Politica

MILIONI DI FIRME, CULTURA POLITICA,
LEGGE ELETTORALE

MILIONI DI FIRME, CULTURA POLITICA,
LEGGE ELETTORALE

 

In queste ore sono state presentate alla Corte Costituzionale oltre un milione di firme (stima degli organizzatori) per richiedere l’indizione di un referendum abrogativo sulla legge elettorale.

 
 Un risultato politico sicuramente importante, attorno ad un tema sul quale molto si è dibattuto negli ultimi tempi senza che si riuscisse a trovare, da parte delle forze parlamentari, una soluzione al riguardo del superamento dell’attuale sistema che, molto sbrigativamente, tanto per formulare un giudizio di sintesi può ben essere considerato il peggior sistema mai escogitato in una (presunta) democrazia di stampo occidentale.

 

 

Non elenchiamo qui tutti i difetti e i limiti dell’attuale sistema, occuperemmo uno spazio eccessivo: basterà ricordare come il punto relativo alle liste bloccate e alla conseguente predeterminazione da parte dei potentati di partito (con annessi e connessi, cordate e quant’altro) dei membri del Parlamento ha rappresentato il punto vero sul quale è andato completamente in pezzi il già fragile equilibrio (minato da Tangentopoli e da tutti gli altri scandali oltre che da un processo esasperante di personalizzazione della politica, giunto anche a sinistra alla soglia del “culto della personalità” di antica tradizione) nel rapporto tra cittadini e istituzioni, causando un vero e proprio cortocircuito.

Bene quindi tentare di superare questo stato di cose.

Non va dimenticato, però, che il referendum abrogativo che si sta proponendo in questo momento riporta le cose alla legge del 1993 (misto maggioritario al 75%, proporzionale al 25%, con collegi uninominali e – ancora – liste bloccate per la parte proporzionale, più soglia di sbarramento, scorporo, liste civetta, ecc.) utilizzata per le elezioni politiche del 1994 (vittoria del Polo delle Libertà e del Buon Governo) 1996 (vittoria dell’Ulivo con l’apporto della “desistenza” attuata dal PRC) 2001 (vittoria della “Casa delle Libertà”, comprensiva di FI, AN e UDC).

Un sistema che ha aperto la strada allo squilibrio nel rapporto tra governabilità e rappresentanza, all’ulteriore incremento nel processo di personalizzazione della politica (a livello nazionale e locale) e al fenomeno dei candidati “paracadutati” nei collegi considerati “sicuri” da una parte e dall’altra, con la più completa ignoranza del principio relativo al rapporto diretto tra candidati ed elettori (vale l’esempio, famoso, del Mugello, quando l’Ulivo candidò Di Pietro, il centrodestra oppose Ferrara e il PRC il compianto Sandro Curzi. Nessuno tra questi legato minimamente al territorio per una disfida di dimensioni nazionali, ignorando completamente la realtà del territorio.)

In realtà, ed è questo il punto che intendevamo sollevare in questa occasione, riprendendo alcuni temi già sviluppati in passato, la strada assunta, ancora una volta (e in due soli casi rilevatasi efficace, nei lontani 1991 e 1993) del referendum dimostra la volontà di non sviluppare a fondo una discussione di merito, posta sul piano della cultura politica.

 Si tratta, insomma, dell’ennesima dimostrazione di un ritardo accumulato da anni nella capacità di sviluppare un’analisi di fondo sulle forme e le strutture dell’agire politico.

Un’analisi che proprio non si riesce a far decollare.

La realtà della profonda crisi economica e sociale richiederebbe, prima di tutto, un salto di qualità sul piano culturale, attraverso l’avvio di un serio tentativo di ricostruzione di una sintesi progettuale.

 

Una sintesi da realizzarsi riuscendo a oltrepassare le espressioni correnti dell’individualismo dominante (frutto dell’approccio neo-liberista ormai introiettato, fin dai primi anni’90, anche dalla sinistra italiana di tradizione socialista e comunista: salvo alcune eccezioni rimaste minoritarie).

 

E’ stato attraverso le espressioni dell’individualismo che si sono affrontate, almeno fin qui, le cosiddette contraddizioni “post-materialiste”.

 

Quelle contraddizioni “post-materialiste” che Inglehart, fin dal 1997, ha definito come “le scelte sullo stile di vita che caratterizzano le economie post-industriali”.

Oggi, proprio la realtà della crisi globale (delle quale, almeno in questa sede, non enucleiamo le caratteristiche specifiche per evidenti ragioni di economia del discorso) reclama il ritorno all’espressione di valori orientati, invece: “ alla disciplina e all’autolimitazione, che erano stati tipici delle società industriali”.

Appaiono evidenti le esigenze che sorgono nel merito della programmazione, dell’intervento pubblico in economia, della redistribuzione del reddito, dell’eguaglianza attraverso l’espressione universalistica del welfare, del ritorno a una “dimensione geografica” (quest’ultimo punto, per quel che ci riguarda, dovrebbe chiamarsi “Europa politica” da ricostruire oltrepassando l’Europa delle monete).

Il tema della legge elettorale è strettamente collegato a quello della presenza politico-istituzionale di una sinistra capace di elaborare un “progetto di sintesi” (lo abbiamo già definito, in altra occasione “programma comune”, ponendoci nella dimensione di un aggiornamento storico delle nostre coordinate di fondo, oltrepassando così quegli elementi di distintività identitari causa delle divisioni del passato).

Perché questo stretto legame?

Ripercorriamo velocemente le caratteristiche dei due principali sistemi elettorali: il maggioritario (nella cui direzione ci si è rivolti, in Italia, al fine di costruire un artificioso bipolarismo).

L’idea del maggioritario è stata frutto, al momento dell’implosione del sistema politico nei primi anni’90, di una vera e propria “ubriacatura ideologica”, strettamente connessa all’ondata liberista: non si sono avuti risultati sul terreno della frammentazione partitica e su quello della stabilità di governo (sono, forse, diminuite le crisi  formali ma di molto accresciute, se guardiamo anche alla stessa attualità fibrillazioni che hanno causato fasi di vera e propria ingovernabilità).

Inoltre il maggioritario ha aperto la strada allo svilimento nel ruolo delle istituzioni, alla crescita abnorme della personalizzazione (fenomeno che ha colpito duramente a sinistra, al punto da renderla in alcune sue espressioni di soggettività del tutto irriconoscibile), alla costruzione di quella pericolosissima impalcatura definita “Costituzione materiale” attraverso l’esercizio della quale si tende verso una sorta di presidenzialismo – populista, all’allargamento del distacco tra istituzioni e cittadini.

Il sistema proporzionale (quello “vero”, non certo quello del sistema elettorale vigente, sul quale non spendiamo ulteriori parole ma stendiamo un velo pietoso) è stato accusato di rappresentare, nel passato recente della storia d’Italia, il veicolo di quel consociativismo considerato l’origine di tutti i mali del sistema politico, inefficienza e corruzione “in primis”.

Preso atto di tutto ciò cogliamo l’occasione per esprimere una valutazione di fondo favorevole al sistema proporzionale: il proporzionale, infatti, rappresenta un sistema fondato necessariamente sul ruolo dei partiti, quali componenti fondamentali di una democrazia stabile, inoltre lo scrutinio di liste esige, necessariamente, un diverso equilibrio tra le candidature, affrontando così il tema del decadimento complessivo della classe politica.

Interessa, però, soprattutto il legame tra sistema elettorale e struttura dei partiti.

E’ questo il punto fondamentale del discorso che intendiamo sostenere in questa sede: la sinistra ha bisogno di un’adeguata soggettività politica che, proprio alla presenza di un’articolazione così evidente nelle richieste della società (come abbiamo cercato di mettere in luce all’inizio), produca reti fiduciarie più ampie e meno segmentate, più aperte verso le istituzioni, in grado di essere considerata produttrice e riproduttrice di capitale sociale, di allentare la morsa del particolarismo dilatando anche le maglie delle appartenenze locali e rilanciando il “consolidamento democratico”.

Questo si può realizzare riportando in campo l’idea di un soggetto politico unitario della sinistra italiana, collocato di là dalle passate dimensioni ideologiche, capace di produrre un progetto di società alternativa e di diffondere egemonia culturale: un partito capace di recuperare una propria, autonoma, dimensione e struttura di massa presente in profondità nelle pieghe della società italiana, esprimendosi anche con una forte valenza di sintesi al riguardo dei grandi temi internazionali e interloquendo e collegandosi, a quel livello, con soggetti di altri paesi.

Quest’ultimo sarebbe il tema del Partito socialista europeo che dovrà, comunque, essere affrontato nel breve periodo da tutti i soggetti interessati a esprimersi sul terreno di una proposta di vera alternativa a questo sistema politico avviato ormai verso la crisi più profonda.

Lanciamo così un appello rivolto a quanti sostengono i fondamenti culturali dell’idea del sistema elettorale proporzionale nella visione di una democrazia rappresentativa così come disegnata dalla Costituzione Repubblicana.

Un’autonomia politica e culturale della sinistra non potrà mai più essere raggiunta se non ci sarà su questo tema, della rappresentanza, il raggiungimento di un’unità di intenti e di visione politica, fondamentale per costruire le fondamenta di quel nuovo soggetto al quale, uscendo dalle rispettive nicchie di appartenenza si dovrebbe cominciare a lavorare unitariamente, con urgenza.

I tempi della crisi, nell’economia e nella politica, non aspettano.

Savona, 1 ottobre 2011 Franco Astengo

 

   

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.