Nel 1997 dissi di no a 300 milioni da Emilio Riva

Sansa: “Nel 1997 dissi di no
  a 300 milioni da Emilio Riva”
L’ex sindaco: stavamo chiudendo l’altoforno…

Sansa: “Nel 1997 dissi di no
a 300 milioni da Emilio Riva”
L’ex sindaco: stavamo chiudendo l’altoforno…
L’altro ieri, mentre leggeva le cronache sulla vicenda dell’Ilva di Taranto, ha scoperto che la famiglia Riva aveva finanziato a livello locale e nazionale sia il Pd che il Pdl.
E allora ad Adriano Sansa, oggi presidente del Tribunale dei Minori, è tornato in mente un episodio che oggi può aiutare a leggere meglio il dramma dei cittadini e dei lavoratori pugliesi.

Cosa Accadde?

“Era il 1997, ero ancora sindaco di Genova e avevo in piedi una dura e difficile trattativa con l’Ilva per la chiusura dell’area a caldo. La sinistra che mi aveva sostenuto alla prima elezione non mi voleva più, e io decisi di candidarmi con una lista indipendente. Un giorno mi arrivò la telefonata di un manager Ilva che mi spiegò che Emilio Riva voleva contribuire alla mia campagna elettorale. Io risposi che avevo fissato un tetto ai contributi, mi sembra fossero cinque milioni di lire. Lui replicò che Riva pensava piuttosto a 250-300 milioni di lire. Era un finanziamento trasparente e lecito ma, naturalmente, li ho rifiutati”.

Perchè “naturalmente?

“Se un gruppo è, per così dire, sotto osservazione della politica e della pubblica amministrazione, se da politici e sindaci dipendono decisioni vitali per l’azienda, mi sembra evidente che esista un problema di opportunità, una questione etica. Quei soldi non vanno presi”.

 Con queste premesse che lettura dà di quanto sta accadendo a Taranto?

“Quello tra salute e lavoro è un dilemma impossibile. Se ci troviamo a questo punto è colpa della poca autorevolezza e della scarsa limpidezza della politica e dell’amministrazione. E non mi sento di escludere che questa opacità di comportamento, questa inettitudine, siano dipese anche dai finanziamenti elettorali”.

 
Quale, secono lei, l’atteggiamento giusto?

“Serietà e fermezza. Intanto dimostrare concretamente che il rispetto delle regole lo si pretende da tutti, dal piccolo artigiano alla grande industria nazionale. L’azienda può essere aiutata a rispettare le norme con un programma e un’attività politica amministrativa di collaborazione. Se l’amministrazione pubblica è limpida si evitano incomprensioni, ma se c’è l’aspettativa di poter derogare allora lì inizia la spirale di violazioni”.

Adriano Sansa

Lei come se la cavò con il re dell’acciaio?

“Mi ero occupato di Ilva per le emissioni già a cavallo tra anni ’70 e ’80, da pretore. E di nuovo con il rigore e la serietà costringemmo il gruppo a mettersi a norma. Da sindaco ricordo bene due incontri nel mio ufficio, in Comune. La prima volta per voler rimarcare il fatto che si era creato da solo un solidità finanziaria, senza nessun intento illecito, sia chiaro, mi sventolò davanti un assegno con una somma miliardaria, ma proprio in quella occasione ordinai al telefono, davanti a lui, una serie di ispezioni ai cosiddetti pozzetti”

 La seconda volta?

“Il protocollo per la chiusura dell’area calda era pronto e mancava solo la sua firma. Ricordo bene le sue parole: “Se noi accettassimo ora questa bozza, sarebbe una vittoria troppo grande per lei, dottor Sansa. Invece io posso guadagnare ancora un anno o due di tempo e sa perché nessuno si metterà di mezzo? Perché le forze politiche che la sostenevano oggi non vogliono un suo successo”.

 

E lei?

“Mi spiacque non poter chiudere, ma pensai che se la politica è obliqua, chi ne ha interesse percepisce anche la sua debolezza”.

 

E rifiutò i 300 milioni.

“Sì, feci la campagna con i soldi versati dai vecchi compagni di scuola. Quando dissi ai ragazzi del comitato che avevo detto no ai milioni di Riva, qualcuno fece il conto e disse che avrei potuto ricoprire Genova di manifesti”.

 

Un consiglio per Taranto?

“Prevedere per Riva anche finanziamenti agevolati dallo Stato, ma obbligarlo ad adeguarsi alla legge. E’ incredibile che in altri paesi europei evoluti come l’Italia abbiano saputo affrontare la questione siderurgica senza le nostre lacerazioni, che rischiano di provocare, invece, un tracollo sociale e industriale”.

 

Come già accaduto in passato, per la vicenda di Taranto si accusano i giudici di supplenza?

“La supplenza è vera ma in tutti i paesi democratici una sanzione può creare giurisprudenza. E il diritto regola le nostre vite. Forse bisognerebbe che i politici fossero più sensibili agli stimoli della società”.

 

A cosa si riferisce?

“Nessuno dei cinque candidati alle primarie del centrosinistra ha parlato di ambiente, dissesto geologico, di rapporto tra crisi economica e risanamento ambientale. Chi governa o vuol governare pensa che l’economia sia una dottrina riservata a pochi che decidono perché gli altri non possono capire. Ma questa è finanza. Invece economia è prima di tutto garantire il conseguimento dei beni alle persone, valutando costi e benefici. Oggi chi non considera elementi dell’economia l’ambiente, la salute il dissesto, è un incompetente”.

(29 novembre 2012)  

Marco Preve…da La Repubblica

 

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