Noi, millenaristi stanchi
Noi, millenaristi stanchi
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Noi, millenaristi stanchi
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Credetemi, è dura ritrovarsi a essere un incrocio fra Cassandra e Savonarola. Si vive male. Non riesci a divertirti spensierato, sei sempre aggressivo e preoccupato, diventi noioso in società, alla fine ogni volta che apri bocca le persone ti fanno il vuoto intorno, compiendo gesti scaramantici e alzando gli occhi al cielo. Ti annoi da solo ad ascoltarti. Mica è colpa tua, però. Ci si nasce, così. E non è solo questione di pessimismo, di occhiali grigi invece che rosa, di non vedere mai il bicchiere mezzo pieno. È proprio che lo vedi vuoto, ecco.
E non è che avere quasi ogni volta ragione, a posteriori, sia molto consolante. Non c’è poi da provarne una sorta di acida soddisfazione, ma piuttosto di veder confermata la propria preoccupazione, e la frustrazione, e il senso di inutilità. Come quando leggo i miei articoli di qualche anno fa, così attuali. A volte, ti senti come in una bolla. Estraneo a tutti. Preso in giro, spesso incredulo di essere fra i pochi a vedere ciò che i più negano. Vai in crisi, ti senti presuntuoso, ti dici: avranno pure ragione loro, io esagero. E invece no. Prendiamo gli avvenimenti degli ultimi giorni, la furia scomposta degli elementi. Ormai quasi tutti, persino nei discorsi da bar e ascensore, ammettono: è la natura che si ribella, è colpa dell’uomo, è colpa dei cambiamenti climatici, sono anomalie… Bene, un passetto in avanti rispetto a quando si lanciavano allarmi inascoltati. Ma vogliamo fare il passetto successivo, ossia collegare questo giusto allarme e sconcerto con le nostre vicende quotidiane? Vogliamo pensare che ogni gesto, ogni singolo dannato gesto che compiamo va a influenzare il quadro generale, e anche se ci sembra che un singolo non abbia potere di influire, in realtà tanti singoli insieme, ciascuno nella sua realtà e anche uniti, sono la massa che fa la differenza? Io lo dico per essere propositiva, una volta tanto. Perché la reazione di molti, dopo il negazionismo ormai quasi superato, è il fatalismo. La sensazione che sia tardi, che siamo troppo oltre, che i cambiamenti vadano accettati e assecondati. Eh no, eh! È della nostra stessa sopravvivenza come specie, che stiamo parlando, mica noccioline!
A meno di soluzioni miracolose della scienza, che ultimamente vedo molto più incoraggiata ad assecondare il profitto o a inventarsi aggeggi inutili, che a pensare al bene e al futuro dell’umanità, siamo praticamente fottuti, un piede nella fossa, per usare un’espressione concreta. Oppure dovremo abituarci a un modello di vita molto, molto diverso, più artificiale, forse una sorta di pura sopravvivenza lottando con un mondo devastato, privato ormai di qualsiasi equilibrio naturale. Non so voi, ma a me deprime una idea del genere e non la vorrei neppure per le generazioni che seguiranno. Non vorrei che il nostro ottuso egoismo attuale condannasse loro a questo destino. Dunque, possiamo, dobbiamo pensare di essere ancora in tempo per evitare la fine dei lemming.
Pensare a ogni singolo maledetto gesto. Ogni volta che acquistiamo un mare di plastica da gettare subito, pagandolo per merce. E non è, no, il riciclo, la soluzione che acquieta le coscienze. Lo vediamo, noi facciamo i virtuosi con la differenziata, e poi le mafie che hanno allungato i tentacoli sul settore rifiuti accumulano, fanno soldi facili, fan bruciare i depositi quando non sanno più dove mettere i materiali, perché in realtà il riciclo non riesce a stare al passo.
Il riciclo consuma nuova energia, anche per il vetro. È la legge dell’entropia, l’universo evolve verso il disordine e quando vuoi ricreare ordine, compi uno sforzo, non segui i processi naturali. Il concetto di consumo e rifiuto in natura non esiste, l’abbiamo introdotto noi, i “saggi” umani. Dobbiamo iniziare a ridurre consumi e rifiuti. E non deprimetevi vedendo il concetto di decrescita come arretramento e impoverimento. Lo sarebbe ben di più l’ipotetico mondo futuro di cui sopra, a cui andiamo incontro. È solo un modello diverso e migliore, dove pensiamo ai bisogni veri, all’equilibrio, alla felicità, e non ai profitti e al superfluo che rende infelici.
Tagliando le gambe al concetto di profitto che ci dissangua. Influiamo quando eleggiamo i politici. Quando li rieleggiamo imperterriti dopo che hanno tradito ogni promessa. Influiamo quando rifiutiamo di dire la nostra, di partecipare. Perché dice un famoso detto: non puoi pensare di non occuparti di politica, è la politica che si occupa comunque di te. Poi guai a lamentarsi, eh. Allora, quando vediamo le devastazioni, pensiamo alle compiaciute speculazioni edilizie ancora trionfalmente e inutilmente in programma, in una terra già devastata oltre ogni limite, con un non invidiabile primato di cementificazione: proviamo a dire no, a dire basta, a far pressioni sugli amministratori. Celle, Varazze, Albisola, il lungomare savonese a levante e ponente… Non è decisamente ora di finirla? La politica è vecchia, vecchia, vecchia dentro, e persino nel nuovo che avanza, (autocritica), appesantito dal vecchio, sentiamo a volte fare dichiarazioni fuori dal tempo, per esempio in termini di natalità, di laicità.
Autocritica 2: quando sento parlare Beppe Grillo, sembra sempre lui, il ragazzo, il visionario, il lungimirante, il ventenne entusiasta, rispetto ad alcuni giovani eletti che al confronto sembrano ragionieri del catasto. Certo, occorrono entrambe le cose, migliorare l’esistente, e avere la visione a lungo termine. Entrambe. Perché se non abbiamo la minima idea di futuro e non riusciamo neppure a migliorare il presente, avremo fallito due volte. Dobbiamo svecchiare al più presto questa muffa, questo incancrenimento. La media dei discorsi di un consiglio comunale è totalmente fuori da ogni realtà dei fatti, da ogni minima idea lungimirante di progresso vero. I programmi non vanno al di là del proprio naso, dell’immediato e del particulare di qualcuno. Occorre coraggio, e disinteresse personale. Dovrebbe essere questo il senso dei due mandati e della mancata carriera politica: non avere interessi da salvaguardare, ambizioni di rielezione, e non fare in tempo a creare e perpetuare quella rete diffusa di consociativismo, clientele, conoscenze e appartenenze che è il vero cancro di questo Paese. In questi giorni assistiamo a penosi minuetti e scambi di cortesie fra il PD e la nostra Sindaco, improvvisamente beatificata e difesa da politici e blogger, dimentichi del passato e ancor più presente stato pietoso della città, e responsabilità conseguenti. I vecchi assetti che per tanto tempo hanno retto questa regione e non solo, tentano disperatamente di trovare un nuovo equilibrio, un nuovo rilancio con vecchi personaggi, per ripartire con lo stesso andazzo di prima, turbato dalle recenti vicende politiche. Usando persino un concetto nobile e assolutamente da difendere come l’antifascismo, per le loro beghe e strumentalizzazioni. Del resto, tutto, tutto ormai è tirato per la giacchetta, usato per criticare l’avversario o rivendicato se positivo: non si salva nulla da questa caciara immonda. Nessun valore profondo, diritto, idea nobile.
La conseguenza è che persino quando ci sono iniziative positive e risvegli delle coscienze li si guarda con cinico scetticismo. Il PD, del resto non si smentisce mai. Quando c’è da stupire in negativo, non si tirano mai indietro. Abbiamo assistito sbigottiti all’incendio del palazzo dell’Autorità Portuale. Tristezza a ogni livello, anche chi aveva criticato quell’opera non può certo gioirne, sia per i concreti rischi e disagi subiti dalle persone, sia per i soldi pubblici andati in fumo, sia per la modalità con cui si è propagato, e i tempi, e la distruzione totale, che lasciano sbigottiti e per cui sarebbe bene individuare le responsabilità, che pure devono esserci da qualche parte. Una buona occasione per riflettere, per chiedere che finalmente si programmino investimenti utili alla comunità, per migliorare il porto come da più parti si chiede, renderlo moderno e competitivo? No. Con tutti i palazzi e gli spazi sfitti, vuoti, inutilizzati, dove potrebbe facilmente trovare posto una AP ridimensionata, a costi ridotti, e con vantaggi per la comunità dovuti al recupero di un palazzo storico, oppure, – che so – sistemarsi in qualcuno di quelli esistenti in darsena o nell’inutile Crescent 2 in progetto, il PD imperterrito che fa? Coi suoi parlamentari liguri rivendica un emendamento (presunto, perché pare che i tempi per presentarne fossero scaduti) perché nell’ambito del decreto Genova siano stanziati urgentemente fondi per la ricostruzione del palazzo, peraltro immagino già coperto da assicurazione!
In un lampo, spiegata l’essenza dell’attuale PD: distanza totale dai reali bisogni dei cittadini e dalla realtà stessa, ossequio sempre e comunque ai poterini e alle loro decisioni, mentalità per cui in occasione di calamità è bene richiedere fondi il più possibile, tentativo furbetto e strumentale di dimostrare che i politici locali espressione della maggioranza non pensano ai savonesi. In una parola, tutto il deprimente cliché della vecchia, triste, fumosa politica. Usciremo mai da questo teatrino? Riusciremo mai a riportare i fatti, le esigenze concrete, la necessità di collaborare al bene comune con critiche e proposte fattive, in un reale e leale scambio fra maggioranza e opposizione, al centro di un dibattito politico rinnovato? Non lo so. Da brava Cassandra, dubito. Da bravo Savonarola, condanno senza appello questa caciara televisiva in cui ci affogano, queste prediche fasulle, questa caccia alla fake news, alla bufala, ai siti che smentiscono le bufale e anche le notizie vere che la politica vuol far credere bufale, questo presenzialismo, personaggismo, selfismo, twittata e bischerata in cui tutti cascano a pié pari. Come sarebbe stato meglio, come mi sarei sentita più allegra, felice, spensierata, a rimanermene per ore in piazza in mezzo a una folla strabocchevole, aspettando di vedere dal vivo Cecilia Rodriguez (Chi? Boh, lo sapessi…) dando le spalle con indifferenza alla fontana artistica danneggiata e a secco ormai da tempo. Come sarei gioiosa aspirando profumi di fritto, in coda in qualche fast food in attesa di rimpinzarmi di schifezze. Come sarei entusiasta, di pistolare compulsivamente sul cellulare accumulando inutili giga e aggiornamenti obbligatori di programmi che neanche mi interessano. Niente, c’è poco da fare. Son nata diversa, e diversa rimango. Milena Debenedetti Consigliera del Movimento 5 stelle
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