Riscoprire il nostro passato: Tedisio Foglietta – Un corsaro di Varazze

La pirateria, che è una forma di brigantaggio per mare, ha origini antichissime ed era già ampliamente praticata presso i Fenici, i Greci, i Romani e non solo. Assaltare le navi per depredarne i carichi era allora un fenomeno redditizio e molto praticato, in forma del tutto spontanea.
Quando, verso il XIII° e il XIV° secolo la pirateria cominciò ad essere organizzata anche per ragioni politiche o militari, iniziò il fenomeno della corsareria. I corsari erano infatti alla guida di navigli privati autorizzati formalmente con lettere di corsa o di marca da Stati rivali a partecipare ad azioni di guerra contro navi nemiche, che potevano così essere depredate e distrutte.  I corsari erano dunque una particolarissima specie di soldati, non solo semplici ladri. Per dir meglio, erano l’uno e l’altro.
«Bastava che un uomo di mare, senza scrupoli e d’animo infermo, risoluto a “guadagnare largamente“, sia pure col pericolo della galera e della forca, raccogliesse intorno a sé pochi compagni che avessero la stessa tempra e le stesse mire. Sopra un brigantino veloce e ben armato essi andavano ad appostarsi in qualche angolo di costa ove il mare fosse frequentato da passaggi di navi e quando ne era in vista alcuna che sembrasse ricca di bottino e poco armata, piombavano su essa all’improvviso, e, profittando della sorpresa, del disordine e della inferiorità di armi dei naviganti, salivano sulla nave e la depredavano di quanto rappresentasse una ricchezza.

Poteva accadere che i corsari non si accontentassero di depredare merci e naviganti, ma che si impadronissero anche della nave stessa e se ne servissero per più ardite imprese piratesche, gettando il terrore sul mare. Non era infrequente il caso che il governo di qualche città marinara, per indebolire od ostacolare il commercio di una città emula, permettesse subdolamente questo brigantaggio, salvo però a smentire ufficialmente tale condiscendenza.» (*1)
A differenza dei corsari, alcuni attaccavano le navi di ogni nazione anche in tempo di pace e senza alcuna autorizzazione di un monarca, tenendosi interamente il bottino: è a costoro che si dovrebbe dare correttamente il nome di pirati, ma anche – come fu in uso più tardi – quello di bucanieri o di filibustieri.
I bucanieri erano coloni bianchi, inizialmente cacciatori e pastori, che si dedicarono al contrabbando e alla pirateria dopo la distruzione dei loro insediamenti da parte degli Spagnoli. Il loro nome deriva dall’uso di mangiare carne affumicata su una speciale grata, il boucan, in uso presso gli indigeni delle Antille.
I filibustieri, invece, devono il loro nome al termine olandese vrijbuiter, che significava «cacciatore di bottino»; erano avventurieri di varie nazionalità, che praticavano la pirateria nella regione caraibica ai danni delle navi spagnole e delle città costiere.
In generale molti diventavano pirati per la possibilità di arricchirsi, grazie al bottino delle navi catturate e ai saccheggi delle città, ma altri sceglievano questa vita per il gusto dell’avventura, oppure erano disertori, o ancora vittime di persecuzione religiosa, o anche criminali costretti a fuggire e a vivere al di fuori della legge, perché in patria sarebbero stati incarcerati o giustiziati. Solo i corsari non avevano questo destino, anzi, potevano anche essere premiati dai re che se ne servivano.

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Anche Varazze ebbe il suo corsaro nella figura di Tedisio Foglietta, intrepido marinaio che, nella seconda metà del Trecento, combatté la guerra di corsa nel Mediterraneo e nel Mar Caspio. Proprio in questo mare si scontrò con il corsaro genovese Luchino Tarigo, che con “lettera patente” della Repubblica di Genova voleva ripristinare il potere della Superba nel Caspio. Foglietta fu catturato da Tarigo e, per salvarsi la vita, abbandonò la “libera professione” passando ai suoi ordini, al servizio di Genova.
Conosciamo le vicende del corsaro Foglietta, perché compaiono nell’ “Itinerario di Antoniotto Usodimare”, ardito navigatore genovese. Mentre l’avventurosa spedizione di Luchino Tarigo nel Caspio ci è narrata da Raniero Bellomini, pisano, che faceva parte della ciurma del Tarigo. Inizia “Anno Domini 1374, Luchinus Tarigus Janunensis…” e narra l’avventura nel Mar Caspio in cui era stato coinvolto anche il varazzino Tedisio Foglietta. Il Bellomi era un avventuroso mercante (meglio sarebbe definirlo un “avventuriero”) che faceva parte della ciurma di Tarigo.
Partito nel 1373 su una fusta (piccola galea armata sia a remi che con vele latine, con uno o due alberi, usata dai pirati e dai corsari perché molto maneggevole) procuratagli dalla ricca famiglia genovese dei Giustiniani, con una lettera di corsa del Senato Genovese, superato lo stretto dei Dardanelli, durante l’arrembaggio contro un’altra nave corsara, Tarigo ha la meglio; dà alle fiamme la nave rivale, provocando molti morti e fa prigionieri undici marinai, fra i quali il Foglietta. Tarigo non se la sente di impiccare i suoi compaesani e offre loro l’ingaggio sulla sua fusta, la “Grifagna”, che con l’equipaggio rinforzato inizia la sua avventura corsara nel Mar Caspio nel 1374.
Risalito il corso del fiume Tanai (Don) e raggiunta un’ansa in cui solo sessanta miglia separano il corso del Don da quello del Volga, messa a terra l’imbarcazione, essa viene trascinata dai marinai, via terra, fino al fiume Volga, con un percorso accidentatissimo di sessanta miglia tra boschi e luoghi sconosciuti.
Qui, riarmata la “Grifagna”, discendono il fiume Volga fino al Mar Caspio, realizzando così il sogno di molti corsari dell’epoca, non soltanto genovesi. Qui depredano tutto quanto possibile, fanno scorrerie contro i Calmucchi (feroce popolazione mongola) che sono costretti a scendere a patti con i genovesi. Dopo avere riempito la stiva dei tesori di quelle terre, i corsari ripercorrono a ritroso il precedente itinerario (con conseguente traino “terrestre” dell’imbarcazione) e finalmente giungono a Caffa (Teodosia), colonia genovese nella penisola di Crimea.
Tedisio Foglietta, diventato “secondo” di Tarigo, prosegue con lui a “navigare di corsa” con la bandiera si san Giorgio e ad ammucchiare ricco bottino anche nel Mar Nero (in quelle terre si potevano trovare mercanzie ricercate in occidente, come la gomma, il mastice e l’allume), prima di fare ritorno in patria per godersi la meritata ricchezza.
A Varazze, peraltro, in località Portigliolo (tra Varazze e Cogoleto) c’era una piccola baia, ben riparata, dove i corsarierano soliti attraccare con le loro imbarcazioni per fare arrembaggio ai danni delle navi che percorrevano la rotta da e verso Genova.
Anche per questo la zona retrostante (oggi Piani di san Giacomo) era anticamente chiamata “Latronorio”, cioè terra di latrones (predoni) che controllavano il passaggio per mare e per terra di chiunque, depredandoli di ogni avere.
Tiziano Franzi 
www.ponentevarazzino.com
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(*1) – Pandiano E., Storie di pirati liguri, in «Giornale storico e letterario della Liguria, n.s.», III (1927)



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