Opinione

OBIEZIONI ( DI COSCIENZA) ALLE “FABBRICHE”

OBIEZIONI ( DI COSCIENZA) ALLE “FABBRICHE”

Le cosiddette “Fabbriche”, rigorosamente strutturate per portare “un uomo solo al comando”, hanno fatto irruzione a pieno titolo quali attrici protagoniste nello sconquassato sistema politico italiano ed, in particolare, nella sua disastrata parte sinistra.

Da un lato del tradizionale e articolato schieramento “progressista” (diciamo, se ci è consentito, nella sua porzione più “movimentista”) le “Fabbriche” hanno scatenato entusiasmi e attese di tipo – quasi – messianico, attese fortemente incentrate sull’effetto di un carisma personalistico, attraverso il quale si pensa di rivoluzionare l’intero assetto dello schieramento politico dato.

Ci rendiamo ben conto che è difficile arginare questi sommovimenti attraverso il “ragionare” politico (del resto lo stesso soggetto politico “collaterale” alle “Fabbriche” esclude , al suo interno, la possibilità di un confronto pieno con le opzioni che sostengono questa linea personalistico – movimentista, escludendo in vista del Congresso fondativo la presentazione di documenti alternativi a quello elaborato dai vertici, ed anche la semplice emendabilità.

Una riaffermazione del “centralismo democratico” in salsa assembleare, che ci riporta a prima del XVII congresso del PCI, quello di Firenze, dell’integrazione nella sinistra europea, con gli emendamenti di Castellina sulla politica internazionale e di Bassolino – Mussi avverso il nucleare).

Scritto questo proviamo, allora, in tutta modestia e scontando le accuse di “passatismo”, a presentare alcune obiezioni all’impianto politico-programmatico – organizzativo che ci pare sia merso in una lettura all’esterno da queste “Fabbriche”:

  1. Sul piano dei riferimenti teorici. Anche in questo caso ci pare che il tema del “ritorno all’indietro”, così presente in questa fase in molti punti del dibattito politico-culturale, si ripresenti con prepotenza: se potessimo definire, infatti, gli ascendenti teorici delle “Fabbriche” li indicheremmo nell’illuminismo e nella emanazione che da questo pervenne ai cosiddetti “pre-marxisti( Saint Simon, Fourier ed anche quel Proudhon, protagonista involontario tanti anni fa di una celebre polemica estiva, anch’essa in salsa di politica italiana). Con la sconfitta del ‘900 appare cancellata di fatto la tradizione di pensiero che ha costruito la storia del movimento operaio europeo (dalla sinistra hegeliana a Marx, giù per li rami, con una concessione per uno spicchio gramsciano); appare urgente, in questa elaborazione che proviene dalle “Fabbriche”, così come era apparsa altrettanto urgente in altre fasi recenti della storia della sinistra italiana, togliersi di dosso il fastidioso fardello del “materialismo storico”;
  2. Le “Fabbriche” propongono una analisi della crisi estremamente datata, ferma cioè all’elaborazione prodotta dai Social Forum nell’occasione del G8 del 2001 (elaborazione del resto rivendicata con forza anche nell’occasione, il 21 Luglio, della celebrazione, a Genova, di quei giorni e dell’assassinio di Carlo Giuliani). Riteniamo, ancora molto sommessamente, che la crisi sia andata avanti e che si dimostri proprio su quelle basi l’inefficacia del suo affrontamento da sinistra. Sono state sottovalutate, almeno a nostro giudizio, il permanere – prevalente – delle classiche condizioni di sfruttamento “di classe”, e di conseguenza l’organizzazione delle diverse articolazioni in cui si presenta oggi il lavoro dipendente (la cosiddetta “contraddizione principale” proprio di marxiana memoria) cui si intrecciano, e non si sovrappongono, quelle altre contraddizioni definite, alla svelta, “post-materialiste”.

La “contraddizione principale” rimane il fattore unificante della dimensione internazionale della crisi e la ricerca di un compromesso, sotto questo aspetto appare indispensabile, mentre appaiono evidenti i limiti di fondo della politica della nuova presidenza USA del tutto interna alla logica di una crisi ancora segnata dal “neo-liberismo”, incapace di uscire dalla spirale della guerra, limitata da una leadership tutta incentrata sull’affabulazione, prima ancora che sulla comunicazione dei problemi reali.

La crisi può essere affrontata in Europa, prima di tutto reclamando con grande forze una dimensione “politica” dell’Unione Europea e riproponendo, unitariamente tutte le forze di tradizione socialdemocratica, socialista, comunista, i temi della programmazione e dell’intervento pubblico in economia (con una grande spinta a piani di settore rivolti alla reindustrializzazione, alle infrastrutture, al recupero del territorio, alla difesa dell’ambiente, alla ricerca e alla innovazione tecnologica, sotto questo aspetto non basta la pur sacrosanta difesa della pubblicizzazione dei cosiddetti “beni comuni”).

Temi della programmazione dell’intervento pubblico in economia intesi come limitanti e condizionanti la sfrenata iniziativa di tipo privatistico. A questi elementi va innestato il recupero di un concetto universalistico ed egualitario del “welfare state” ( egualitario, non equanime) e la riconsiderazione, all’interno del quadro europeo, della dimensione di uno “Stato – Nazione” di cui si è celebrato forse troppo presto il definitivo tramonto;

  1. Dalle “Fabbriche” arriva una adesione, sul piano delle dinamiche interne al quadro politico italiano, al modello “maggioritario – presidenzialistico”. Una adesione che, del resto, era già venuta da tempo dal PRC (curioso che, dalle diverse scissioni di quel partito, siano sorti anche due altri partiti fondati sul modello elettorale-personale). La partecipazione alle primarie è l’elemento concreto su cui si estrinseca l’adesione a quel modello; c’è da rilevare come, in queste condizioni, si nega nei fatti il persistere di una repubblica parlamentare (superata dalla cosiddetta “costituzione materiale” che prevede già, nell’immaginario collettivo l’elezione diretta del premier) rendendo così difficile la difesa concreta della Costituzione, continuamente messa sotto attacco dalla destra. Il modello “maggioritario – presidenzialistico” dell’elezione diretta e delle primarie (oggi rilanciate a tutto campo, dalle colonne del Corriere della Sera, quale esito di un seminario curato da una componente del PD, cui hanno partecipato anche esponenti dell’IDV e dell’ex-PRC) si muove, oggettivamente, su di un terreno populistico sostanzialmente speculare a quello offerto dalla peggiore destra italiana (con il beneficio delle buone intenzioni, per carità!), negando, proprio da quel versante, la possibilità di costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra italiana, un partito, capace di raccogliere le varie tradizioni e storie attorno a due punti, a nostro giudizio fondamentali: la capacità di “integrazione di massa” e la centralità delle istituzioni rappresentative, a tutti i livelli, cui dovrebbe essere collegato un sistema elettorale di tipo proporzionale che neghi – in ogni caso – l’investitura diretta per cariche monocratiche;
  2. Un ultimo appunto, infine, circa le modalità di svolgimento del meeting nel corso del quale sono state lanciate queste cosiddette “Fabbriche”: mi è parso si sia seguito il metodo – appunto – del “Social Forum”, di una discussione per temi sul modello “non deliberativo”, con i meccanismi di democrazia interna del tutto delegati al Capo ed una sostanziale opacità nell’indicare i criteri di partecipazione al confronto politico. Il “tutti dentro”, come sappiamo, rischia alla fine di diventare il massimo dell’opacità nell’espressione di una piena democrazia, perché il “tutti dentro” (il sostanziale assemblearismo) diventa un “tutti fuori” tranne per l’oligarchia che ha tracciato il recinto della discussione.

 

Savona, 21 Luglio 2010                                                                Franco Astengo

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