Lettera aperta al Corriere della Sera

Lettera aperta di un ingegnere loanese al Corriere della Sera
Gli schiamazzi della Lega Nord
E il dramma irrisolto del debito pubblico
Cittadini penalizzati, ma disinformati grazie alla politica dei frilli

Lettera aperta di un ingegnere loanese al Corriere della Sera
Gli schiamazzi della Lega Nord
E il dramma irrisolto del debito pubblico
Cittadini penalizzati, ma disinformati grazie alla politica dei frilli

Caro dott. Schiavi,

Faccio seguito alla nostra telefonata per meglio precisare ciò che penso a proposito del debito pubblico che, pur essendo alla base di tutti i nostri problemi attuali, secondo me non è stato ancora affrontato.

 Intendo dire che la manovra attuale serve a far cassa, ma non a incidere sul debito. Mi spiego meglio: con un debito di 2.000 miliardi, non sono certo i 20 miliardi di una manovra (né i 100 e passa di quelle precedenti) a poter incidere in modo significativo. E abbiamo visto che, dopo decenni di  barcamenamenti dicendo che tutto sommato il debito pubblico era sì alto, ma si poteva tenerlo a bada, è bastata una crisi finanziaria generale per trasformarlo in un anno da molto alto a del tutto intollerabile.

Per abbattere il debito pubblico ci sono almeno due strade evidenti: una consiste nell’abbatterlo gradualmente (diciamo, per esempio, al ritmo di 100 miliardi all’anno), l’altra consiste nell’abbatterlo più decisamente (diciamo, riducendolo subito di 500 miliardi). E in entrambi i casi non vedo come si possa risolvere il problema se non con una patrimoniale, con l’alternativa di vendere coattivamente una certa quantità di titoli di stato ai cittadini, anziché limitarsi ad alleggerirne le tasche a fondo perduto, lasciando loro la speranza di poter recuperare quando le cose andranno meglio.

Per cercare di spiegarmi meglio le farò un caso personale ipotetico: quello di uno come noi che ha un debito di un milione di euro e uno stipendio (beato lui) di duecentomila euro, che non gli basta per ridurre il debito. In questo caso, questo signore avrà due alternative: la prima è quella di farsi aumentare lo stipendio (se ci riesce) poniamo di 20 mila euro all’anno e di usare questo aumento per pagare il debito: ma, facendo così, diminuirà il debito di 100 mila euro in cinque anni  (non è vero, perché nel frattempo saranno saliti gli interessi sul debito, col risultato di non aver combinato quasi nulla).

La seconda alternativa è quella di vendere un appartamento di sua proprietà, ammesso che ce l’abbia, poniamo del valore di 400 mila euro. Così abbatterà subito il debito a 600 mila euro, riducendolo a un livello meno inaccettabile: è l’alternativa della patrimoniale. Che può avere una variante, qualora il nostro personaggio si accorga che la fretta di vendere può compromettere il prezzo: potrà chiedere un mutuo sull’appartamento da vendere in modo da guadagnare tempo e non dover svendere.

 Se a vendere ci metterà un anno, dovrà pagare gli interessi passivi anche su questo mutuo ma, supposto che il prezzo finale sia adeguato, questa strada potrà rivelarsi saggia.

Stavo dimenticando che per abbattere il debito pubblico esiste anche una terza alternativa, la più importante: quella di “crescere”. Per le aziende suonerebbe “aumentare il fatturato”. Per il nostro amico di cui sopra, rassomiglierebbe a guadagnare un “bonus speciale per miglioramento dei risultati”. E’ un’alternativa splendida, è così che si risolve tutto, vorrei solo che qualcuno me la trasformasse in numeri perché non ne sono capace. E avendo tanto avuto a che fare con mercati che continuavano a scendere proprio quando c’era bisogno che crescessero, più che un’alternativa mi sembra un incubo: soprattutto quando si parla di recessione in atto. Sapesse quanto è difficile fronteggiare chi ci accusa di non saper vendere di più in un mercato che cala… Ho avuto persino un presidente che mi ha spiegato come, per risolvere ogni problema, sarebbe bastato aumentare il volume delle vendite e i prezzi: facile, no? Solo che non ero capace. Le spiace se, al momento e per qualche anno, faccio finta che non esista?

Fin qui spero di non averla annoiato troppo e di non essere stato troppo banale. Anche perché, banale o no, l’incredibile ragione per cui tante aziende falliscono è proprio l’incapacità di capire in tempo quanto sia grave il problema del debito e, quindi, quella di affrontarlo in modo adeguato.

La mia preoccupazione è che – a livello di politici come di opinione pubblica – non ci si renda conto della situazione: è che si continui a parlare di debito pubblico come substrato di tutti i mali economici e finanziari che ci affliggono, senza tuttavia capire che il debito va affrontato come se fosse un debito.

Gli schiamazzi della Lega di questi giorni potrebbero dipendere proprio da questo non rendersi conto della situazione, visto che la Lega è stata al governo per tanto tempo e non ha mai provato a rimediare. E la reazione di molti politici mi fa pensare che davvero non capiscano, per quanto si tratti di fatti elementari. Che non capiscano perché in quarant’anni in fondo non è successo nulla e perché, per capire, un minimo di dimestichezza con i numeri bisogna pure averla. Evidentemente non tutti i politici hanno questa dimestichezza e il loro comportamento sembra dipendere da una vera, reale, assurda, inaccettabile incapacità di capire. E, quindi, di agire. Ostacolando perfino il lavoro di chi, viceversa, è in grado di capire e di rimediare.

Non ho dubbi che i professori e gli economisti che in questo momento ci governano abbiano le idee molto chiare in proposito, tuttavia non li ho sentiti mai dire nulla su ciò che va fatto e su ciò che intendono fare quanto al debito pubblico. Forse perché pensano di intervenire per gradi, forse perché la prima cosa da fare era far cassa per pagare gli stipendi (Monti lo ha detto in modo molto chiaro), forse perché non si potevano affastellare insieme troppe cose sgradevoli. Col risultato di far credere di stare già facendo qualcosa di importante sul debito pubblico, incoraggiando solo una gran confusione.

Io mi sto preoccupando del debito pubblico da anni, forse come deformazione professionale per essere stato responsabile della pianificazione e direttore generale in aziende di una certa importanza. Me ne sono preoccupato al punto da chiedere un parere perfino a Corrado Passera, molti anni prima che diventasse ministro e che il debito pubblico diventasse “il problema”. E trovo grave che il problema non venga messo sul tavolo in modo limpido, insieme alle soluzioni che si propongono, prima che queste diventino impossibili. Perché non va dimenticato che, nel caso del signore ipotetico di cui ho parlato prima, se per caso costui non prende coscienza del problema in tempo, può darsi che non riesca a vendere il suo appartamento in tempo, può darsi che non riesca a ricavarne il massimo possibile, e può darsi persino che, una volta riuscito vendere ricavandone tutto il denaro che vale, lo sprechi perdendo definitivamente la possibilità di risolvere il problema.

Veda, dott. Schiavi, sembra impossibile eppure persino il San Raffaele sembra essere inciampato in un guai di questo tipo, con indebitamenti folli impossibili da ripagare. E molte privatizzazioni di Stato sono state fatte da quando si parla di debito pubblico eccessivo, ma ho l’impressione che nemmeno una piccola parte del denaro incassato sia servito allo scopo. Senza trascurare che se lo Stato deciderà di vendere i beni di famiglia, probabilmente li venderà a un prezzo troppo basso, probabilmente ci metterà troppo tempo e probabilmente una parte del ricavato lo userà per far quadrare il bilancio corrente (perché, tanto, il debito pubblico può aspettare).

Banale? Sì, eccome. Eppure….

Dunque mi piacerebbe tanto che qualcuno degli esperti che lavorano presso di voi dicesse queste cose a gran voce (se crede che io abbia ragione). Almeno per preparare l’opinione pubblica.

Per questo le sto scrivendo nella speranza di contribuire a far chiarezza, nell’interesse di tutti. Perché soltanto voi, con la cassa di risonanza che avete, potete farvi ascoltare.

Naturalmente, qualcosa di ciò che ho scritto e delle mie conclusioni può essere sbagliato, forse tutto: ma non ho altre fonti di informazione che non siano i media. Se ho sbagliato, vuol dire che ho capito male. Se ho capito male, può dipendere da me come da chi mi ha informato. Ma, se ho capito male, sono certo di non essere l’unico. E, quindi, sarebbe bene se capissi meglio.

Immagino che come vicedirettore del Corriere, soprattutto di questi tempi, lei abbia ben poco tempo per me e per i miei argomenti. Quindi ho apprezzato che, quando l’ho chiamato, lei mi abbia richiamato dopo pochi minuti. E non ho la minima pretesa – né la minima speranza – che questa lettera venga pubblicata. Ma le sarò davvero grato se mi scriverà due righe per dirmi che cosa ne pensa.

Filippo Bonfiglietti  

18 dicembre 2011  

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