Odio

CHI SEMINA ODIO…

CHI SEMINA ODIO…

Credo sia diffuso in tutta Italia il detto: “Chi semina vento raccoglie tempesta”, ma non ho dubbi che il concetto espresso in questo semplice pensiero sia presente in moltissime culture, anche molto diverse dalla nostra. Questo avviene perché i proverbi che nascono dalla saggezza popolare, alla fin fine, sono tutti ispirati alla natura umana.
Non è difficile leggere la metafora del vento come l’agire umano, allorché tale agire sia ispirato dalla parte più meschina del se, finalizzato…ecco, finalizzato a cosa? Difficilissimo rispondere, poiché alla base dei comportamenti ci sono, o ci possono essere, infinite motivazioni più o meno consce, sia razionali che emozionali. La tempesta che raccoglie chi semina il vento può simboleggiare tantissime risultanze, spesso del tutto imprevedibili persino per chi le ha scatenate. Imprevedibile, tuttavia, non è sinonimo di ineluttabile o di inconsapevole. Difficile azzardare la buona fede di chi semina il vento, specialmente se non proprio neofita nei rudimenti della comunicazione e del potere suggestivo della parola e del ruolo sociale. Parole piuttosto tecniche per definire un concetto, in realtà molto semplice: chi si propone come comunicatore e/o come divulgatore, difficilmente è candido allorquando semina vento. In questo scritto desidero proporre al Lettore una disamina del proverbiale vento laddove esso sia costituito dall’odio. E, pertanto, mi chiedo, lasciando volutamente aperta la domanda: chi semina odio, cosa raccoglie? Con tutta probabilità tempesta, ma non solo. Per sviluppare nel modo più possibile armonico il discorso, proviamo a definire l’odio. Definiamolo: l’odio è un sentimento. Comunemente considerato l’opposto dell’amore e da sempre rappresentato come una componente in intimo rapporto con le pulsioni di autoconservazione, potremmo raffigurarcelo come uno dei volti del dio Giano, se quello che rivolge lo sguardo al passato o quello che osserva il presente ed il futuro, credo sia del tutto opinabile. L’odio è un sentimento intenso, una risoluta ostilità rivolta verso l’esterno, accompagnata dal rifiuto e talvolta da vera e propria ripugnanza, nonché dal desiderio di nuocere. E’ possibile provare odio verso se stessi, ma ciò attiene a determinate dinamiche psicologiche che non sono pertinenti in questo scritto. Soffermiamoci a contemplare il desiderio di nuocere che sovente accompagna le manifestazioni di odio. Cosa ci dice di colui/colei che semina l’odio?
Molto più di ciò che, a prima vista, potremmo osservare, certamente molto più di ciò che il soggetto vorrebbe lasciar trapelare della propria persona. Essenzialmente chi odia è un insicuro, frustrato nella propria individualità ed alla continua ricerca di positivi riscontri circa la propria autostima. Non di rado chi odia è convinto di essere pervaso da logica e razionalità, nonché di essere testamentario di tutte le verità da sempre oggetto di spasmodica indagine dell’animo umano.

Chi odia di rado, per non dire mai, si pone domande, viceversa è spesso un soggetto iperdogmatico e tendente allo sprezzo delle debolezze, intese come istanze soggettive. Chi odia è debole, spesso fragile, ma, al pari di una fiera ferita a morte, estremamente pericoloso. Chi odia è sovente dotato di personalità accentratrice e carismatica, cui non risulta difficile creare rapporti sociali anche complessi, ma, in genere, finalizzati al soddisfacimento di accrescere il proprio ego e lenire la propria insicurezza. Chi odia è spesso affascinante. Cosa raccolgono questi individui quando infettano col loro veleno la società in cui sono inseriti? Tanto dolore, tanto male, certo, ma soprattutto, tanta intima soddisfazione. Non occorre scomodare l’odio xenofobo di Adolf Hitler, con tutte le devastanti conseguenze derivatene, per comprendere le mie affermazioni. Soffermiamoci al presente, leggiamo i giornali, impariamo a guardare oltre le apparenze, e scoveremo di essere spesso gli inconsapevoli osservatori di un fenomeno diffuso. Oggi basta poco per odiare, perché siamo tanto più fragili, scontenti e tanto più soli. Più infelici, e più desiderosi di ricercare al di fuori di noi la causa dei nostri mali. Allora, via all’odio del diverso, non importa neanche in cosa l’Altro sia diverso. E’ questo che vogliamo per noi? E, soprattutto, è questo che vogliamo per i nostri figli? Un mondo fatto di bianco e nero, di giusto o sbagliato, ad insindacabile giudizio, magari, di istanze comodamente ritenute al di sopra di noi e, quindi, infallibili? Dicasi deresponsabilizzazione. Un comodo alibi per non assumerci lo scomodo ruolo di attori sociali. In una società sempre più rivolta all’odio, ce lo possiamo permettere?

Giovanna Rezzoagli

Counselor Professionale con Specializzazione in Scienze Sociali

Iscritto al n°935b Registro Nazionale Counselors F.A.I.P.

http://www.foglidicounseling.org

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