazione di questa fonte di energia, che permise di far nascere la già citata fonderia che, a sua volta, costituì una vera e propria leva per lo sviluppo di altrettante realtà industriali che diedero ai savonesi la possibilità di crescere al pari delle altre città industriali della Padania.

Il Porto


Con la creazione della funivia Savona – San Giuseppe la nostra Città si dotava di un’infrastruttura – unica per quegli anni – che le dava una capacità di ricezione di grandi quantità di carbone, a basso prezzo, e in grado di alimentare tutte le altre industrie della provincia: in special modo quelle della nascente industria della Val Bormida, dove, con energia a basso costo e la grande disponibilità di acqua, si venivano a creare i presupposti ideali per la nascita di una serie di nuove industrie, sia meccaniche che chimiche.
La Compagnia Portuale si specializzava pertanto anche nell’imbarco dei prodotti di tali industrie, diventando in quei tempi uno dei porti più specializzati per lo sbarco e l’imbarco della merce varia. Questa Compagnia arrivava ad impiegare addirittura 900 soci, altamente specializzati in questo tipo di operazioni, super sindacalizzati e legati politicamente anch’essi al Partito Comunista Italiano.
Con l’arrivo degli anni ‘80 finiva definitivamente questa fantastica epoca durata oltre un secolo, che aveva portato tanta ricchezza alla nostra città. Di tutti i fattori economici dati dall’insieme sinergico creato da Porto, Carbone, Fonderia e Industria, rimaneva intatta solo la posizione geografica della città, quella posizione che era stata la chiave dell’inizio della sua era industriale e dei seguenti successi.
Era quindi arrivato il momento in cui occorreva pensare a come riconvertire quegli spazi e le risorse umane dei savonesi, trasformare cioè un problema in opportunità, al contrario, come vedremo, in nome di una politica dogmatica, utopistica e perennemente sconnessa dalla realtà – tipica della sinistra degli ultimi 30 anni – si è preferito spendere tutte le risorse disponibili per tenere in vita aziende senza futuro, difendere posti di lavoro fasulli e distruggere quel patrimonio morale che aveva sino ad allora caratterizzato il DNA dei savonesi.
«Fine prima parte »

Silvio Rossi (FEDERALISMO Sì)

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