Litorali (punta dell’iceberg del “privato è bello”)
C’è voluto il mancato concerto di Jovanotti ad Albenga e l’acqua tra gli ombrelloni ad Alassio per far scoppiare il caso. Eppure, in ogni mia visita ad Alassio, non ho mai trovato che la sua spiaggia sia all’altezza della sua fama. Sarà perché, a Finale, sono abituato da sempre a vedere una spiaggia, anzi più spiagge, degne di questo nome: lunghe, larghe e con 3 tipologie di base, dalla sabbia fine verso monte alla graniglia verso il mezzo e la ghiaietta vicino a riva. Dovevo vedere altre spiagge per rendermi conto che non era scontato che tutte le spiagge avessero questi pregi.
Quando leggevo le lamentele di altri paesi costieri a corto di arenile pensavo che fosse un nostro colpo di fortuna che ogni mareggiata portasse fortunosamente via sabbia e ghiaia da altri lidi per deporli gentilmente su quelli finalesi. Correnti favorevoli, moli azzeccati, chi lo sa?
Ma il mio compiacimento per la fortuna di Finale finisce qui. Infatti, sembra che da noi della direttiva Bolkestein non abbia mai sentito parlare nessuno, tanto meno il Comune. Anzi, tutto al contrario.
Anno dopo anno, infatti, ho visto restringersi quei pochi spazi che, bontà loro, gli stabilimenti balneari concedevano ai loro margini a quanti volevano godersi un po’ di sole e di mare senza dover pagare il dazio, non proprio per tutte le tasche.
Qualche foto penso renda meglio l’idea. Lo spiazzo dove un tempo i pescatori ormeggiavano le loro barche ed armeggiavano le reti, è stato considerato troppo ampio per la fruizione pubblica; e così, una buona metà se l’è pappato l’Atlantic, con tanto di recinzione, ad indicare l’ennesima privatizzazione dello spazio pubblico. Il molo di Finalpia è stato addirittura isolato sul lato ovest da una recinzione che corre lungo tutto il suo fianco; e la già striminzita porzione di spiaggia che sino ad anni recenti era concessa al pubblico godimento è stata incorporata nel GiBi Boncardo, rendendo l’accesso al mare addirittura pericoloso, in quanto si deve scarpinare sulle rocce di contorno al molo stesso per accedere alla battigia.
Altro che direttiva Bolkenstein, che prevede che l’80% degli arenili naturali vengano liberati da corpi estranei e privati. E non c’è dubbio che le spiagge di Finale siano tutte naturali: basta guardare disegni di ogni epoca per convincersene. Quindi, a Finale si marcia contromano. E ciò fa ancora più dispetto, se si pensa che la Francia, nonostante le nostre simpatie verso il nostro vicino siano ai minimi storici, ha virtuosamente proceduto da anni a sfoltire le occupazioni degli arenili, anche a colpi di “salviniane” ruspe. Non hanno dovuto aspettare la Bolkestein per farlo: hanno seguito semplicemente il buon senso.
Bolkenstein che, oltre al ridimensionamento dell’occupazione privata delle coste, impone anche un adeguamento tariffario delle concessioni e un abbreviamento della loro durata, per finirla, una buona volta, col vezzo di affitti pubblici risibili, come ci è dato di leggere con insistenza quando si tratta di aree demaniali e stabili comunali, per poi ingrassare i gestori privati: Autostrade SpA insegna. Come, in tutt’altro ambito, si legge di cardinali che spaziano a cifre simboliche in maxi appartamenti della Chiesa, magari ristrutturati con gli oboli della domenica o con l’8 per mille.
Quanto alla privatizzazione –leggi cementificazione- della Riviera, bisogna ammettere che i proprietari di terreni costieri hanno fiutato il vento molto anzitempo e non sono certo stati ad aspettare il via libera alle privatizzazioni selvagge dei gioielli nazionali, scattato dal 1992 in poi grazie al Trattato di Maastricht: guarda caso, mentre i riflettori erano tutti puntati su Mani Pulite e vigeva il più rigido silenzio stampa sull’attuazione del “privato è bello”. No, quei proprietari, perlopiù coltivatori diretti, hanno scoperto che potevano posare la zappa e smettere di faticare, diventando complici della speculazione edilizia più devastante, con la benevolenza dei Comuni e della Regione (che ultimamente ha cassato il Parco del Finalese, dopo mezzo secolo di nulla di fatto dalla sua istituzione). Le conseguenze di ordine urbanistico, di viabilità e inquinamento, conseguenti a questo sciagurato indirizzo, sono oggi sotto i nostri occhi.
Eppure, si parla ancora, con rammarico, di “crisi edilizia”, per sollecitare l’imprimatur al saccheggio delle ultime isole di verde “edificabile” ancora rimaste. Vige, come se il passato non abbia impartito alcuna lezione, la mentalità che “bisogna dare lavoro”, costi quel che costi in termini ambientali.
Le mie simpatie per la nuova destra, soprattutto per le sue posizioni di sinistra (valga come esempio la recente richiesta di FdI di nazionalizzare Bankitalia), si fermano davanti al produttivismo esasperato, sia della Lega che, appunto di FdI. Lo spirito di sinistra del M5S doveva temperare l’ardore attivistico della Lega; mentre è stata una capitolazione su tutti i fronti. E mi urge esprimere solidarietà al tartassato Ministro Toninelli, sempre sull’orlo del “licenziamento” per i troppi NO. Quasi che, secondo l’andazzo consolidato, un Ministro delle Infrastrutture dovesse perorare sempre e comunque ogni grande opera, a prescindere dalla sua utilità; mentre, sulla base dei pareri di esperti imparziali (come sicuramente sono quelli dei NO; mentre non si sa mai quando gli esperti sono per i SÌ), opere come la TAV utili non sono. (Per tacere del capolino che ogni tanto fa il Ponte sullo Stretto, nei sogni dell’ormai decotto Berlusconi). Sinora ha sempre valso il principio del “fare per fare”, dietro la foglia di fico, per l’opinione pubblica, dei nuovi posti di lavoro. La battaglia della Lega Ecologica Finarese dei primi anni ’70 contro la lottizzazione della meravigliosa collina di San Bernardino dietro Finale, così come quella, ormai annosa, per la difesa della Margonara, a Savona, non sono che due esempi tra i troppi che hanno deturpato o stanno per farlo, tutto l’arco costiero dello Stivale.
Morale: la società attuale, galvanizzata in tal senso dal neoliberismo promosso a pieni voti nel fatidico 1992, ritiene di essere padrona assoluta del territorio, sia a livello pubblico che collettivo, come se questa fosse l’ultima generazione sulla Terra e “dopo di noi il diluvio”.
A proposito di diluvio, dopo 12.000 anni, ossia dall’ultimo appurato diluvio, le acque oceaniche hanno ripreso a crescere, anche se le previsioni divergono sull’entità della crescita, comunque già in atto. E le strilla per il Mar Tirreno che invade gli ombrelloni di Alassio sembreranno vagiti infantili, rispetto al dramma di litorali e paesi antistanti sommersi dai flutti.
Marco Giacinto Pellifroni 28 luglio 2019
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