MA DIO DA CHE PARTE STA?
Di fronte alle cronache, ai reportage pressoché minuto per minuto sull’atroce guerra tuttora in corso ai confini della nostra cara (?) Europa, allo spettacolo quotidiano della morte al quale, tramite i mass media, possiamo assistere quasi in diretta comodamente (si fa per dire) seduti sul divano di casa, viene spontaneo riflettere sul valore veritativo degli ultimi profetici scritti storici di Umberto Eco raccolti nel volume A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico (Bompiani, 2006). Questi scritti, precisa la nota editoriale “sono apparsi tra inizio 2000 e fine 2005, negli anni dell’11 settembre, della guerra in Afghanistan e in Iraq, dell’instaurazione in Italia di regime di populismo mediatico. Leggendoli ci si accorge che sin dalla fine dello scorso millennio si sono verificati drammatici passi all’indietro. Terminata la guerra fredda, si è tornati allo scontro tra Islam e Cristianità. E’ risorto il fantasma del Pericolo Giallo; è stata riaperta la polemica antidarwiniana del XIX secolo; si è rinnovato il contenzioso tra Stato e Chiesa; sono ricomparsi antisemitismo e fascisti. Sembra quasi che la Storia, affannata per i balzi fatti nei due millenni precedenti, si stia riavvoltolando su se stessa, marciando velocemente a passo di gambero!”. Infatti, chi poteva mai immaginare che una nuova guerra civile europea (considerando la Russia parte integrante della storia d’ Europa ), dopo le due precedenti nella prima metà del cosiddetto “secolo breve”, tornasse a seminare morte, distruzione e atrocità nel Vecchio Continente? Per la verità un’avvisaglia che la pace in Europa non fosse poi così scontata l’abbiamo avuta con le guerre balcaniche di fine secolo, in cui non sono certo mancate atrocità, massacri, stupri e crimini di guerra, finite nel 2001 con lo scioglimento definitivo della Jugoslavia e la costituzione di Stati indipendenti come la Slovania, la Croazia, la Bosnia e l’Erzegovina, la Serbia, il Montenegro e il Kosovo. Ora Putin mira come obiettivo minimo allo smembramento dell’Ucraina, ma ha fatto i conti senza l’oste (o meglio, gli osti), cioè la resistenza eroica del popolo ucraino, aiutata e sostenuta attivamente dagli Stati Uniti, dal Canada, dal Regno Unito e dall’Unione Europea. Ragione per cui questa guerra non riguarda solo la Russia e l’Ucraina ma, come stiamo vedendo (a meno di non essere ciechi), il mondo intero. Il che significa che nessuno può starsene al di fuori, questo è uno di quei casi in cui chi non sceglie lascia che altri scelgano al suo posto.
Abbiamo visto come in Italia, tanto per fermarci al cortile di casa, un consistente numero di nostri concittadini (dato che come abbiamo più volte osservato l’equidistanza significa stare dalla parte del più forte) sia più sensibile alle ragioni di Putin che non a quelle di Zelensky. Come è possibile? E’ possibile perché oltre alla guerra sul terrene si sta combattendo anche una guerra mediatica e politica che non arretra davanti a niente, nemmeno di fronte all’evidenza. Prendiamo il gesto clamoroso e provocatorio da parte di Putin di decorare il presunto autore della strage di Bucha. In quel gesto si intravede “un disegno ben più raffinato di una semplice risposta al nemico…Una scelta che affonda le radici nella storia della Russia. Una comunione di valori e di intenti di cui la Russia di Putin si fa massima interprete, fino a sovrapporsi ai pensieri e ai desideri dei singoli cittadini. Se ci riflettiamo per un istante, è il terribile schema che nel XX secolo l’Europa ha sperimentato fin troppo bene. Del tutto indifferente all’indirizzo politico del leader, fu fascista, stalinista, nazista e sempre foriera di atroci conseguenze. Vale di per sé, fa leva sul nazionalismo primigenio, che in Russia ha radici antichissime ed, evidentemente, mai sopite… La Russia zarista , quella sovietica, il Paese di Putin con cui dobbiamo fare i conti oggi, tutti da sempre convinti che a Ovest si trami qualcosa contro San Pietroburgo prima e Mosca dopo”. (da “La Ragione”, del 20 / 04 /2022).
Ma qui, con rispetto parlando, casca l’asino, perché quello che risulta evidente per chi crede alla versione dei fatti di parte russa, non risulta per niente evidente per chi crede alla propaganda di parte ucraina (od occidentale). E non ho usato il verbo “credere” a caso, perché in questa guerra delle rispettive propagande sono coinvolte le autorità religiose cristiane ortodosse russe e ucraine, le quali sostengono, ciascuna per proprio conto, che Dio combatte con i fedeli russi contro quelli ucraini e viceversa. Sennonché il quadro di questa nuova guerra di religione è complicato dal fatto che le chiese ortodosse sono divise al loro interno: “Adesso che il Cristo degli ucraini è sceso dalla sua croce propri nei giorni della resurrezione per risalire l’angoscia del suo ultimo calvario, mentre il Patriarca di tutte le Russie, Kirill, invoca da Mosca lo stesso dio, chiamandolo a benedire la guerra di Putin, bisogna provare ad aprire il tabernacolo russo della santa fede per cercare le radici spirituali del conflitto.
Culla della Rus’ antica e custode del mistero del suo battesimo, l’ Ucraina conta un dio solo conteso tra quattro Chiese, tutte cristiane, una ortodossa di obbedienza a Mosca, un’altra che lega la sua ortodossia a Costantinopoli, una terza sempre ortodossa ma autocefala e infine una cattolica uniate, di osservanza romana ma di rito bizantino. La benedizione imperialista di Kirill all’invasione ucraina dell’armata di Putin ha rotto l’equilibrio concordato tra le quattro declinazioni della stessa religione, col Patriarca che oggi rievoca l’eterna dannazione russa dell’Anticristo, tornato nel mondo per infrangere l’unità spirituale della terra russa, e una rivolta di 340 popi che si schierano contro la guerra e prefigurano lo scisma chiedendo la sostituzione di Kirill, il cui nome è già stato cancellato dalle invocazioni rivolte al Signore nelle solenni preghiere durante la messa, quando le vecchie credenti si inginocchiano davanti ai bracieri dorati dove si consumano le candele” (Ezio Mauro, la Repubblica del 17 /04 / 2022).
Dunque non c’è pace neanche in cielo tra ortodossi russi e ortodossi ucraini, né tra le diverse Chiese ortodosse ucraine, né tra la Chiesa cattolica ucraina e quella romana. Se c’era ancora qualche speranza in una unificazione ecumenica di tutte le Chiese cristiane credenti nello stesso Dio, secondo gli auspici del Concilio Vaticano II, questa sciagurata guerra l’ha fatta in pezzi, come ha smembrato lo stesso Dio in tante divinità diverse a uso e consumo delle diverse comunità in guerra tra di loro anche in nome della stessa (in teoria) religione. Sintomatica la critica mossa dal vescovo di Odessa a Papa Francesco, accusato di non prendere decisamente le distanze da Vladimir Putin e di non fare abbastanza contro la guerra, e sintomatica del clima avvelenato che si respira anche tra i cattolici ucraini anche la censura della trasmissione sulla Via Crucis la sera del Venerdì Santo per protestare contro la scelta del Santo Padre di assegnare la parte del Cireneo a una ragazza ucraina e a una russa. Un odio così cieco è un altro frutto avvelenato di questa guerra che ci riporta indietro di secoli: se anche i simboli e i messaggi di pace vengono ignorati, è come se il sacrificio di Cristo sulla croce e la sua resurrezione avessero perso ogni significato, senza contare che il gesto di Francesco è antitetico a quello di Kirill, e questo dovrebbe togliere ogni dubbio sulla sua scelta di campo. Pensiero mio a latere: sotto un cielo cupo come questo la fine del mondo si avvicina ogni giorno di più. D’altra parte che senso può mai avere un mondo che non riesce a vivere senza guerre sempre più terribili e spaventose?