Lettera a Giampiero Bof

LETTERA A GIAMPIERO BOF

LETTERA A GIAMPIERO BOF

 Caro Giampiero, caro amico e caro maestro,

è da tempo che volevo scriverti una lettera di ringraziamento per tutto quello che hai fatto, detto e scritto per indicare a noi, tuoi allievi del Liceo Classico “Gabriello Chiabrera”, e a quelli di noi che hanno continuato a frequentarti anche dopo la scuola, la via della verità e della vera vita; non ho usato per caso il verbo ‘indicare’, la tua catechesi non era dogmatica, ma problematica: tu non “impartivi” lezioni ma, appunto, ci in-segnavi il metodo dialogico, e noi approfittavamo della tua profonda cultura anche filosofica e letteraria, ponendoti domande su Sartre (allora era di moda l’esistenzialismo) e su Camus, sulla Noia di Moravia e sull’incomunicabilità rappresentata nei film di Michelangelo Antonioni, su Il settimo sigillo di Bergman e su Il diario di un curato di campagna di Bresson-Bernanos, e le tue risposte erano sempre puntuali e illuminanti, lasciandoci ogni volta ammirati e nello stesso tempo (sia detto senza spirito polemico verso nessuno) dispiaciuti di non averti anche come prof di filosofia e di italiano, nonché di greco e di latino… Non so perché ho sempre rimandato a domani la stesura e l’invio di questa lettera; e ora che finalmente mi sono deciso a scriverla e a inviartela, tu non puoi più riceverla perché ieri, giovedì 30 novembre, ci hai lasciato, dopo una lunga malattia.


Io, nondimeno, te la scrivo lo stesso, perché, pur rimanendo sempre in debito verso di te, lo sento come un dovere o, se preferisci, un voto che devo adempiere. Intanto già mi manca la tua parola amica ma anche, se era il caso, rigorosa e severa, come deve essere quella di un vero maestro: quante volte mi hai rimproverato  quando esprimevo opinioni non sufficientemente ponderate, quante volte mi hai raccomandato di non prendere per buone affermazioni non dimostrate, non passate al vaglio della critica ermeneutica e del confronto con altre affermazioni di segno contrario ma meglio argomentate; quante volte mi hai esortato a non credere alle dicerie sulla tale o sulla talaltra persona, anzi, a non ascoltarle nemmeno; quante volte, invece, hai preso le difese di qualche confratello calunniato, e quante volte hai aiutato “in solido”, oltre che moralmente, persone che erano nel bisogno! Vedi, Giampiero, quando ci lascia una persona come te, ci sentiamo tutti più poveri, non in senso evangelico, ma in senso umano: oggi più che mai abbiamo un disperato bisogno di maestri veri, di uomini che sanno vedere oltre i limiti angusti della cronaca e di una quotidianità spesso così  meschina e gretta da fare raccapriccio.


Tu non sopportavi gli arroganti, i presuntuosi, i saccenti; eri contrario a tutti i fondamentalismi, quindi anche a quello cristiano. Eri un sacerdote aperto al dialogo con le altre confessioni, credevi e operavi per l’ecumenismo, seguendo le indicazioni del Concilio Vaticano II, nella persuasione che non si potesse parlare seriamente di pace mondiale (e nemmeno sociale) senza il reciproco rispetto dei credenti di religioni diverse e di chi  non crede in nessuna religione, e per questo eri inviso a tutti i pavidi assertori del pericolo di meticciato o della progressiva islamizzazione della cristianissima  Europa. Eri un uomo di non comune intelligenza e di vastissima cultura ma, appunto per questo, anche profondamente umile: sapevi socraticamente e francescanamente di non sapere (più si sa più ci si rende conto di quanto poco sappiamo), ma sapevi anche, come tu stesso hai scritto, che “La storia medesima offre un dato inconfutabile: le figure dell’incontro e del rapporto sono così largamente e profondamente segnate dalla conflittualità – in forme ora blande, ora accese sino alla distruzione – che la si è interpretata come dimensione del reale non solo fattuale, ma strutturale.


La ‘contesa’ è stata teorizzata sin dagli albori della metafisica come legge del mondo empirico; sulla ‘contesa’ – i suoi sinonimi sono innumerevoli, da gara a guerra . sembra essere impostata la nostra cultura in generale, e si strutturano i settori della nostra attività, teoretica e pratica; non ci si muove forse dalla scientifica ‘sopravvivenza del più atto all’esistenza’, alla spirituale ‘santa emulazione’?”. Quindi non ti stancavi di insistere sulla necessità di esercitare la virtù della tolleranza, intesa come “inviolabilità e rispetto della coscienza e della libertà altrui”. Ma dicevi anche che questo significato “negativo” della tolleranza, pur necessario alla civile convivenza, non è però sufficiente a evitare la conflittualità in una società pluralistica come è la nostra: perché ci sia una pacifica convivenza tra individui, gruppi, partiti, tifoserie, etnie differenti, occorre che ci sia solidarietà umana e un interesse attivo per gli altri, cioè un dialogo libero da “qualsiasi forma di coazione e di violenza, diretta o indiretta, reale o possibile…” (non si può dialogare con i fascisti neri o rossi che siano o con i naziskean). Questo pluralismo, tuttavia, è minacciato non solo “dai sistemi ideologicamente totalitari; ma anche, e oggi con tono particolarmente insidioso, proprio da quelli che ogni ideologia dichiarano di rifiutare e di fatto possono rifiutare, perché antieconomica rispetto ai fini del dominio perseguiti più direttamente e con mezzi più efficaci: quelli della nuove tecnologie, interpretate e applicate nel quadro della tecnocrazia”. Quindi vedevi lucidamente il pericolo di un nuovo e più insidioso totalitarimo, quello tecnocratico.  E infatti la tecnologia (pensiamo soltanto alla onnipervasività dell’industria elettronica) è ormai simile a una macchina lanciata a folle velocità che nessuno può arrestare. Progresso o regresso? Caro Giampiero, come vorrei poter parlare ancora con te di questi problemi, e confidarmi ancora con te! Tu ormai sei in un’altra dimensione, nella dimensione dove splende la luce eterna dell’amore di Dio, qui rimane il ricordo che ci hai lasciato e l’esempio vivente di che cosa significa essere un vero maestro a immagine del tuo Maestro divino. Te decet hvmnus, Deus, in Sion, / et tibi reddetur votum in Jerusalem; / exaudi orationem meam, / ad te omnis caro veniet… Amen.

 FULVIO SGUERSO 

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