Racconto gotico

     

 RACCONTI GOTICI di  Franco Ivaldo

IL CIGNO DI LEDA

 RACCONTI GOTICI di  Franco Ivaldo

IL CIGNO DI LEDA

A Spa, ridente cittadina della Vallonia Orientale, poco distante dalla nobile città di Liegi, sorge un rinomato centro termale, dove nell’Ottocento e nel Novecento, era di moda “passare le acque”. Anche oggigiorno, forse con minor splendore che nella Belle Epoque, Spa rimane una grande attrattiva per il turismo: La nostra storia, però, riguarda solo marginalmente la cittadina belga dalle acque rinomate; essa si svolge, infatti, per la maggior parte, in una clinica psichiatrica vicino a Spa, in quello che gli inglesi definiscono un “lunatic asylum”.

Una storia che forse potrebbe interessare i seguaci del dottor Freud e non il “Touring Club”.

La clinica, per essere precisi, sorge a due chilometri dalle terme di Spa (da qui l’accostamento e l’inizio un pò da dépliant per agenzie di viaggi).

E’ una massiccia costruzione in stile vittoriano con un robusto muro di cinta. L’edificio è circondato da prati e lungo il sentiero che conduce all’ingresso principale, querce secolari testimoniano della anzianità della vetusta dimora. Vi sono tutt’intorno (unica nota lieta) laghetti sparsi , frequentati da cigni, oche ed anatre. Laghetti che ricordano quelli vicini al Beguinage di Bruges, la cittadina medioevale fiamminga. Il nome della clinica psichiatrica di Spa è “Le jardin des Cygnes”, il Giardino dei Cigni, per l’appunto, sicuramente in omaggio ai candidi ospiti pennuti. Dei pazienti bisognosi di cure non è fatto, almeno nel nome, il più vago riferimento.

Nel Giardino dei Cigni era finita la giovane Leda Dubois, figlia di un generale in pensione che si era distinto, assieme alle forze alleate di Patton, nella battaglia delle Ardenne, a Bastogne. Strano accostamento quello dei cigni e di Leda, poiché come il lettore certamente sa, nella mitologia greca esiste la leggenda di Giove che si trasforma in cigno per poter amare (in incognito, diremmo noi moderni) la bella Leda dell’epoca. Ma qui, i cigni fanno quello che, di solito, devono fare: e cioé da cornice per suscitare ammirazione da parte dei visitatori nel bel quadro di un laghetto circondato da venerabili alberi, in un posto in cui le distrazioni sono rare e le occasioni di gioia ancora più scarse.

Il giorno in cui la storia comincia, Leda Dubois, capelli biondi, occhi cerulei ed un viso di un ovale perfetto, di media statura, piuttosto snella, era seduta tranquillamente ai bordi del laghetto più grande e stava ammirando il passaggio di tre maestosi cigni, solenni, aristocratici, circondati da una più plebea corte di anatre e di oche.

Leda amava i cigni e gli altri inquilini del laghetto, gettava loro briciole di pane che i volatili si contendevano senza esclusione di colpi d’ala e, a volte, di becco. La giovane (aveva ventotto anni) li osservava , assorta, col pensiero rivolto alle molteplici cause che l’avevano portata al ricovero in clinica. Gliele aveva elencate, sommariamente, usando un linguaggio accessibile ai profani, il primario di psichiatria, Louis Demalle. Amnesie sporadiche ma ricorrenti, inusuali soprattutto in una ragazza della sua età. Crisi isteriche repentine, imprevedibili, non motivate da cause conosciute, depressione. Insomma, una cartella clinica ancora provvisoria che testimoniava di uno stato mentale fragile ed instabile, bisognoso di una terapia d’urto, poiché – aveva sentenziato il primario – tutto si poteva fare, meno trascurare certe patologie.

Dopo tre mesi di cure e psicofarmaci, nessun segno tangibile di miglioramento. Intanto, nella clinica aveva fatto la sua comparsa un giovane psicanalista, Philippe Dupuis, fresco di laurea, molto brillante. A lui era stata affidata in analisi Leda. E il pensiero della giovane correva ai suoi primi colloqui con il giovane analista, quasi suo coetaneo.

Quello che il dottor Philippe Dupuis, ventinove anni, stava tentando con la paziente era il classico metodo freudiano del viaggio a ritroso nel tempo, secondo la più ortodossa linea analitica della psicoanalisi, alla ricerca del trauma psichico rimosso che avrebbe dovuto, in teoria, provocare la nevrosi. Secondo il dottore non sarebbe stato logico pensare a cause fisiologiche. Lo stato di salute di Leda, infatti, era buono da un punto di vista fisico generale. La causa del danno, secondo il primario della clinica e secondo Dupuis, era puramente mentale. Ma il giovane psicanalista sapeva che non sarebbe stata impresa facile far crollare il muro di resistenza frapposto dalla giovane tra lei stessa e la realtà. Vi era forse un rapporto tra la rigorosa educazione impartita dall’austero generale e la malattia mentale della figlia. Rimasto vedovo negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale , il generale Dubois non si era più risposato. Da rigido militare aveva pensato che l’educazione di Leda sarebbe stata meglio assicurata in un collegio. Così era toccato alle suore orsoline provvedere agli insegnamenti per la cultura e l’istruzione della giovane che trascorreva col padre le vacanze di Natale e di Pasqua in Bretagna e quelle estive sulle montagne della Savoia.

Il dottor Dupuis si pose subito delle domande sull’importanza del quadro familiare nel determinare la natura della nevrosi di cui soffriva la sua paziente, ma i dati che aveva su di lei erano troppo scarsi in quel senso.

La giovane era rimasta orfana, soltanto da sei mesi. Il vecchio generale era morto, lasciandole in eredità ogni suo bene: la dimora avita in Bretagna, un consistente patrimonio in titoli ed azioni, più vari beni di famiglia ed un ricco conto corrente bancario. Leda non era figlia unica, ma suo fratello maggiore , Albert, di tre anni più anziano della sorella, era scomparso, a quanto pare, in circostanze piuttosto tragiche: era annegato in un lago delle Alpi francesi durante una delle tradizionali vacanze estive che condivideva col padre e con la sorella.

Così Leda era rimasta sola al mondo ed ereditiera universale del patrimonio di famiglia.

Il dottor Dupuis aveva scorto la sua paziente al bordo del laghetto e le si era avvicinato con la solita aria gioviale e di buon umore, un atteggiamento ostentato per comunicare un briciolo di ottimismo ad un carattere visibilmente introverso e depressivo.

– Buon giorno, mia cara, come stiamo oggi ? Dormito bene ? E’ una bella giornata; ha fatto bene ad uscire all’aria aperta. Cosa mi racconta?

– Oggi , va meglio, dottore, ma l’altra notte ho fatto ancora quell’orribile sogno. Uscivo sulla terrazza per ammirare il volo degli uccellini ed all’improvviso un’aquila scendeva giù dal cielo in picchiata, sbucando dalle nubi e faceva strage dei pennuti, poveretti! Io, nel sonno , tentavo di gridare ma l’orribile scena è continuata fino al mio risveglio che è avvenuto in affanno ed in angoscia. E quando , nella mia stanza, sono arrivati gli infermieri, gridavo sul serio a squarciagola…

– Sì, certo, sono al corrente dei suoi incubi. Neppure gli ansiolitici sembrano giovare molto. Ma stia tranquilla , troveremo l’origine della sua ansia. La guariremo, vedrà.

– Ho piena fiducia, dottore! affermò Leda.

Le sedute psicanalitiche si svolgevano nelle prime ore pomeridiane, quando la mente dei pazienti era già incline ad una sorta di dormiveglia . Il metodo di analisi era – come si è detto – di ispirazione freudiana tradizionale, ma senza ricorso, almeno da parte del dottor Dupuis, all’ipnosi. Leda raccontava episodi dell’infanzia apparentemente anodini ed insignificanti. Le prime esperienze adolescenziali nel collegio delle Orsoline. “Esperienze” limitate a fugaci sguardi verso i rappresentanti dell’altro sesso, quando le collegiali, tutte incolonnate in buon ordine, venivano condotte attraverso il paesino in cui sorgeva l’austero ed tetro edificio del collegio per una passeggiata nei boschi o per recarsi alla messa nella adiacente chiesetta, scortate da una suora dall’aria decisa e che pareva una chioccia con i suoi pulcini.

Uscita di collegio, Leda aveva vegliato sul vecchio padre, coadiuvata da una numerosa servitù (maggiordomo, cuoca e cameriera tuttofare). Dopo la scomparsa del fratello Albert le era rimasta ancor più vicina. Leda era stata molto legata al fratello e della sua improvvisa, tragica , morte ancora adesso non sapeva darsi pace. Ma nel passato della fanciulla vi erano punti oscuri, zone d’ombra che il metodo freudiano non riusciva a mettere in luce. La primavera inoltrata stava cedendo il passo all’estate e le visite di Leda ai suoi cigni, alle oche ed alle anatre si facevano più frequenti data la bella stagione. Non fu durante un’analisi all’interno dell’austero edificio, bensì sul bordo del laghetto che un giorno, all’improvviso, il dottor Dupuis, conversando con Leda e, ricevendone alcune confidenze, credette di aver trovato il bandolo della matassa.

La conversazione era scivolata sulla figura del fratello Albert. Veniva alla luce un personaggio dello stile “dandy”, un vero perdigiorno. Leda lo ricordava nei caffè del suo villaggio bretone, mentre faceva lunghissime partite a carte in locali saturi di fumo con i suoi poco raccomandabili amici. Si dilungò a narrare allo psicanalista i rientri a casa a tarda ora del fratello scapestrato, le accese dispute col vecchio generale, insofferente alla vita disordinata del figlio. Quest’ ultimo, spesso ubriaco, che provocava scandalo su scandalo nel paesetto di poche anime.

“Sì, vivevamo tutti in una situazione imbarazzante” ammise la giovane nell’evocare gli avvenimenti occorsi nella casa paterna. Eppure, lei era molto affezionata al fratello. Erano cresciuti insieme, avevano giocato insieme, erano molto uniti. Poi, Albert aveva cominciato a frequentare gente poco raccomandabile, a scuola non aveva combinato molto, una delusione sempre più cocente per il vecchio generale Dubois. Forse anche qualcosa di peggio di una semplice delusione. Una vera e propria spina nel cuore.

Nelle conversazioni successive e durante le sedute analitiche, il giovane psichiatra si convinse sempre più che l’allontanamento di Leda nel collegio diretto dalle suore era dovuto alla volontà paterna di evitarle l’esempio deteriore e poco edificante della condotta del fratello. E quando, terminati gli studi, era tornata a casa, di Albert non vi era più traccia.

“Ha lasciato la Bretagna – le aveva spiegato con tono spazientito il padre – è andato sulle Alpi, in un villaggio della Savoia.

Credo gestisca una sorta di club per i turisti. Ma di lui non so altro. Forse lo vedremo per le vacanze anche se , francamente, preferirei non incontrarlo mai più”.

E invece, quando il generale e la figlia erano partiti per le vacanze estive nella solita località savoiarda ai piedi delle Alpi, Albert era ricomparso all’improvviso.

“Lo accolsi a braccia aperte. Non lo vedevo da tanto tempo, da quando ero andata in collegio – raccontò Leda al dottor Dupuis – anche lui mi accolse affettuosamente, ma il gelo tra mio padre e mio fratello, invece, persisteva come sempre. Si salutarono appena , quel giorno. E, nelle giornate successive, si evitavano. Finché io, insistendo riuscii a convincerli a trascorrere qualche breve periodo di tempo assieme. Eravamo vicini ad un lago ed entrambi, ricordo, avevano la passione della pesca… Oh! Mio Dio!”

A questo punto , mentre raccontava dell’hobby dei suoi congiunti, Leda fu colta da una terribile crisi. Il dottor Dupuis fece appena in tempo ad afferrarla perché la fanciulla era svenuta e , trovandosi quasi sul ciglio del laghetto, aveva rischiato di finire in acqua. Portata a braccia dal dottore e soccorsa dagli infermieri, si era risvegliata nella sua stanza con a fianco il primario ed il giovane analista.

“Che cosa mi è accaduto , un nuovo attacco ?…”

“Semplicemente siete svenuta – rispose il primario – ed il dottor Dupuis che subito vi ha soccorsa, impedendovi di cadere in acqua ha una sua teoria sulle cause dei vostri attacchi. Ma di ciò riparleremo in una delle prossime sedute. Adesso, riposate. Ci rivedremo domani.”

Dupuis, uscendo dalla stanza la saluto’ con un rassicurante: “State tranquilla, troveremo la cura”.

L’indomani le condizioni della paziente apparvero quasi normali a parte una prostrazione che la costrinse a mantenere il letto.

Il dottor Dupuis aveva una sua teoria, ma doveva andare a fondo, verificare tutti gli elementi dell’intricatissimo “puzzle”. Questa è , a ben vedere, la psicanalisi: una ricostruzione, accurata e metodica, di un intricatissimo “puzzle” , un filo d’ Arianna per addentrarsi, senza perdersi, nei meandri della mente, nel labirinto percorso dall’inconscio. Il giovane psichiatra “sentiva” che la nevrosi della sua paziente era presumibilmente radicata nei suoi rapporti con il padre forse troppo severo, con il fratello sicuramente uno sfaccendato buono a nulla. Ma come era morto il fratello di Leda, Albert ? Lì risiedeva quasi certamente la chiave del mistero e, auspicabilmente, la via da percorrere per ottenere la guarigione della giovane.

Col permesso del primario della clinica, il dottor Dupuis si mise in contatto con gli archivi di alcuni giornali della Savoia, via Internet. Aveva ottenuto il nome della località in cui il giovane aveva trovato la morte e si era anche rivolto alla gendarmeria del posto, spiegando chi era ed il perché della richiesta di ulteriori informazioni. I quotidiani di quel periodo riferivano di una morte accidentale, senza fornire molti particolari. Una versione confermata ufficialmente dai brevi rapporti della gendarmeria.

Albert era annegato nel lago, cadendo da una barca. Non sapeva nuotare ? Il vecchio generale Dubois aveva sostenuto che il figlio amava andare a pesca (lui stesso gli aveva insegnato i trucchi del mestiere che per il ragazzo, ovviamente, era un hobby come lo era per il vecchio militare) ma quanto al nuoto era appena un dilettante e, in realtà, riusciva più che altro a rimanere a galla.

Una parte di verità venne invece alla luce all’improvviso dalla bocca di Leda.

Il dottor Dupuis era ormai abituato a tenere le sedute psicanalitiche con la giovane paziente ai bordi del laghetto dei cigni e durante uno di questi incontri, il terapeuta decise di giocare la carta decisiva.

“Così suo padre e suo fratello amavano andare a pesca…” disse ad un tratto con tono discorsivo e distratto, invitandola a proseguire per completare la frase.

“Sì, ma ciascuno per proprio conto. Dopo i trascorsi e mai sopiti dissapori facevano entrambi del loro meglio per evitare di restare soli. Da ragazzo, Albert aveva appreso i segreti dalla pesca da papà…”.

La conversazione sembrava esaurirsi quando, all’improvviso, Leda ebbe un’altra crisi nervosa. Fissava i cigni e gridava.

“Quel cigno nero si sta annegando. Vi supplico: aiutatelo!”

Il dottore aveva lanciato un rapido sguardo ai cigni; quattro bianchi e due chiazzati di nero, ma, naturalmente, non vi era il minimo segno di pericolo…di “annegamento”!

I cigni, con portamento maestoso, scivolavano agili e silenziosi sulla superficie dell’acqua, ignari di tutta quella agitazione sulla riva. Le grida avevano attirato solo la loro curiosità ed avevano girato altezzosamente il capo in direzione di Leda, le cui grida avevano maggiormente allarmato anatre ed oche.

Anche in questa occasione, la paziente si era risvegliata nella sua stanza in clinica, attorniata dai suoi terapeuti.

“Tra il padre ed il fratello di Leda – confidò il dottor Dupuis al primario – dev’essere accaduto un fatto davvero brutto. Cercherò di scoprirlo e, naturalmente, lei sarà il primo ad essere informato delle mie osservazioni. Sento di essere vicino alla soluzione dell’enigma. Se riuscirò a far riemergere il trauma, la nostra paziente sarà più vicina alla guarigione. Probabilmente, la svolta è vicina.

La svolta, infatti, giunse quando Leda, durante una seduta di analisi psicanalitica, descrisse la scena di cui era stata testimone oculare. In stato di perenne trauma psichico, l’aveva completamente rimossa, quella scena , che aveva condotto la sua mente nel labirinto della nevrosi.

“Uscirono assieme, quella mattina, mio padre e mio fratello per recarsi a pesca. Io rimasi nello chalet, ripromettendomi di raggiungerli più tardi, nelle vicinanze del lago dove avrei atteso, passeggiando, il loro ritorno.”

“E che cosa accadde ?”

“Quando arrivai in riva allo specchio d’acqua vidi da lontano mio padre ed Albert sulla barca. Mi parve che stessero litigando. Ma con certezza non potrei affermarlo. Poi d’un tratto la barca si rovesciò. Soltanto mio padre riuscì a salvarsi a nuoto; di mio fratello non si scorgeva più alcuna traccia.”

Ricordare per la psicanalisi significa compiere il primo passo verso la guarigione e Leda ricordò, poco a poco ed in tal modo, lentamente, migliorò fino a quando i responsabili della clinica la dichiararono guarita. La chiave dell’interpretazione di un sogno aprì la “gabbia mentale”. Leda sognava spesso di quell’aquila che piombava dal cielo e faceva strage di uccellini, ma quando l’aquila onirica catturò il cigno nero per lasciarlo ricadere , esanime, nel lago, per Demalle e Dupuis non vi furono più dubbi. Leda aveva assistito da lontano alla scomparsa di Albert e, a torto o a ragione, ne aveva incolpato il padre. Com’erano andate realmente le cose ? Mistero. La gendarmeria locale aveva creduto alla versione del generale (“Non ho potuto far nulla per salvare mio figlio. Credevo stesso nuotando dietro di me…”).

Ricordare , per la psicanalisi , significa compiere il primo passo verso la guarigione. E Leda, poco a poco, ricordò gli avvenimenti che aveva rimosso. Migliorò fino a quando i responsabili della clinica, il dottor Dupuis in testa, la dichiararono guarita.

Anche se i sospetti sul generale rimasero (aveva ucciso lui Albert?) i responsabili della clinica seppero da informazioni ricevuto dalle autorità della Savoia che il caso era stato archiviato e la scomparsa del giovane per annegamento definita accidentale. Il vecchio generale, del resto, era morto e anche se le cose fosse andate così per colpa sua non vi era più un colpevole. Caso chiuso in tutti i sensi.

Sul treno che la riportava a casa, in Bretagna, Leda rifletteva sulla presunzione della scienza, o meglio di certa scienza. Il metodo psicanalitico era noto a tutti, specialisti e profani, La teoria del trauma nascosto che provoca la nevrosi era elencata in tutti i testi divulgativi, a partire dalle prime scoperta di Freud sulla guarigione dalle crisi isteriche, attraverso l’ipnosi. Non vi era sintomo, non vi era “transfert”, non vi era “simbolo” che non fosse stato ampiamente illustrato e descritto dal fondatore della psicanalisi e dai suoi seguaci, come Carl Gustav Jung. Le biblioteche di tutto il mondo era stracolme di “sensi di colpa” di “complessi di Edipo”, di traumi psichici di vario genere e della più svariata natura.

Si stupiva persino, la giovane, della facilità con la quale aveva messo nel sacco i principali responsabili della clinica psichiatrica.

-L’aquila che piomba sugli uccelletti! – sogghignò Leda comodamente appoggiata allo schienale della sua carrozza di prima classe, mentre il paesaggio monotono della campagna le sfilava davanti – Era così ovvio il riferimento alle aquile dorate dell’impero romano, da sempre simbolo di legioni militari. Rappresentazione freudiana ideale di un generale o perlomeno di un alto grado di un esercito. Ridacchiando tra sé e sé, nel vagone in cui viaggiava sola, la bella Leda ripensò con compiacimento al particolare del cigno nero che si annega. Colpo da maestra, mormorò quasi alzando la voce.

Certo, quel dottor Dupuis più che un analista pareva un confessore. Tra ingenuità, inesperienza, sufficienza presuntuosa, se l’era bevute tutte le frottole che gli avevo propinato, pensò soddisfatta.

Diamine! Era lei, e non suo fratello Albert, la “bestia nera” della famiglia, la pecorella smarrita che neppure le Orsoline erano riuscite a riportare all’ovile. Nessun figliol prodigo, in casa sua. Albert era stato nella sua non lunga esistenza un galantuomo , un modello di correttezza ed integrità sull’esempio del padre. Voleva molto bene, pover’uomo, alla sorella irrequieta e ribelle.

Aveva cercato in tutti i modi di farle intendere ragione affinché non frequentasse le peggiori compagnie. Avrebbe voluto evitarle l’allontanamento in collegio, ma il vecchio generale era stato inflessibile e risoluto:”Quella va dalle Orsoline! Peccato che sia solo un collegio dell’epoca moderna. In altri tempi, quella lì sarebbe finita in convento, tra le monache di clausura!”

Nessun dissapore tra padre e figlio, ma un’intesa che veniva attenuata solo per ciò che riguardava Leda:”Non essere troppo severo con lei, è rimasta come me orfana di madre e forse le cose sarebbero andate diversamente se la mamma fosse stata presente.”

“Può darsi – replicava il generale – ma non è colpa mia se Leda frequenta i peggiori ragazzi del villaggio, persino le sue amiche l’hanno abbandonata. Quelle che frequenta sono come lei o anche peggio!”

E sul treno che la riportava a casa, la bella fanciulla ricordava la storia, la “sua” storia. Il sodalizio con quel furfante di Jean Paul, lenone e spacciatore di droga, poco di buono che era finito in carcere per molti, molti anni. Anche lei si era presa la sua brava condanna ad alcuni mesi per spaccio di droga. Le scorribande per il paese, i furti, una volta addirittura una piccola ma movimentata rapina ad un benzinaio. E di nuovo un arresto per un breve periodo , ma con la fedina penale macchiata Quelli sì che erano gli “anni ruggenti”. Il padre per farla ammettere al collegio delle Orsoline aveva dovuto fare carte false. Ma tanto non era durata: l’avevano espulsa.

La mancanza della madre. Beh, sì. Ma anche la santa donna, prima di morire, aveva passato le sue con lei. Altro che ! Un vero “dono” di natura quello di combinarne di tutti i colori.

La morte di Albert ? Sì, quello fu un vero incidente. Ma su quella barca, andata a fondo, c’era lei e non suo padre che era rimasto nello chalet. Il fratello era ai remi. Di cosa avevano parlato ? Delle solite cose, di lei che si comportava male, del padre che ne soffriva. Il fratello che la esortava a cambiar vita. Lei che rispondeva: “Che palle! Ma quand’è che tu e papà la smettete di rompere ?”

Poi un’idea. Con un gesto di stizza , aveva replicato alle esortazioni del fratello: “Adesso – aveva esclamato con tono melodrammatico – mi butto e la faccio finita. E giù il tuffo in acqua. Non era nient’altro che uno stupido scherzo per lei esperta nuotatrice. Ma Albert, natura impulsiva e generosa, non ci pensò due volte, senza neppure il tempo di riflettere. La barca si capovolse per un suo brusco ed inesperto movimento ed egli si tuffò a soccorrere quella scriteriata, folle della sorella. Lui, nuotatore più che mediocre. Leda, senza pensare troppo alle conseguenze del suo gesto, aveva cominciato a nuotare

con stile e sicurezza verso riva, non accorgendosi neppure del fatto che Albert annaspava alle sue spalle, mentre la barca, rovesciata, lentamente, colava a picco. Albert, colto dal panico, si rese conto che la riva era dannatamente distante per le sue forze. Solo allora, si decise a gridare fievolmente “Aiuto!”…

Dapprima, Leda non udì e quando udì era troppo tardi. Voltatasi vide il fratello scomparire tra i flutti. Si girò di scatto e con disperate bracciate cercò di colmare la distanza che , inesorabilmente, la separava dal fratello. Leda, come impazzita, si tuffò, una , due, dieci volte. Ma non trovò traccia del fratello, il lago ne restituì solo pochi giorni dopo dopo accurate ricerche il cadavere.

Il generale, sapendo che la figlia aveva avuto già sufficienti guai con la giustizia, disse subito agli inquirenti che sulla barca con Albert c’era lui. Che aveva cercato di salvarlo, come in realtà aveva fatto Leda, ma invano.

Non voleva che sussistesse un’ombra di dubbio sul comportamento della figlia che avrebbe dovuto raccontare dello scherzo, tramutatosi in tragedia. Dati i suoi precedenti avrebbero anche potuto incriminarla per omicidio colposo o omissione di soccorso. Vatti a sapere quando una ragazza ha avuto a che fare precedentemente con la giustizia, tutto può accadere.

Così il generale si addosso la responsabilità dell’incidente: sono caduto in acqua, quando mio figlio con un brusco movimento ha fatto rovesciare la barca sulle acque già agitate del lago. Insomma, una disgrazia. Ignoravo che fosse così poco pratico di nuoto. Io nuotavo davanti a lui, credevo mi seguisse. E invece…

Insomma, una versione improvvisata di comodo, per coprire l’inammissibile comportamento di Leda ed il timore di vederla incriminare per omicidio.

La gendarmeria della località turistica della Savoia aveva concluso la breve inchiesta con una logica “morte per cause accidentali”. Ma pochi mesi dopo il padre era morto di crepacuore.

Leda non aveva voluto rientrare subito al villaggio in Bretagna, avrebbe sollevato troppe chiacchiere quella scomparsa del fratello in circostanze così misteriose, chi la conosceva bene avrebbe anche potuto sospettarla di averlo fatto annegare apposta. Insomma, meglio non farsi vedere troppo in giro. Non era rientrata nella dimora paterna, ma aveva intrapreso a viaggiare. Era tornata solo per pochi giorni in occasione dei funerali del padre e poi, prima che nel villaggio si cominciasse a parlare , anzi a sparlare , di lei, si era eclissata di nuovo.

Come un colpo di genio per tagliar corto alle critiche ai “si dice”, alla gente che mormora, le era venuta in mente la sceneggiata del turbamento psichico, meglio far credere a quei chiacchieroni del villaggio bretone che, per il dolore, le era partita qualche rotella che essere perennemente additata come la responsabile della morte del fratello ed , in fondo, del padre cui aveva finito per spezzare il cuore. Bah. Meglio mezza matta che tutta in galera. E se avessero, quelli della Savoia, riaperto l’inchiesta ? Se fosse saltato fuori che su quella barca c’era lei . Vallo a raccontare, dopo, che si era trattato di uno scherzo stupido finito male !

No, meglio scomparire. Farsi dichiarare insana di mente e poi, trascorso un bel po’ di tempo, guarita. Adesso, potevano dire di lei: “Chissà, in fondo, aveva un cuore, poverina, la scomparsa del fratello e poi del padre l’hanno fatta quasi impazzire!”

Adesso, pensava mentre il treno correva verso la sua destinazione, non le restava che tornare al suo paesetto, in Bretagna , ed occuparsi delle sue ricchezze e delle sue proprietà. L’eredità cospicua era tutta sua.

In fondo, il peso delle sue nuove responsabilità finanziarie, l’avevano fatta davvero rinsavire. Una cosa aveva giurato di fare per dare almeno una soddisfazione postuma al fratello e al padre: mettere la testa a posto. Eppoi che ormai la sua testa era davvero a posto l’avevano dichiarato ufficialmente gli psichiatri della clinica “Lac des cygnes”. Un riconoscimento, come dire? Ufficiale.

 FRANCO IVALDO

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