Politica nazionale

QUESTIONE POLITICA E QUESTIONE MORALE:
L’ETERNO RITORNO DEL SEMPRE UGUALE?

QUESTIONE POLITICA E QUESTIONE MORALE:
L’ETERNO RITORNO DEL SEMPRE UGUALE?
 

L’attualità ci richiama, proprio in questi giorni, ad un argomento che ci à già capitato tante volte in passato di affrontare: la questione morale e l’intreccio fra questa e la questione politica.

I fatti ci richiamano in questa direzione: la operazione su vasta scala, a livello di tutto il territorio nazionale compresa la Liguria, con gli arresti di esponenti di spicco della n’drangheta con relativo corollario di vicende legate all’acquisizione di appalti, sospetti di voto di scambio, ecc; ed i fatti legati alla cosiddetta “P3” e ai “quattro (o tre) pensionati”, tanto per riassumere all’osso.

Qualche mese fa ci eravamo posti questa domanda: cosa si rileva di diverso del passato?

Da un certo punto di vista qualcosa è cambiato anche se l’organizzazione del rapporto di affari tra politica, imprenditoria, amministrazione più o meno appare inalterata (nelle intercettazioni rese pubbliche pare riecheggiare il fatidico: “A Fra’ che te serve?”, in certi passaggi giustificazionisti pare tornare di moda “la macchia nera su di un vestito bianco” dal titolo di Rinascita, nel 1985, quando si tentò di denunciare la malversazione imperante negli Enti Locali imperniata su di un distorto ruolo “pivotale” del PSI che le vicende Biffi Gentili a Torino e Teardo in Liguria avevano disvelato, ma della quale non si voleva prendere coscienza per timore di alterare il quadro delle alleanze nel Comuni, nelle Province e nelle Regioni: solo sette anni dopo il “mariuolo” Mario Chiesa consentì di mettere allo scoperto gran parte del traffico).

Così come appartengono all’eterno ritorno del sempre uguale gli intrecci tra malavita organizzata, imprenditoria da “riciclaggio” e politica a livello locale, anche in zone geograficamente lontane da quelle del Sud, laddove intere parti del Paese appaiono in mano alle varie cosche.

Non è una novità, davvero, questo tipo di penetrazione al Nord.

Così come non è nuovo, il rovesciamento di ruolo tra poteri forti dell’imprenditoria e personaggi politici, basato non più sulle tangenti ma sull’asservimento (come ha notato Carlo Galli su “Repubblica”: ma si tratta di un fenomeno che, perlomeno in sede locale, abbiamo già avuto occasione di osservare almeno da qualche tempo).

Enucleiamo però alcuni elementi di evidente “diversità” rispetto all’epoca di Tangentopoli, ed anche rispetto alle vicende di qualche mese fa, quando partì l’offensiva anti-intercettazioni: il “ceto politico” coinvolto pare proprio muoversi, in un quadro complessiva da “basso impero”, in una logica di regime comprensiva delle dimissioni “pilotate” in maniera oscura, di “impunità comunque”, proprio perché il consenso popolare (al di là degli indici di gradimento) appare ben saldo: evidentemente a destra emerge una analisi della società italiana come in piena crisi morale, con una borghesia impoverita ed impaurita, vero e proprio “ventre molle” e   i ceti del lavoro dipendente dispersi e polverizzati: soggetti incapaci di proporre una alternativa, in un quadro assolutamente disastrato dal punto di vista politico.

In questo ambito il Presidente del Consiglio può permettersi di proclamare la lotta al “giacobinismo” e va avanti nella prospettiva di stabilizzazione di un regime populistico, dai margini davvero ridotti sul piano del confronto democratico e del superamento “de facto” della Costituzione Repubblicana (alla faccia delle idee di “larghe intese” e di “condivisione”).

La crisi vera appare essere allora quella del tessuto morale, culturale, civile; un tessuto sul quale hanno fatto sfracelli la logica devastante della Lega ormai imperante da anni e in via di trasferimento dalle tradizionali regioni di appartenenza, il tracollo dei partiti politici, l’idea di una “politica di cartello” basata sui privilegi di un ceto, con il drammatico rimando ad una presunta investitura popolare ( hanno concorso a creare questo stato di cose anche l’idea della “vocazione maggioritaria”, la logica delle “primarie”, il tentativo di imitazione di meccanismi politico – istituzionali totalmente fuorvianti rispetto al “caso italiano”, la mancata battaglia per una idea di “Europa Politica” che stabilisse un confine, di metodo e di merito, per ben distinte entità politiche, davvero alternative).

All’interno di tutto ciò c’è chi (anche dalla parte dell’opposizione) sparge a piene mani il veleno della cosiddetta “anti-politica”. Una idea dell“anti-politica” sparsa a piene mani, de resto, anche in passato, per far sì che dalla “questione morale” emergessero i fattori determinanti di uno spostamento complessivo a destra, le cui componenti abbiamo già citato e che ripetiamo: populismo, personalizzazione della politica, cooptazione dall’alto e/o “dal basso” se guardiamo ai criteri di selezione del ceto dirigente, cui ovviamente non possono opporsi le “primarie all’italiana” che, fra l’altro, non si fanno proprio nelle occasioni in cui potrebbero anche avere un senso, al di là del nostro personale giudizio negativo sullo strumento in sé; giudizio ancora più negativo per l’assenza dei minimi strumenti di garanzia che il PD rifiuta di adottare quando decide di usare quest’arma a doppio taglio.

Non basta per fronteggiare questo stato di cose, assai grave, quella che è stata definita “bella” o “buona” politica: in particolare quando si presume di esercitare questa “buona politica” attraverso strumenti indefiniti nella loro identità politico -organizzativa, basati proprio sull’uso della personalizzazione e del populismo.

Serve, invece, prima di tutto l’ingresso sulla scena politica italiana di un soggetto che manca: un soggetto in grado di indicare, in prospettiva, un diverso modello di società, di relazioni politiche, economiche sociali.

Un soggetto dove l’interesse pubblico e collettivo prevale, che non sia “un’isola”, si confronti con il resto, ma si realizzi comunque attraverso strumenti di agibilità dell’azione politica in modo da tenere assieme la partecipazione, la rappresentanza, la capacità di direzione.

Forse, per arrivare ad ottenere un risultato in questa direzione, dovremo passare per una fase complessa, scenari inediti, incroci e rotture, ma è necessario partire tentando un primo nucleo di “unità a sinistra” ed usiamo volutamente la parola “sinistra” con un richiamo di carattere storico che mi pare, a questo punto indispensabile, come cercheremo di argomentare di nuovo più avanti.

Serve un partito che intrecci assieme questione politica e questione morale, nell’accezione in cui Machiavelli distingue i partiti dalle fazioni (portatrici di disordini), quali portatori degli “umori sociali”: un partito portatore, insieme, di una ragione universale e strumento per l’intervento nelle istituzioni ed, insieme, punto di coagulo del blocco sociale più avanzato.

La nostra esperienza, quella della sinistra italiana del ‘900, l’esperienza delle organizzazioni storiche del movimento operaio, dei socialisti, dei comunisti, delle rispettive “eresie” di sinistra, non può, sotto questo aspetto, essere gettata al macero, ignorata, cancellata dalla memoria storica di un Paese che ne ha, invece, assoluto bisogno.

Abbiamo ceduto su questo terreno; abbiamo ceduto al corporativismo e ad una idea, sbagliata, di democrazia diretta di tipo sostanzialmente “referendaria” (non a caso tutte le ultime tornate elettorali in Italia, sono state praticamente dei “referendum” su di una persona).

Occorre questa idea di partito, comprendendo appieno come quella che è stata definita “partitocrazia” (da Maranini) può essere superata soltanto tornando alla piena rilevanza della rappresentanza politica collettiva.

A questo modo, nel recupero di questo tipo di idea di partito, può sciogliersi in positivo l’intreccio tra “questione politica” e “questione morale”, interpretando la crescente complessità sociale nella forma della tensione al cambiamento ed impedendo che il definitivo crollo della partecipazione politica apra la strada al trionfo finale dei “corpi separati”.

Savona, 14 Luglio 2010                                                         Franco Astengo

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