Rottamare il Pd per salvare il sistema?

 Rottamare il Pd per salvare il sistema?

La tentazione di cambiare tutto per non cambiare nulla

Rottamare il Pd per salvare il sistema?
La tentazione di cambiare tutto per non cambiare nulla

 La lavanderia davanti a casa mia ha abbassato per sempre la saracinesca. La titolare, un’anziana signora depositaria dei segreti di tutto il quartiere, non ha retto all’ultima stoccata di questo governo nemico dei cittadini, dei lavoratori, dei commercianti, di chiunque tira la carretta. In tanti, come lei, si sono arresi davanti all’incubo della fatturazione elettronica, altre spese, e ancora più pesante il fiato sul collo dello Stato aguzzino. Ma non per tutti. Poche centinaia di metri, e sul lungomare gruppi di extracomunitari occupano tranquillamente il suolo pubblico, vendono merce contraffatta di ignota provenienza e non sanno cosa sia uno scontrino.


Guardia di finanza e vigili urbani passano con le loro auto distogliendo lo sguardo. Intanto sento dire che un marocchino, “immigrato irregolare” come si dice graziosamente, ha sfasciato l’ufficio postale perché non ha ricevuto puntualmente l’assegno di cittadinanza. Quello che doveva essere riservato agli italiani in difficoltà, falliti, licenziati, separati, finiti nel tunnel della malattia mentale, delle dipendenze, della depressione, costretti a dormire in auto e a mettersi in coda per un pasto alla Caritas, quello pagato con i soldi dei contribuenti in nome del patto di solidarietà fra cittadini sul quale si regge lo Stato. Doveva sconfiggere la povertà, è servito solo a creare un nuovo motivo di attrazione per i migranti che fuggono dal lavoro.


Ma di annunci ne abbiamo sentiti tanti, dal sarà un anno magnifico dell’ineffabile avvocato di se stesso, al risanamento dell’ambiente, alla liquidazione della o delle caste, alla soluzione dei problemi dell’Ilva, dell’Alitalia e di tutte le centinaia di aziende grandi e piccole che hanno mandato a casa migliaia di persone che un altro lavoro non lo troveranno mai. Abbiamo anche sentito che l’Italia è tornata protagonista in Europa e nel mediterraneo, che sono diminuite le tasse per i lavoratori dipendenti, che sono aumentate le pensioni. Tutto falso, tutto spudoratamente falso come la litania di un governo coeso che sta lavorando per il bene del Paese, che tanto ha fatto per allontanarci dal baratro delle clausole di salvaguardia e che tanto si appresta a fare per la scuola, per la sanità, per la giustizia. Tutto falso ma impunemente ribadito a reti unificate.

 Esponenti del Governo giallo-rosso

Un’armata Brancaleone allo sbando, che sta facendo danni irreversibili che nessuno pagherà, tantomeno l’inquilino del Colle che gli ha aperto le porte. E l’espressione non è mia ma proprio di uno dei più accreditati opinion maker di regime, uno dei tanti che in questo suo smottamento verso il ridicolo hanno preferito lasciare alle mezze calzette del mondo dell’informazione il ruolo di coprirgli la pudenda. Un compito ingrato e imbarazzante al quale non si possono sottrarre gli editorialisti di Repubblica o i supporter grillini annidati nel Fatto quotidiano. Ma il monolite delle grandi firme del giornalismo italiano si è sgretolato e le critiche più caustiche a questo governo sgangherato e a questa maggioranza patetica di incollati alla poltrona viene proprio da lì. E non fa più effetto sentire l’editorialista della Stampa dichiarare apertamente che abbiamo un governo detestato dal popolo e retto soltanto non dalla paura di Salvini né dall’appoggio degli eurocrati ma più banalmente dal terrore del voto. E anche le vecchie volpi della politica, vecchi democristiani come Cirino Pomicino o vecchi sindacalisti rossi come Cofferati ne sembrano schifati. Il primo dileggia la presunzione dell’avvocato che si atteggia a statista e riesce solo a parlare senza dire nulla, quando va bene; l’altro appare inorridito dall’impudenza con la quale si inanellano bugie, come quella clamorosa di un presidente del Consiglio che si dichiara estraneo ai provvedimenti di un suo ministro: non ne sapevo nulla e se avessi saputo non sarei stato d’accordo. Siamo alle comiche.

Cirino Pomicino e Cofferati 

Se Mughini, Sorgi, Rampini e tanti altri prendono le distanze c’è da rallegrarsi. C’è però in questa tardiva resipiscenza qualcosa che non torna. In primo luogo tutti si esercitano nel tiro al bersaglio contro il governo, contro i Cinquestelle allo sbando e il Pd che si sta liquefacendo ma nessuno reclama nuove elezioni, tutti concordano sull’assioma che più il governo è debole più durerà – e mi sembra un’enorme sciocchezza – e tutti continuano a considerare esiziale l’eventualità di Salvini a capo di un esecutivo a trazione leghista. Piuttosto strizzano l’occhio alla Meloni, che farebbe bene a seguire l’esempio di Ulisse per non rischiare di essere sedotta dal canto delle sirene.  Quanto a Berlusconi sono lontani i tempi della sua demonizzazione; da un bel pezzo si cerca di metterlo al centro della scena, ormai è l’arma di riserva o addirittura uno dei manovratori occulti; ma è un generale senza armata e fanno più gola i voti della Meloni, tanto più se sottratti a Salvini. Ma questa è solo una pia illusione.

 Salvini, Meloni e Berlusconi

Non sarà che dalle parti dei cosiddetti poteri forti e soprattutto nei dintorni di Bruxelles non ci si fida più dei post comunisti, grillizzati anche nello stile e nella sprovvedutezza, e si stia cercando un modo per uscire dal pantano nel quale loro stessi hanno fatto sprofondare il Paese con le manovre agostane? Non sarà che le tentano tutte purché l’Italia non cada nelle mani dei sovranisti, quelli autentici e ruspanti della Lega?  Ancora una volta prende corpo il fantasma dell’Union sacrée in barba alla volontà popolare, alla democrazia, alle urne da evitare come la peste in nome del dogma dell’Europa.

Noterella fuori contesto


Edward Luttvak 

E, a proposito di Europa, per smentire il disgustoso ritornello secondo il quale gli staterelli come l’Italia da soli non possono muovere foglia perché il manico della politica mondiale è saldamente nelle mani delle grandi potenze, ci voleva un Luttwak, politicamente scorrettissimo: questo sarebbe il momento buono per l’Italia per riprendersi il controllo della Libia facendosi un boccone della Turchia come nel 1912.  Sarebbe, se ci fosse l’Italia. 

   Pier Franco Lisorini  docente di filosofia in pensione   

 

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