Profumo di letame

Profumo di letame

Lo sanno tutti cos’è una concimaia, ma vale ricordarlo

Profumo di letame
Ci piace scegliere. Ci fa sentire importanti. Entrare in un negozio e comprare una sciarpa grigio chiara anziché grigio scura ci dà grande soddisfazione. Poi si può passare tutto il tempo che si vuole, con gli amici, con la propria famiglia, a motivare razionalmente quella scelta. Si potrà dire di averla presa perché si abbina con questo o con quest’altro. Si potrà dire che avevamo proprio bisogno, necessità di QUELLA sciarpa. Lo stesso vale con gli alimenti: nel supermercato soppesiamo e valutiamo attentamente il prezzo, la convenienza, la confezione, gli ingredienti. E siamo pure convinti di comprare bene. Ci mettiamo impegno per questo. E ne abbiamo una bella soddisfazione. Naturalmente chi ci fornisce il servizio (negozio o supermercato) conosce bene tutte le dinamiche, e ci spinge delicatamente a comprare verso un certo prodotto.


I motivi degli acquisti che facciamo, rassegniamoci, sono sempre emotivi. E la nostra parte entusiasta che ci fa comprare, mentre la nostra parte logica (che viene dopo) serve a costruire tutta la motivazione di una scelta che in realtà non c’è.

Nel comparto alimentare hanno sempre più successo i prodotti biologici. Sono confezionati in maniera molto più attenta degli altri. Non solo come qualità dell’involto, ma anche come colori, caratteri, definizioni, slogan. Il biologico ha a che fare con l’immagine (ormai quasi stereotipata) di una mamma di vent’anni vestita e pettinata come una signora di sessanta, sposata evidentemente con un atleta facoltoso di trenta, con due, tre figli che scoppiano di salute e dalla voglia di ridere e studiare. La ventenne in parola sceglie bio! Per lei, per la sua famiglia, per la salute di tutti e anche per il bene del mondo.

Si, forse è vero: i prodotti bio hanno un minor impatto ambientale, sono allevati, coltivati e prodotti cercando di non ricorrere a medicinali e sostanze chimiche che potrebbero essere dannose all’uomo. Ci sono enti preposti alla vigilanza, per cui chi usa il marchio bio deve effettivamente seguire certi disciplinari di produzione e confezionamento.

Certo, noi consumatori possiamo scegliere. Ed è questo, dicevamo, che ci rende soddisfatti del nostro acquisto. Bio costa caro, ma la famiglia giusta mangia bio. La donna giusta, per la sua famiglia, compra bio. La persona che vuole bene al pianeta compra bio. Non hai i soldi? Risparmia. Rinuncia a qualcosa, considera i vantaggi. Sceglie. E dalla scelta verrà altra soddisfazione.

Tutto un mercato costruito sull’effimero.

Mentre leggiamo dei benefici del mondo biologico, veniamo a sapere che la vita del contadino (e cioè il primo attore del prodotto bio) è sempre più dura, complicata e faticosa. A meno che non voglia adattarsi e fare l’imprenditore agricolo: grandi stalle, monoculture, meccanizzazione, automazione, sementi selezionate acquistate da società specializzate, mangimi (bio) bilanciati, trattamento dei liquami di stalla per mezzo di un depuratore (quanto mai opportuno).

 

E così il contadino non tocca più la terra. Lavora tra papiri e scartoffie, per richieste di autorizzazioni e prebende agli enti preposti. Lavora nei campi solo sul trattore, o sulla trebbia (tra l’altro, sapevate che è necessario un patentino apposta per condurre un trattore? Anche per il piccolo orticello famigliare, la burocrazia impera e causa danno, e soprattutto nessun vantaggio). Ma per star dietro a tutto deve pure assumere stagionali (o anche meno…). Questo tipo di produzione (biologica certificata e assicurata finché si vuole) non ha più nulla da spartire con il contadino.

Tanto più in questo pezzo d’Italia, dove viviamo, la terra la si lavorava a partire dalla cascina: unità produttiva centrale a conduzione famigliare. Casa, stalla, fienile, pollaio, forno, pozzo e spesso pure un pilone, una cappelletta votiva. La famiglia era al centro (e mi si permetta di dire qui, per breve inciso, che la famiglia “tradizionale” in una cascina, era formata da una quindicina di persone, tra vecchi e bambini…) ed ognuno collaborava secondo le sue capacità.

Il rapporto effettivamente biologico dell’uomo con la terra era questo, per cui la cascina produceva cereali per sé, da vendere, da seminare, e infine da alimentare le bestie. Le bestie erano mantenute al riparo, producevano latte, lavoro e letame per coltivare i campi. I campi si mettevano a riposo per avere il fieno da dare alle bestie. Nel bosco si prelevava la legna da riscaldarsi e cucinare. Gli eccessi di produzione erano scambiati (venduti) ad altri e con i soldi si poteva acquistare quel che la campagna non poteva produrre: abiti, medicine, libri, sale, pesce, fucile, utensili, stoviglie…

Se uno di noi cittadini amanti del bio, si ritrovasse a comprar casa in un vecchio borgo di contadini, che ne direbbe di ritrovarsi nelle vicinanze una concimaia?


Ora, lo so che lo sanno tutti cos’è una concimaia, ma vale ricordarlo: si tratta di una vasca (in genere di cemento) dotata di un drenaggio nella parte inferiore, nella quale vengono accumulati gli escrementi degli animali (generalmente vacche) e parte della paglia delle lettiere, per tutto il periodo in cui non si concimano i campi. Questo letame così accumulato si compatta e comincia a fermentare con una reazione che sviluppa calore. Quando viene smosso per essere portato nei campi, nelle semine autunnali o del tardo inverno, si possono vedere queste pile fumanti, dal vapore che sprigionano nell’aria gelida.

Vi fa schifo? Provate disgusto? Allora provate schifo e disgusto proprio per il biologico. Perché questo letame, di stalle piccole a conduzione famigliare, con due o tre bestie, ha un odore marcato, ma che non è rivoltante. Non lo è mai stato. È anzi un odore grato per le narici di chi coltiva la terra. La parola stessa: “Letame” deriva da lætare cioè allietare, quel che fa lieti i campi.

Se si costruisce un allevamento intensivo per riuscire a contenere i prezzi di produzione e soddisfare la richiesta (insensata!!) dei consumatori per avere carne tutti i giorni, allora bisogna ricorrere a sistemi tali per cui anche lo sterco di quelle vacche allevate industrialmente, deve essere della giusta consistenza, e devono evacuare con una certa frequenza, e non si devono ammalare, e devono mangiare il mangime bilanciato appropriato. E alla fine il loro letame è un liquame puzzolente e ingestibile, rivoltante. Ma tenuto lontano dalle case e dalle città, per non disturbarne gli abitanti. E magari a questo punto diventa pure un rifiuto speciale, e non più allietamento dei campi.

Ma non temete! Le concimaie delle stalle a conduzione famigliare, nei borghi rurali, sono vietate! Che orrore sarebbe vederne una! Che scempio!

Invece in Svizzera sono ammesse. Strano, no? Perché è sempre il COME si conduce un certo attrezzo, comportamento, consuetudine che fa la differenza. Non l’oggetto di per sé. Perché è l’ignoranza che crea barriere, e ci fa scegliere tra quel che altri ci fanno scegliere, illudendoci anche di essere liberi.

Alessandro Marenco

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