Pentitevi!

PENTITEVI!

È stata questa l’esortazione rivolta da Giovanni Paolo II
e poi da papa Francesco ai mafiosi

PENTITEVI!

Una forma inedita di “collaboratori di giustizia”?

È stata questa l’esortazione rivolta da Giovanni Paolo II e poi da papa Francesco ai mafiosi. Sarebbe ora che si estendesse questa invocazione dagli acclarati fuorilegge a coloro che sono riusciti a convincere negli anni intere classi politiche occidentali a cedere il privilegio di creare moneta dal popolo ad una cricca di banchieri privati, trasformando gli Stati da espressioni e garanti dei diritti dei popoli a odiosi esattori di gabelle da offrire in sacrificio ai signori dei soldi.


Pentitevi! Almeno sul letto di morte. Quante confessioni di criminali in punto di morte ci ha consegnato la storia,  quando non si ha più nulla da perdere su questo mondo e si spera di non veder chiusa senza appello la porta del Purgatorio?

Se qualche membro dei vertici finanziari internazionali decidesse in fin di vita di vuotare il sacco davanti non solo a un sacerdote, tenuto al segreto confessionale, ma anche a un notaio, forse sapremmo delle verità che nessuno “di color che sanno” osa rivelare urbi et orbi per il timore di pagare a caro prezzo l’improvviso (o meditato) empito di onestà verso il prossimo. L’omertà si regge proprio sulla paura di ritorsioni; ma quali ritorsioni sono mai possibili contro un morto? In alternativa, questi sinora improbabili pentiti potrebbero lasciar tutto scritto in una busta sigillata, consegnata a un notaio e da aprire soltanto dopo il loro funerale. Un vero testamento, spirituale e materiale; per riscattare almeno la propria memoria presso i posteri: il contrario della damnatio memoriae.

Pensate se un comportamento simile fosse stato tenuto dai mandanti di omicidi famosi, come quello di Abramo Lincoln o JF Kennedy; o dagli organizzatori della strage delle Torri Gemelle, per citare solo i delitti più famosi e seguiti da decenni di indagini depistate e, di converso, da ricostruzioni indipendenti, bollate di “complottismo”.

Forse si scoprirebbe, senza più troppe ombre, se (che) esiste un filo segreto che conduce dall’uno all’altro di tali crimini, fatti per intestarsi i soldi della gente e per sobillare a guerre di conquista, spacciate per esportatrici di democrazia. Proprio mentre la democrazia è la peggiore nemica di chi tali guerre propugna.


Magari si verrebbe a sapere che i politici Tizio, Caio e Sempronio sono stati corrotti per agevolare il varo di leggi atte a legalizzare l’illegalità e concedere a privati facoltà che le Costituzioni di ogni Paese civile attribuiscono inscindibilmente agli Stati.

Oggi vari partiti politici sponsorizzano l’uscita dall’euro. Ma sarebbe un ritorno alla lira valida garanzia che cessasse il paradosso dell’emissione monetaria a debito verso le banche, cioè il fulcro del nostro malessere? Se anziché avere un euro dipendente dalla BCE avessimo una lira dipendente dalla Banca d’Italia, cambierebbe qualcosa per noi cittadini, visto che sono entrambe private? Il bubbone da rimuovere è la proprietà privata della moneta. E insieme la sudditanza dello Stato verso il sistema bancario: Davide contro il Moloch Golia. Per soddisfare i cui appetiti si scagliano contro i cittadini i ben noti enti preposti alla riscossione dei tributi. Tributi peraltro sempre in crescita, come dimostra la perenne lievitazione del cosiddetto debito pubblico, al lordo degli interessi: senza di essi il bilancio dello Stato italiano è in avanzo. Ossia, lo Stato rastrella in tasse più di quanto spende! Quindi, i tagli di spesa, i sacrifici, le acrobazie di uno Stato che scarica i suoi debiti sui cittadini e gli enti locali, servono solo a onorare il cosiddetto “servizio del debito”. Vediamo di chiarire meglio con un esempio.

Il meccanismo di rimborso di prestiti o mutui

Supponiamo, per comodità di calcolo, che ci sia in circolazione 1 miliardo di euro. E poiché tutto questo miliardo è stato erogato a debito dalle banche a interesse, diciamo, sempre per semplicità, al 5% annuo, con scadenza a 10 anni, significa che dopo 1 anno la nazione (Stato + cittadini) dovrà restituire parte del capitale più 50 milioni di interessi. Che però non ci sono. Da dove li attingeranno? Ci sono due opzioni: prelevarli dal capitale o chiedere un ulteriore prestito bancario dello stesso importo. Nel primo caso il capitale si assottiglierà anno dopo anno, sottraendolo agli scopi per cui era stato richiesto. Nel secondo, il debito crescerà di continuo a causa delle ripetute richieste di prestiti per pagare gli interessi.


 

Ecco come le banche strangolano Stati e privati. Di norma, gli Stati non rimborsano mai il capitale, rinnovando il prestito ad ogni scadenza, spesso aumentando l’entità del prestito, per pagare gli interessi: è così che si forma e lievita il debito pubblico. I privati invece riescono a rendere capitale e interessi solo in caso di lauti guadagni grazie a fortunate gestioni e contingenze di mercato. Tuttavia, se il circolante è rimasto invariato, chi vince non potrà che farcela a spese di chi soccombe. Solo le banche, anzi i banchieri, sono certi di vincere, non correndo rischi, se non quelli legati alla “finanza creativa”, sinora regolarmente scaricati su Stati (bail out) e cittadini (bail in).

Interessi: premio di assicurazione o canone di “affitto” dei soldi?

Spero sia chiaro l’impatto sull’economia degli interessi, da pagare con soldi eccedenti la reale disponibilità in circolazione. Non a caso un tempo, e tuttora nel mondo islamico (salvo poi non rispettare le regole), ogni forma di interesse era considerata usura. Infatti, non c’è altro modo per sfuggire a questa tenaglia letale che quello dei prestiti senza interessi. Ma nessun privato lo farebbe, in quanto l’interesse deve esser visto, oltre che come “premio” per il rischio di insolvenza, come risarcimento del mancato utilizzo del capitale, che Tizio cede a Caio, privandosene per tutta la durata del prestito. Normalmente, si pone più l’accento sul rischio, con un evidente paradosso: maggiore il rischio di insolvenza, maggiore l’interesse richiesto, rendendo con ciò stesso più probabile l’insolvenza del debitore. Il prestito senza interessi dovrebbe farlo invece il sistema bancario, in quanto la moneta creata dal nulla non genera rischio patrimoniale né diminuisce la disponibilità pecuniaria in chi la emette, non essendo stata sottratta ad alcun patrimonio esistente, mobile o immobile.


Ecco perché i prestiti dovrebbero essere fatti, in via primaria, dallo stesso ente che crea la moneta a costo zero, quindi necessariamente un ente pubblico. E a interessi zero. Di più, essendo la moneta creata dallo Stato, che come tale non ha scopo di lucro, le spese che lo Stato fa a fini di interesse pubblico, come le infrastrutture utili, andrebbero messe a bilancio come entrate tributarie, in tal modo tagliando drasticamente l’esigenza di tassazione, se non a scopo di drenaggio della liquidità eccedente, per frenare eventuali effetti inflazionistici.

Morale: attendersi misure a favore dei cittadini da uno Stato al servizio della finanza transnazionale è pura utopia. A meno che non ci salvi qualche testamento eccellente, che funga da scintilla ad una drastica revisione del sistema neoliberista vigente, che, mentre esalta il merito e la competizione, di fatto garantisce il parassitismo di una esigua elite finanziaria nullafacente sulla pelle dell’intera classe lavoratrice.

[Per inciso: come ogni anno, arriva di questi tempi il Rapporto Annuale della GdF, da cui si apprende di svariati miliardi ricuperati dalla lotta all’evasione e da beni sequestrati per reati tributari. Ci viene ripetuto che più ampia è la fascia dei contribuenti ligi e minore sarà la pressione fiscale. Peccato che non si veda mai alcuna conseguenza su quest’ultima dai miliardi ricuperati all’erario; anzi, le tasse non fanno che crescere, cambiando semmai dicitura. Ma allora, vien da chiedersi, perché dovremmo rallegrarci di questi sequestri, se non incidono sui nostri 730, che continuano a lievitare, e sui fondi  disponibili agli enti locali, che continuano a calare? Lo so, scusate: è populismo il mio…]

Marco Giacinto Pellifroni                          12 aprile 2015

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