MATTEO MESSINA DENARO ALIAS DIABOLIK

…è già sera tutto è finito (Nadia Nencioni)
E’ l’ultimo verso della breve poesia di Nadia Nencioni, Intitolata ” Il tramonto”, la bambina di nove anni morta a Firenze Insieme al genitori e alla sorellina Caterina di neanche due mesi, appena battezzata, e allo studente Dario Capolicchio nell’attentato mafioso del 27 maggio 1993 all’Accademia del Georgofili. La poesia, che possiamo definire veramente profetica, è stata scritta due giorni prima dell’attentato che ha distrutto la casa vicino all’Accademia dove abitava la famiglia Nencioni e ritrovata per caso o per fortuna o per destino tra le “pagine di quaderno annerite sopravvissute all’esplosione. I Ros hanno voluto per ricordarla chiamare proprio “Tramonto” l’operazione che ha portato all’arresto di Matteo Messina Denaro”; come opportunamente ricorda Roberto Paolino nel suo bell’articolo uscito domenica scorsa su “Trucioli savonesi”, che riporta in apertura il commovente autografo della poesia di Nadia Nencioni.

A un uomo degno di questo nome, basterebbe un simile orrendo delitto per non riuscire più a vivere con un peso insopportabile come quello sulla coscienza. Un uomo degno di questo nome. Già, ma uno stragista, massacratore di magistrati e assassino di bambini come Matteo Messina Denaro, può definirsi tale? Pensando a come rispondere a questa domanda, mi è tornato in mente il famoso monologo dell’ebreo Shylock nel Mercante di Venezia di Shakespeare, e ho provato a sostituire alla parola “ebreo” la parola “mafioso”; vediamo un po’ cosa ne risulta: “Forse che un mafioso non ha occhi? Non ha mani, organi misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito dalle stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo…?” Possiamo aggiungere, forse che un mafioso, se si ammala, non viene curato come chiunque altro? Sappiamo che a Matteo Messina Denaro, l’ultimo (?) boss, ora in carcere, non vengono certo interrotte le terapie antitumorali che seguiva quando era latitante, in un certo senso è come se, invece che in prigione, il boss dei boss della provincia di Trapani fosse stato ricoverato in una clinica specializzata, senza che abbia più bisogno di fornire false generalità. In fin dei conti la cattura gli ha facilitato la vita.
Ma non è tanto questo l’aspetto su cui intendo soffermarmi quanto sull’enigma della sua doppia o tripla personalità, tra le quali è del tutto assente (almeno fino a questo momento) quella responsabile; e sulla “zona grigia” entro la quale si muoveva e agiva alla luce del sole, come un normale cittadino di questa Repubblica democratica fondata sul lavoro.

Riguardo alla tipologia della sua personalità, è indubbiamente quella di un uomo nel senso del monologo di Shylock, ma completamente privo di coscienza morale e affetto da quello che nella diagnostica psichiatrica viene definito “Disturbo narcisistico di personalità”. Oh, sia chiaro, nihil sub sole novum, pensiamo ai grandi criminali della storia, a Sardanapalo, ad Attila, a Gengis khan, a Tamerlano, a Torquemada, a Hitler, a Mussolini, a Stalin, a Pol Pot, a Putin (significativo il fatto che in un covo di Diabolik – che tra l’altro si picca, a differenza di altri mafiosi, di saper leggere e scrivere – sia stato trovato un libro su Hitler e uno su Putin), agli ayatollah, ai talebani, tutte personalità autoritarie e aliene all’autocritica e al rispetto (non parliamo per carità di amore) per il prossimo che sia di diverso parere. Non è dunque un caso che i mafiosi siano più simpatizzanti per i dittatori che per i democratici (a meno che non siano corruttibili o collusi). Non è un mistero che Cosa Nostra non avrebbe potuto radicarsi ed estendere la sua rete criminale se non avesse abbondantemente infiltrato l’establishment economico e politico siciliano (e non solo siciliano). Non è neanche un mistero che la mafia è sempre stata attigua o contigua alla politica (si pensi solo al suo potere di raccogliere e indirizzare i voti di molti cittadini a favore di un determinato candidato piuttosto che di un altro)

il Procuratore di Palermo Maurizio De Lucia

Il caso di Matteo Messina Denaro è veramente esemplare riguardo all’intreccio tra mafia ed establishment politico ed economico, non si potrebbe spiegare altrimenti la trentennale latitanza dorata del boss erede di Totò Rina. D’altra parte, è stato lo stesso procuratore di Palermo Maurizio De Lucia a parlare di “borghesia mafiosa” cioè collusa, in questo caso con il boss incontrastato del trapanese .
E perchè la borghesia di cui parla il procuratore De Lucia  è collusa con la mafia? Molto semplicemente e banalmente per convenienza. Quanti imprenditori, amministratori pubblici, funzionari e politici devono la propria posizione a quell’intreccio strutturale, ahimè, tra mafia e istituzioni dello Stato da tempo infiltrate?
Per questo ora l’attenzione degli inquirenti è tutta concentrata su quella zona grigia della buona borghesia che ha protetto e coperto Il boss latitante che non solo non pensava nemmeno
Lontanamente di consegnarsi pentito nelle mani dello Stato ma che menava vanto di aver ucciso tante persone “da poter riempire un cimitero” e il cui motto, scritto sotto il poster dell’attore
Joaquin Phoenix nelle vesti, o meglio nella maschera di Joker, il clown serial killer, protagonista dell’omonimo film di Todd Philips, era: “C’è sempre una via d’uscita ma se non la trovi sfonda tutto”, e i cui modelli ideali, oltre al testé nominato Joker sono Il Padrino interpretato da Marlon Brando e Vladimir Putin.

Monsignor Domenico Mogavero

Questo è il personaggio da cui ha preso le distanze anche monsignor Domenico Mogavero, vescovo emerito di Mazara del Vallo, che ha dichiarato a La Stampa del 23 / 01 / 2023: “Come si fa a perdonare uno che fa sciogliere un bambino nell’acido? Matteo Messina Denaro è scomunicato. Non può essere assolto i boss mafioso che ha sulla coscienza numerosi delitti efferati…Non è una persona per cui possiamo avere troppa pietà. E’ uno che ha sparso molto sangue, ha ucciso tanti innocenti”. Alla domanda: perché non può essere assolto? Il presule così risponde: “I mafiosi, una volta accertato che siano condannati per mafia, sono scomunicati ‘late sententiae’. Ciò significa che Messina Denaro e gli altri mafiosi incorrono nella scomunica
automatica, senza bisogno di un pronunciamento canonico dell’autorità ecclesiastica. Quindi, se Messina Denaro o un altro mafioso si confessa non può essere assolto da un normale sacerdote. Per chi è scomunicato l’assoluzione può arrivare soltanto dal vescovo o da un sacerdote a ciò delegato dal vescovo”. Allo stato attuale delle cose non sembra che Diabolik abbia intenzione di confessarsi, né in Chiesa, né in Procura.

Tanto più che una specie di assoluzione tutta laica e mondana la ricevette quando fu esposto un suo ritratto- opera non eccelsa della pittrice Flavia Mantovan – al Museo di Salemi nella mostra che Vittorio Sgarbi, in qualità di sindaco, volle dedicare provocatoriamente a Cosa Nostra, nel maggio del 2009, insieme a Oliviero Toscano, assessore alla cultura (altri due personaggi che quanto a disturbo narcisistico di personalità non scherzano).

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Matteo Messina Denaro è raffigurato con un volto tendente all’olivastro, con una corona sulle ventitré in testa e con le fiamme delle stragi di Capaci e via D’Amelio riflesse nelle lenti spesse degli occhiali. Come provocazione non c’è male. Il quadro è stato poi rinvenuto dagli inquirenti appeso a una parete del salotto della casa materna, ed è molto richiesto. Ma Diabolik, come accennato, ci tiene a essere considerato oltre che uomo d’onore in senso mafioso anche uomo di penna in senso letterario; ed ecco che nel 2008 pubblica presso l’editore Stampa Alternativa, nella Collana Eretica, il libro Lettere a Svetonio. Il capo di Cosa Nostra si racconta, a cura dello storico e scrittore siciliano Salvatore Mugno. Come ogni libro che si rispetti è accompagnato da una nota editoriale con un breve curriculum dell’autore, è così è avvenuto anche in questo caso, possiamo quindi leggere le seguenti credenziali dello scrittore di Castelvetrano: “Pluriomicida appartenente all’ala stragista di Cosa Nostra è capomafia superlatitante braccato da tutte le polizie, ecco che Matteo Messina Denaro, – Diabolik per gli amici- si scopre ‘scrittore’, autore di lettere come “flussi di coscienza’ rivelatori d’una barocca disposizione letteraria. Suo misterioso interlocutore è un politico (forse anche agente
del Servizi segreti celato sotto il nome di ‘Svetonio’); cui l’inconsapevole boss, erede di Rina e Provenzano, fiduciosamente si rivolge firmandosi col nom de plume di ‘Alessio’. L’epistolario di
Matteo- ‘Alessio’, minuziosamente argomentato, talora orgoglioso e nello stesso tempo strategicamente vittimistico, esprime la condizione di una certa mafia siciliana sospesa tra l’antica fase contadina e quella metropolitana e transnazionale”. Come si vede, l’autore di questa breve
nota editoriale- probabilmente lo stesso curatore del testo di Messina Denaro, cioè Salvatore Mugno (lo si evince dalla finezza dello stile) -non fa sconti al capo di Cosa Nostra; eppure, malgrado tutto, non si può negare che da queste righe traspaia una certa considerazione per lo scrittore mafioso, non in quanto mafioso, sia chiaro, ma in quanto scrittore. Con il risultato di contribuire all’autostima già fuori misura di “Diabolik”. Insomma, se Matteo Messina Denaro ha potuto vivere per trent’anni pressoché indisturbato da latitante, lo si deve appunto alla interessata considerazione che godeva presso la buona società esterna al sistema di potere mafioso in senso stretto. Questo significa che la zona grigia del consenso alla nuova mafia metropolitana degli affari e della finanza è molto più estesa di quanto si potrebbe immaginare; in questa zona grigia, il pluriomicida già appartenuto all’ala stragista di Cosa Nostra, ha potuto nuotare come un pesce(cane) nel suo mare.
Credo che Primo Levi e Hannah Arendt avrebbero qualcosa da dire su questa nuova tipologia di zona grigia di persone per bene, nuova ma anche vecchia quanto la disumana umanità del “mal seme di Adamo

Fulvio Sguerso

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