LETTURA DI UN’ IMMAGINE: Le visage de la guerre Olio su tela (1940) Di Salvador Dalì

Le visage de la guerre, olio su tela (1940) di Salvador Dalì
Museum Boijmans VanBaunungen -Rotterdam

La data di questa opera del geniale artista catalano (Figueres, 1904 – Figueres, 1989)  di forte denuncia nei confronti di tutte le guerre è quanto mai significativa. La Spagna non è stata direttamente convolta nella seconda guerra mondiale, ma era appena uscita da una sanguinosa e feroce guerra civile e naturalmente anche il mondo dell’arte ne ha subito i tragici contraccolpi (si pensi alla barbara esecuzione  del poeta andaluso Federico Garçia Lorca, a Picasso e alla sua Guernica , allo scultore rivoluzionario Julio Gonzàlez, a Joan Mirò e al suo manifesto Aidez l’ Espagne, tanto per ricordare i più famosi. Salvador Dalì, con questo quadro che potremmo definire in stile surrealista macrabo, non intende fare sconti all’orrore della guerra in sé: vediamo un grande volto simile a un teschio che occupa quasi tutto lo spazio della tela che campeggia su un deserto quasi lunare. Il colore bruno della pelle fa pensare a un inizio di putrefazione. Lo stato del quasi teschio non permette di capire se si tratta del volto di un uomo o di una donna. Dentro le orbite oculari e nella cavità della bocca sono collocati dei teschi veri propri che, a loro volta,  contengono altri teschi nelle loro tre cavità, e così via,  in una sorta di frattale, cioè la replicazione in formato sempre più piccolo della figura iniziale. Dalla nuca del volto escono serpentelli che si spingono sul viso dove alcuni di essi entrano nelle orbite vuote e altri cadono sul terreno. A completare l’orrore, a destra in basso su una roccia notiamo l’impronta, o la radiografia,  di una mano misteriosa mentre in alto, sempre sulla destra del quadro, una specie di quinta rocciosa copre un estremo lembo di quel paesaggio che a buon diritto possiamo chiamare  infernale. Riguardo alla simbologia, la landa desolata e deserta e la moltiplicazione ad infinitum dei teschi dentro le orbite e nella cavità della bocca alludono tragicamente al destino di un’umanità condannata a ripetere i propri errori come se le pulsioni distruttive debbano sempre prevalere su quelle creative e costruttive. Come ora stiamo  constatando tra timore, speranza  e disperazione (salvo che avvenga un miracolo, cioè  che intervenga direttamente  il buon Dio ).


Fulvio Sguerso

PUBBLICITA’

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.