Riscopriamo i grandi pittori figurativi del savonese
Nella prima metà del Novecento Savona, le Albis(s)ole e il loro entroterra vissero una felice stagione artistica. Numerosi ottimi pittori figurativi furono attivi in contemporanea e, vivendo in un territorio relativamente ristretto, finirono spesso per entrare in contatto tra loro, facendo amicizia, influenzandosi a vicenda e incrociando il proprio percorso artistico talvolta perfino al punto da legarsi in veri e propri sodalizi. Molti di costoro si guadagnarono fama e successo locali fino anche a raggiungere la notorietà a livello nazionale. E benché proseguissero comunque ciascuno per la propria strada, credo che si possa parlare di una vera e propria scuola di pittura di fatto, se non di nome. Partendo nella quasi totalità dei casi dalla pittura paesaggistica, seppero, chi più chi meno, evolversi guardando al loro presente. Alcuni di costoro, stimolati dalla vicinanza delle Albis(s)ole, scoprirono inoltre la lavorazione della ceramica, a cui si dedicarono spesso con buoni esiti. Purtroppo, però, malgrado meritassero in tanti l’abusato termine di artista e non avessero nulla da invidiare a molti colleghi italiani e stranieri più quotati (pompati?) di loro, al di fuori della Liguria oggi sono finiti più o meno tutti nel dimenticatoio e perfino nel savonese a conoscerli rimangono soltanto pochi cultori. D’altronde i savonesi non sono mai stati bravi a promuovere adeguatamente quanto hanno di buono. Colpevole è stata, in questo caso, anche l’assenza in zona dei grandi galleristi e mercanti d’arte, quasi sempre figure fondamentali per valorizzare e portare al successo gli artisti dell’ambito pittorico, ciò per via sia della loro capacità di farli conoscere e apprezzare come meritano, sia della loro abilità a costruirne il successo a tavolino anche al di là dei meriti, allo scopo di ricavarne vantaggi economici per sé stessi. Ci limiteremo qui a trattare, e in modo succinto, solo alcuni (8 + 1), dei più significativi e noti tra loro, attraverso una scelta condizionata dal materiale disponibile, ovviamente, ma anche dal gusto personale e dalla limitata conoscenza in materia dell’estensore dello scritto. La speranza è che, nel suo piccolo, questo articolo contribuisca a favorire la riscoperta sia dei bravi artisti citati sia dei tanti altri meritevoli ma esclusi dalla disamina. E che qualcuno più competente del sottoscritto possa presto scriverci sopra un libro, presentandolo magari in una grande mostra collettiva da realizzarsi.
Mi sembra doveroso iniziare da colui che da più d’uno è stato considerato il più bravo del lotto dei paesaggisti savonesi e loro caposcuola: Carlo Leone Gallo, autore che sarebbe riduttivo considerare solo accademico come è invece accaduto, perché la sua pittura non fu comunque priva di modernità. Nato a Cairo Montenotte (Sv) nel 1875 e ivi scomparso nel 1960, si formò a fine ottocento presso lo studio savonese del pittore Lazzaro De Maestri, per poi frequentare l’accademia Albertina di Torino. Tornato in Liguria, Gallo si dedicò in prevalenza ai paesaggi, soprattutto della sua Cairo, la tematica preferita di cui si conservano ancora numerose opere e in cui non di rado appaiono pure quegli animali domestici, come i cavalli o i buoi, che più si legano al panorama agricolo italiano. Tuttavia non disdegnò neppure i ritratti, le cosiddette testine, eseguite dal vivo, in particolare di giocatori di carte, pensionati e contadini, autoritratti compresi. E nel corso della sua lunga carriera raffigurò buona parte dei compaesani, peraltro, come spiegò il critico Mario De Micheli, deformandone le fattezze fisiche per renderne più efficace la rappresentazione, allo scopo di penetrarne, al di là dell’aspetto esteriore, anche la condizione sociale e la stessa psicologia.A suo tempo espose alla quadriennale di Torino e a Brera, mentre oggi si conservano sue opere nei musei di Savona (vedi foto 1), Genova e Roma. Ne sopravvivono inoltre negli Stati Uniti, in Sud America, in Francia e in Germania. E se oggi, degli otto artisti protagonisti qui trattati, Gallo è forse il meno conosciuto dal grande pubblico, continua tuttavia a ricevere mostre a lui dedicate, l’ultima ad Albisola nel 2020, a riprova che i locali addetti ai lavori non se lo sono dimenticato affatto.
Invece l’artista all’epoca considerato maggiormente di spicco, grazie al buon apprezzamento critico ricevuto, e di conseguenza ancor oggi il più importante e ricordato, oltre che l’unico a conservare un autentico, seppur ristretto, mercato delle proprie opere, con entità di vendita non eclatanti, certo, ma perlomeno in grado di raggiungere cifre a tre zeri, è Eso Peluzzi (Cairo Montenotte 1894 – Monchiero 1985), cittadino onorario di Savona. Egli fu un maestro del paesaggio, un uomo dotato di notevole capacità tecnica, che lo mise in grado di esprimersi bene nell’intero scibile della pittura, e un nume tutelare per tanti giovani astisti dell’epoca. Grazie al suo prestigioso e frequentato studio pittorico, Peluzzi è da considerarsi vero caposcuola di fatto e non solo idealmente e anagraficamente come il suo compaesano Gallo, che comunque, a quanto pare, di lui fu il primo maestro.Anch’egli studiò, per quattro anni, all’Accademia Albertina, con risultati così lusinghieri da vincere una medaglia d’oro nel 1913 con il dipinto intitolato “Il pastore”. Nel 1919 si trasferì al Santuario di Savona, dove visse vari decenni facendo anche amicizia con lo scultore Arturo Martini. Lì aderì a quel Divisionismo appartenuto a chi voleva tradurre in pittura gli studi sull’ottica e sulla percezione dei colori, sapendo peraltro appropriarsi di quanto degli altri stili poteva tornargli utile, compreso la linea curva Liberty, riconoscibile in alcuni disegni a carboncino. Tra il 1926 e il 1948 Eso Peluzzi fu invitato a numerose edizioni della biennale di Venezia, la più importante manifestazione artistica italiana e non solo, delle quadriennali di Roma e di Torino e a varie altre mostre ed esposizioni in Italia e all’estero, compreso New York. Una sua opera, “Case al sole” fu acquistata dal re Vittorio Emanuele II durante la XII mostra degli amici dell’arte. Sue composizioni predilette, realizzate con grande perizia e intensa poetica, sono i paesaggi, soprattutto quelli boscosi dell’entroterra savonese e quelli innevati del basso Piemonte, senza peraltro dimenticare le marine. Insieme a varie altre tematiche legate alla figura umana, realizzò poi un pregevole ciclo pittorico dedicato agli anziani ricoverati nella casa di riposo del Santuario, con risultati di grande efficacia drammatica, che donano alle opere un intenso senso di malinconia e malessere di stampo espressionista. Famosi furono infine i suoi dipinti dedicati ai violini e alle viole (il padre era liutaio), integri o smontati, che rappresentano un autentico marchio di fabbrica dell’artista. A Savona Peluzzi è ricordato inoltre per avere realizzato un affresco nella Basilica del Santuario e un intero ciclo di affreschi di circa 200 metri quadrati, basato sulla storia savonese, nella Sala Consiliare del Comune, in questo secondo caso in collaborazione con Mario Gambetta.Ma ecco cosa, secondo un critico suo contemporaneo (Fillia, 1931) furono i suoi dipinti:“Pretesti a servizio di uno stato d’animo che contempla gli oggetti religiosamente e cerca, senza tuttavia arrivare ad una vera astrazione, di renderne lo spirito”.Mentre secondo l’odierno parere di Ivana Mulatero, l’opera del grande Eso la si può inserire “tra Previati e Bistolfi, tra Medardo Rosso e Morbelli, fino ai quadri da studio con umili oggetti che raggiungono una metafisica rarefazione spaziale”.
A personale parere del sottoscritto merita particolare attenzione, per la sua originalità e creatività, Antonio Agostani (Savona 1897 – 1977). Brillante autodidatta, Agostani fu artista tendenzialmente solitario e tuttavia rinomato e non del tutto estraneo al mondo della pittura locale e non, tant’è che espose a propria volta alla Biennale di Venezia, alla Quadriennale di Roma e anche altrove. Aderì inoltre al gruppo “La Goletta”, insieme a Mario Gambetta, GB De Salvo e Raffaele Collina, artisti a cui l’articolo si dedica più avanti, a Lino Berzoini, autore veneto, attirato come altri dal richiamo ceramico albissolese, a Ivos Pacetti, ligure di adozione e tra i tanti pittori qui non trattati per mancanza di spazio, e alla grande scultrice Renata Cuneo, la realizzatrice della “Fontana del Pesce” di Savona, per intenderci, altra “dimenticata” su cui qui su Trucioli lo scrivente si è espresso in passato. Come scrisse il critico Franco Dante Tiglio sul catalogo della mostra a lui dedicata nel 2011, “in nessun altro pittore figurativo del suo tempo l’intenzione creativa e l’urgenza dell’espressione emotiva sono approdate ad una pittura audace come la sua. Il suo rapporto con l’arte è quello di un osservatore schietto degli esseri umani, soprattutto in relazione alla loro condizione sociale e psicologica.”Autodidatta, si è detto, e tuttavia dal 1933 al 1937, quindi a partire da quando già aveva 36 anni, frequentò la scuola d’arte “Bartolomeo Guidobono” sotto la guida dell’amico Eso Peluzzi, la cui influenza lo portò, fino al 1945, a dipingere soprattutto paesaggi.Da allora in poi, condizionato forse anche da un breve periodo di carcerazione, la sua visione artistica mutò: dall’ordine apparentemente elegiaco della natura passò al disordine turbinoso degli emarginati e dei reietti, che da quel momento ritrasse sempre più spesso. È appunto da qui in poi che, a mio parere, Antonio Agostani offre il meglio di sé, realizzando, con un attento utilizzo del chiaro scuro, opere di, cito ancora Tiglio, “un’arte brutalmente sintetica ed esasperata, che non arretra dinanzi alle deformazioni ed alle tematiche più azzardate (…) volti lividi, emaciati, sofferenti, scheletriti, le occhiaie infossate”, arrivando fino a proporre letteralmente scheletri ambulanti, ad esempio nelle opere “Lo scheletro con il contrabbasso” e “Danza macabra”. Figure umane, certune sue, sconvolgenti al punto da far venire in mente “L’urlo” di Munch (vedasi qui sotto la foto 3). Lavori splendidi, in definitiva, che a taluni potranno non piacere ma che di sicuro non lasceranno indifferenti chi li scoprirà.
Il personaggio forse dotato dell’afflato artistico più internazionale è invece Mario Gambetta (1886 – 1968). Di origine ligure ma nato a Roma, Gambetta si trasferì ad Albissola Marina nel 1906. Pittore versatile, si dedicò fin dalla prima giovinezza alle realizzazioni figurative nonostante gli impegni scolastici, che lo portarono a laurearsi in legge ma lo costrinsero anche a restare fondamentalmente un autodidatta in campo artistico. Risiedere nel famoso centro della ceramica, che attirava artisti da tutto il mondo, lo avvicinò col tempo anche alla lavorazione in questo ambito, cui dedicò grandi attenzioni, producendo opere di buona qualità tecnica. All’inizio degli anni ’20 fu direttore artistico della manifattura albissolese “Alba Docilia” per poi passare, nel 1923, all’attività in proprio, con esiti apprezzabili. Pur frequentando numerosi grandi artisti dell’epoca, non si legò ad alcuna corrente, preferendo lasciar campo, con originalità, alla libera ispirazione, sostenuta da un buon bagaglio culturale. Aderì, tuttavia, alla sopracitata Goletta, che seppe raccogliere colleghi di valore. Numerose sono le sue partecipazioni alla biennale di Venezia, dove ebbe anche riservata un’intera sala per una personale, e alla Quadriennale di Roma, oltre che a manifestazioni a Parigi, Bruxelles e New York. Collaborò con Peluzzi alla realizzazione degli affreschi nel Palazzo Comunale di Savona e decorò con propri altorilievi in maiolica il Palazzo delle Poste. Un suo mosaico ceramico, intitolato “Mitico mondo marino”, arricchisce la famosa passeggiata degli artisti di Albissola organizzata da Aligi Sassu.Come spiegarono a suo tempo Maria Pia Torcello e Lorenzo Zunino, “Nel suo procedere l’artista coglie le tendenze che si affermavano in Italia – Impressionismo, Novecento, Metafisica – elaborandole con purezza e disincanto.”Mario Gambetta mi sembra essere, rispetto agli altri autori qui trattati, la figura savonese dotata di maggior eclettismo artistico – capace com’era di esprimersi indifferentemente con la tempera, il pastello, la china, l’acquaforte, le ceramiche o nelle incisioni su metallo – e, forse, di genio. Come gli altri savonesi iniziò con il paesaggio, nel suo caso soprattutto rivierasco, per poi ampliare lo spettro della propria tavolozza. Finì così con l’interessarsi alla rappresentazione delle “arti corporali”, se mi passate l’espressione, cioè a dipingere figure di ballerine, teatranti, circensi e saltimbanchi, coloro che utilizzano il proprio corpo per far spettacolo. A parere personale di chi scrive, su tali soggetti realizzò quadri davvero notevoli, tratteggiati con buone doti coloristiche e un disegno preciso ma anche in maniera volutamente non approfondita. In essi spesso sfumava i volti in modo da lasciarli appena abbozzati, senza perciò che se ne possano distinguere le caratteristiche fisionomiche, talvolta perfino del tutto assenti, come a voler dire che non la singola persona si trova al centro delle sue composizioni ma la categoria a cui il soggetto dipinto apparteneva, rendendo così inconfondibili queste sue vivide figure. (vedasi qui sotto la foto 4, per la quale, come per le altre, chiedo venia: non sono fotografo professionista e i quadri a volte erano male illuminati o disturbati dai riflessi del vetro o appesi troppo in alto senza che osassi farli tirare giù tutti e il risultato è quel che è). Da notare infine come Mario Gambetta, artista davvero completo, abbia profondamente sentito la sua terra, giungendo a prendersi cura del locale patrimonio archeologico e museale, sia recuperando le antiche lavorazioni della ceramica, sia agendo in qualità di ispettore onorario alla soprintendenza. È un vero peccato, insomma, che fuori regione oggi non sia valorizzato come merita. (E per quel poco che può valere: è forse del lotto l’autore preferito dal sottoscritto Massimo Bianco).
Giovanni Battista De Salvo nacque al Santuario di Savona nel 1903 ma visse l’infanzia e l’adolescenza a Stella San Giovanni, località da cui gli derivò l’amore per la natura, che soleva dipingere dal vero. Frequentò lo studio di Eso Peluzzi, assimilandone in parte stile e tematiche. Ecco come il sito web “Pittoriliguri” descrive De Salvo:“Artista legato al naturalismo che interpreta con tecnica post impressionista, è altrettanto sensibile alla lezione che deriva dall’arte figurativa del novecento. Caratteristica la sua pennellata materica ed il suo splendente cromatismo.” Nella sua tavolozza prevalgono le tonalità crude, con colori utilizzati a impasto e mai puri, ideali per tratteggiare l’amata campagna ligure. A ulteriore riprova di quanto la scuola pittorica locale fosse stimata, anche lui, come quasi tutti gli altri savonesi trattati in questo articolo, partecipò più volte alla biennale di Venezia e alla quadriennale di Roma (quattro presenze a testa). Espose inoltre con successo un po’ in tutto il mondo e tenne mostre personali in varie località italiane. Sue opere si conservano oggi non solo in Liguria ma anche in musei di Milano e di Londra e tuttavia, esattamente come gli altrettanto validi colleghi, oggi purtroppo è ben poco ricordato. Fin dagli anni ’20 si interessò alla lavorazione della ceramica, ambito in cui si è forse espressa al meglio la sua creatività, e dal 1930 diresse “La casa dell’arte”, celebre fornace già guidata dal prestigioso ceramista Manlio Trucco. Sotto il suo indirizzo la suddetta fornace ottenne innumerevoli riconoscimenti artistici e grande successo tra il pubblico.Scomparso a Savona nel 1964, da allora attende di essere resuscitato artisticamente. Amen.
Raffaele Collina (1899 – 1968) nacque a Faenza in Emilia Romagna e compì gli studi a Bologna, ma quando aveva appena diciassette anni si trasferì in Liguria, a Vado Ligure, che da allora divenne la sua terra d’adozione, per poi iscriversi all’Accademia Ligustica di Genova, di cui in seguito diventerà “Accademico di merito”. Può dunque essere considerato un ligure a tutti gli effetti. Seppe anch’egli guadagnarsi un apprezzamento nazionale tale da ricevere l’invito a partecipare per ben cinque volte alla Biennale di Venezia e quattro alla Quadriennale di Roma.Partendo dalla pittura dell’ottocento italiano e memore della lezione sia dell’impressionismo che dell’espressionismo, Collina fu artista molto legato alla pittura figurativa del novecento. Egli si specializzò, così come i tanti altri suoi colleghi del posto, nel dipingere i paesaggi del savonese e inoltre, e fu questo un suo specifico, nel dipingere ritratti soprattutto femminili in interni. Inizialmente influenzato dallo scultore Arturo Martini, anch’egli residente a Vado, e dal novarese Felice Casorati, seppe in seguito trovare uno stile personale caratterizzante, che portò la sua opera verso la raffigurazione veristica con accentuati toni cromatici. Come scrissero in proposito Carla Bracco e Maria Pia Torcello, “Nel paesaggio trasferisce un lirismo incantato e una forte emotività, che dalle costruzioni rigide e dai toni cupi delle prime realizzazioni approdano via via a toni più caldi e luminosi, con pennellate compatte e fluide”, mentre “nella riproduzione del corpo umano rivela una grande capacità nel disegno, attento alla definizione plastica dei volumi, spesso immobili in una atmosfera sospesa, ed ai rapporti dinamici dei soggetti in movimento. Frequente è la rappresentazione di gente comune ripresa in atteggiamento di vita quotidiana” (foto 6).Durante la seconda guerra mondiale fu catturato dagli inglesi e trasferito in India, dove rimase prigioniero alcuni anni. Il risultato artistico di questo forzato esilio è un’interessante serie di paesaggi indiani dal gusto esotico, luminosi e vivacemente colorati.Artista eclettico al pari di Gambetta, Raffaele Collina si dedicò anche alle decorazioni murali e grafiche e alla ceramica, partecipando inoltre ad alcune mostre specialistiche. È, insomma, un altro vero grande e completo artista, assolutamente da riscoprire.
Dulcis in fundo, Emanuele Martinengo (Savona 1889 – 1962) lo si può per certi versi definire il pittore savonese per eccellenza, visto che l’ambiente locale lo ha respirato e fiutato per tutta la vita e alle bellezze di Savona e dintorni ha dedicato buona parte della sua opera. A quanto pare anche lui come Gambetta si laureò in legge, peraltro senza mai esercitare l’avvocatura perché preferì dedicarsi in pianta stabile alla pittura. Fu soprattutto un brillante paesaggista dell’entroterra savonese o delle Langhe, ma essendo nato in una città di mare si dedicò con frequenza anche alle marine. Dipingeva tali soggetti in maniera molto materica, raffigurando con profonda partecipazione e spontaneità la bellezza del paesaggio. Fu inoltre esimio vedutista della Savona metropolitana, con il suo centro storico e una particolare predilezione nel dipingere il porto cittadino e le sue attività (foto 7), al punto da essere da qualcuno considerato in assoluto l’interprete principale della città di Savona. All’epoca anch’egli, come i colleghi sopra trattati, ebbe rinomanza tale da potersi permettere di partecipare più volte alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma, così come numerose sono le sue mostre personali e i riconoscimenti pubblici ottenuti. Purtroppo, però, pare che negli ultimi anni della sua esistenza Martinengo si sia ritrovato impoverito, solitario e dimenticato, al punto che una volta morto tanta della sua opera da lui conservata andò dispersa. In compenso a Savona numerosi dipinti sono ancora oggi presenti in varie sedi pubbliche e private. Come ben spiegano gli esperti del sito “Pittoriliguri”, egli “vive la natura e la raffigura dal vero in modo assai spontaneo, specie nell’esecuzione di piccole tavolette ricche di luce e di colore oltre che di grande sentimento e interiorità. Martinengo tra i vari artisti di area savonese (Peluzzi, De Salvo, Collina ecc.) è, probabilmente, quello che meno si lega alle nuove tematiche del Novecento ed anche alle correnti post impressionistiche. Alcune affinità, come rivela Leonardo Lagorio, si possono trovare col pittore P. S. Rodocanachi (1891- 1958); in particolare la prospettiva (…) Emanuele Martinengo dimostra una notevole capacità di sintesi nell’interpretazione del paesaggio. All’artista vanno riconosciute una certa autonomia e originalità, unitamente a una riservatezza innata e a solidi valori morali che lo pongono autorevolmente fra gli artisti liguri più rappresentativi del primo novecento.”Sarebbe dunque veramente l’ora di riscoprirlo e valorizzarlo come merita.
Voglio infine dedicare qualche riga a Luigi Caldanzano, pittore e ceramista nato a Genova nel 1921 e morto a Borghetto Santo Spirito (Sv) nel 2008. Infatti, benché cronologicamente si collochi un po’ più avanti, rispetto agli altri autori dissertati, a parere di chi scrive la sua creatività e inventiva lo rendono personaggio tale da non potersi ignorare.Fu Mario Gambetta a scoprirlo, giovanissimo, nel 1937, dando origine da allora a un solido sodalizio, a ennesima riprova di come la vita di molti artisti locali ebbe legami tali da non rendere improprio parlare di appartenenza a una scuola savonese, anche se poi ognuno condusse un proprio percorso artistico indipendente, pescando tra le varie diverse opportunità che potevano venirsi a creare. Negli anni successivi Luigi (Gigi) Caldanzano si avvicinò dapprima al futurismo e poi al gruppo “Cavallino rosso”, in collaborazione con Bonilauri, Pollero e Cabiati e sotto la guida del sopracitato critico F. D. Tiglio, gruppo peraltro presto dissoltosi. Ma soprattutto iniziò in quegli anni l’amore, che non l’abbandonò più, per il tema della vita di provincia, delineato sapientemente attraverso figure anche realistiche e tuttavia altrettanto ironiche, grottesche, surreali, talvolta perfino macchiettistiche. Sono dipinti o lavori di decorazione ceramica, i suoi, che arrivano in alcuni casi a ricordare perfino Marc Chagall o magari (n.b.: tutti opinabili pareri dell’articolista) il suo quotato coetaneo Remo Squillantini, artista appunto del grottesco, ma che restano pur sempre, semplicemente, degli inconfondibili… Gigi Caldanzano! Ci troviamo insomma di fronte all’ennesimo, fascinoso, autore trascurato e da rivalutare.
Ribadisco in conclusione che quelli qui discettati non sono gli unici pittori savonesi della prima parte del ‘900 meritevoli di menzione ma solo alcuni tra i meglio documentati. Va, infatti, precisato che parecchi altri sono caduti, in tutto o in parte, talmente nell’oblio, da rendere di fatto impossibile o quasi trovare sufficienti informazioni e loro dipinti per scriverci sopra o anche solo per giudicarli con un minimo di obiettività. E se in vari casi ciò si sarà verificato a ragione, per alcuni l’oscurità in cui sono caduti appare del tutto ingiusta.Non avendo, però, senso stilare un mero elenco di nomi, a buon titolo di esempio citerò per tutti soltanto quel G. Borio di cui potete ammirare, in calce a questo articolo (foto 9), l’immagine di una sua bella natura morta. E per convincersi che non mi sto riferendo a un pinco pallino qualsiasi ma a un ottimo “pennello”, basterà, credo, osservare come seppe tratteggiare i vari frutti o, meglio ancora, osservare la bravura tecnica da lui dimostrata nel dipingere con efficacia, nella coppa che parte dei frutti contiene, la trasparenza del vetro, nonostante questo sia notoriamente uno dei soggetti più difficili da rendere in maniera adeguata. Se invece vi capitasse l’occasione di vedere qualcuno dei suoi paesaggi, come può per sua fortuna fare il sottoscritto, potreste ad esempio apprezzare la bravura e la precisione con cui raffigurava, con abili pennellate, i singoli fili o ciuffi d’erba del terreno, quando la stragrande maggioranza dei suoi colleghi e contemporanei si accontentava di spalmare uno strato uniforme di verde e, olé, il prato era bello che realizzato. Eppure, almeno fino alla data in cui è stato redatto l’articolo che avete sullo schermo, non ho trovato traccia di questo pittore del savonese né su internet né altrove, al punto che, con mia somma delusione, non sono riuscito a scoprire nemmeno quale fosse il suo nome di battesimo, al di là dell’iniziale G con cui Borio firmava le tele. E gradirei se qualcuno fosse in grado di fornire notizie e immagini di costui. Davvero l’autore della sottostante natura morta merita un tale oblio? N.B.: preziosa fonte di documentazione per questo articolo, e non solo dove espressamente citato, è stato il sito pittoriliguri.info, a cui rimando i lettori per ulteriori informazioni. 24/03/21 Testo e foto di Massimo Bianco
Buongiorno io possiedo un quadro di paesaggio su tela del pittore G.Borio lasciato da una zia di mia zia all’inizio del 1910 . Si può fare valutare ?
Buon giorno. Come scrivevo, G. Borio oggi sembra essere finito nel dimenticatoio, tanto che ignoro ancora oggi l’iniziale G. a quale nome corrisponda, dubito quindi che possa avere quotazioni significative. A ogni modo so che per una valutazione ci si puo’ rivolgere al sito http://www.pittoriliguri.info che lo fa gratuitamente inviandogli foto del quadro che interessa. Può trovare le informazioni su quel sito. Provi.
C’è però una galleria d’arte, “Signori Arte” di Albissola Marina Corso Bigliati 88, che tratta abitualmente i pittori del savonese del ‘900 citati nel mio articolo. Ho parlato una volta col titolare di Borio e da quanto ho capito in pratica non ha mercato, quindi io non mi farei troppe illusioni, dubito che si possa vendere una sua opera a più di 100 euro, ma ovviamente io posso sbagliare in pieno, non sta a me indicare cifre, meglio chiedere direttamente a lui (info@signoriarte.com o 019 489731).
Massimo Bianco